Il racconto di un rapporto complesso e spesso tormentato che abbiamo iniziato domenica scorsa. Dopo la costituzione dello stato di Israele e dopo il primo conflitto arabo-israeliano del 1948, con centinaia di migliaia di profughi palestinesi che ripararono nei vicini paesi arabi. La Nakba, la tragedia. Da allora, campi profughi palestinesi sparsi in Medio Oriente, molto spesso non graditi dagli altalenanti nazionalismi ospiti. Avevamo scritto della fragilità della Giordania e del ‘settembre nero’ e del campo di Yarmuk in Siria.
Oggi Giovanni Punzo ci scrive di Egitto e Libano dove la questione palestinese, antichi profughi e questione politica con Israele, stanno tornando attualità scottanti, come approfondiremo domani.
L’Egitto dal 1948 al 1973
Quando nel 1948, dopo aver attraversato a piedi il deserto del Sinai, i primi profughi palestinesi raggiunsero l’Egitto sul trono sedeva ancora re Faruk I. Nel regno, controllato di fatto dalle potenze occidentali che detenevano ancora tutti i diritti sul canale di Suez, dilagava la corruzione e il sovrano praticava un hobby molto costoso come il gioco d’azzardo: si diceva infatti che trascorresse più tempo ai tavoli della roulette di Montecarlo e Sanremo che alla scrivania del palazzo reale al Cairo. Nel 1952 un gruppo di ufficiali, al vertice dei quali Gamal Abd el-Nasser e Muhmmad Nag’ib, si sollevò e Faruk lasciò il paese. Due anni dopo Nasser, che mostrava intransigenza nei confronti del passato regime monarchico, depose il più tollerante Nag’ib dalla presidenza.
Nel 1956 fu nazionalizzato il canale, ma Francia e Inghilterra reagirono militarmente coinvolgendo anche Israele. In questa guerra ci fu una seconda ondata di profughi palestinesi che si aggiunse alla prima, senza però che le condizioni generali dei primi fossero cambiate: Nasser, lo jugoslavo Tito e l’indiano Nehru lanciarono la politica del non-allineamento e parlarono di un ordine mondiale più giusto, ma i palestinesi rimasero lo stesso nei campi. Seguirono la guerra dei Sei giorni e quella di Yom Kippur (con l’ennesimo scacco all’Egitto) a conclusione della quale realisticamente si strinsero accordi di coesistenza con Israele nei quali tuttavia non si parlò più dei palestinesi.
«I re sono fuggiti e i presidenti sono morti, ma qui non è cambiato niente»
Nel 2015 in Egitto era ancora popolato il campo di Gezirt Fadel, la lenta trasformazione di un villaggio di poco più di duemila abitanti nel 1948 in una cittadina di oltre sessantamila. Nella mancanza di scuole regolari e di altre strutture come un acquedotto, dominava la disoccupazione e non era nemmeno invidiabile l’attività principale dei più fortunati che invece avevano un lavoro: in assenza di un servizio pubblico di asporto dei rifiuti, erano impegnati nel riciclo e nel commercio dei rottami o di quanto abbandonato negli altri paesi egiziani delle vicinanze.
L’elettricità era arrivata solo durante la breve presidenza di Mohamed Morsi, deposto da un colpo di stato perché troppo vicino al movimento della Fratellanza musulmana, mentre con la presidenza di al-Sisi furono interrotti i lavori dell’ospedale, l’unico del campo: altri sostegni e sussidi furono infine sospesi motivando la decisione in quanto non si trattava di ‘cittadini egiziani’.
Il campo vantava anche il discutibile primato di ospitare un alto numero di profughi oltre i settanta anni, ovvero i primi rifugiati, quelli la cui memoria risaliva alla catastrofe del 1948. Un’anziana residente del campo, sintetizzando con amara lucidità quanto accaduto in quei decenni, aveva detto a un giornalista occidentale: «I re sono fuggiti e i presidenti sono morti, ma qui non è cambiato niente».
Libano: da paese dei cedri a paese dei massacri
Fino agli anni Sessanta il Libano era considerato un paradiso medio-orientale con grandi opportunità di sviluppo, ma anche una sorta di porto-franco per imprenditori spregiudicati o avventurieri della finanza internazionale. Il Libano, con un’estesa costa affacciata sul Mediterraneo e altri collegamenti con tutti paesi arabi rappresentava anche una posizione strategica rilevante ed inevitabilmente fu coinvolto nei conflitti arabo-israeliani.
L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, l’OLP di Yasser Arafat, cominciò ad insediarsi a partire dagli anni Settanta, non senza resistenze da parte di molti non solo libanesi. Tra il 1975 e il 1990 fu combattuta una guerra sanguinosa che fu contemporaneamente guerra civile e guerra tra stati: si affrontarono infatti sia fazioni armate libanesi che forze regolari siriane e israeliane in un continuo capovolgimento di fronti e alleanze.
Uno degli episodi più drammatici avvenne nel 1982 quando, per vendicare la morte del politico libanese Gemayel, le milizie falangiste penetrarono nei campi profughi di Sabra e Shatila uccidendo a freddo centinaia e centinaia di palestinesi. L’OLP si trasferì allora in Tunisia, ma nel 1985 il quartier generale fu bombardato da jet israeliani.
59 campi profughi ancora oggi
‘United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugee in the Near East’, l’UNRWA, l’agenzia istituita nel 1948 per soccorrere i profughi palestinesi. Secondo i dati di cui dispone, i campi profughi sparsi nel Medio Oriente sono cinquantanove ed ospitano ancora cinque milioni di persone.
Nel solo Libano ne risultano meno di quattrocentomila in dodici insediamenti, ma, poiché la popolazione libanese è stimata in circa quattro milioni e mezzo di persone, si comprende quanto la situazione che ne deriva sia precaria e sempre vicina a un tracollo.
Lo stato libanese, che prima delle guerre degli anni Settanta, si basava su delicati equilibri interetnici e interreligiosi è in affanno da decenni per una crisi economica e politica ed incombe come in altri paesi la minaccia dell’estremismo islamico. Ciclicamente ricompare la pericolosa tentazione di liberarsi dei palestinesi.
05/11/2023
da Remoconro