31/12/2025
da Il manifesto
Poco e niente La Camera approva l’ultimo atto di una scomposta liturgia I bluff di un bilancio che per Meloni è «serio e responsabile»
Una scomposta liturgia si è chiusa ieri quando la Camera ha approvato con 216 voti la quarta legge di bilancio del governo Meloni. La presidente del Consiglio l’ha definita «seria e responsabile», mentre il ministro dell’economia Giorgetti «prudente» per non dire «austera». In realtà è una manovra da 22 miliardi di euro, riscritta per un terzo negli ultimi dieci giorni, in un tortuoso percorso in cui la Lega ha sfiduciato Giorgetti. Proprio quest’ultimo ieri ha lanciato una provocazione che sa di resa: ha invitato a una «riflessione sul funzionamento delle democrazie parlamentari in Europa», sottolineando come in altri paesi, cioè la Francia, non si riesca nemmeno più ad approvare un bilancio. Giorgetti ha ammesso che il parlamento italiano sta vivendo un «monocameralismo di fatto» che ne svuota la centralità. Servirebbe, a suo avviso, una «riforma della contabilità pubblica». Un’analisi che però suona grottesca se pronunciata da un governo che sottoscritto l’austerità Ue e ha blindato il parlamento a colpi di fiducia, riducendolo a un ufficio di vidimazione per le scelte prese altrove.
SOSTIENE GIORGETTI di essere intervenuto sui salari come richiesto anche dai sindacati. In realtà le cose stanno diversamente. Parliamo della riduzione della seconda aliquota Irpef dal 35% al 33% per lo scaglione tra i 28 e i 50 mila euro. Questo è un capolavoro di regressività. Il beneficio massimo di 440 euro annui va a chi guadagna 50 mila euro, mentre chi ne percepisce 30 mila si deve accontentare di una mancia da 40 euro e chi sta sotto i 28 mila — ovvero la stragrande maggioranza dei lavoratori — non vede un centesimo perché, ha detto Giorgetti, lo avrebbe ricevuto dai 10 miliardi stanziati l’anno scorso. Il problema sta nell’uso della leva fiscale per ripagare quanto hanno perso i salari con l’inflazione degli ultimi anni è un modo per svuotare l’oceano con il cucchiaino. E in più aumenta le feroci diseguaglianze sociali.
PARLIAMO DI PENSIONI usate come bancomat. Per anni la Lega ha promesso lo smantellamento della «riforma» Fornero. Oggi ci ritroviamo con un ministro leghista come Giorgetti che ha definito un «successo» l’aver ridotto di soli due mesi un aumento dell’età pensionabile che resta scolpito nella roccia. E nel frattempo, questo è lo scandalo, penalizza i lavoratori precoci e chi svolge mansioni usuranti: non solo si allungano i tempi, ma si tagliano i fondi (20 milioni nel 2027 che diventeranno 190 nel 2034) e si irrigidiscono le finestre di uscita, costringendo chi ha iniziato a lavorare giovanissimo a farlo sempre di più e sempre peggio.
GIORGETTI HA DETTO che l’impegno nel riarmo non intaccherà la spesa sociale. Affermazioni smentite dai fatti: il suo governo ha già bloccato la spesa di ministeri ed enti locali con un piano di tagli che peserà per circa 13 miliardi l’anno nei prossimi sette anni. Solo per il comparto dei comuni e delle province si stima una scure da oltre 4 miliardi nel quinquennio 2025-2029, un definanziamento strutturale che colpirà duramente asili nido, trasporto pubblico locale e manutenzione delle strade. Qui sta il punto: il governo ha infilato la testa nella ghigliottina del nuovo «Patto di Stabilità», un accordo che ammazza crescita e investimenti. Giorgetti ha ammesso che solo a giugno si valuterà lo sblocco della clausola per l’aumento della spesa militare, ma non è scontato che il deficit scenda sotto il 3%. Sarà una questione di decimali. E si vedrà se la prossima legge di bilancio sarà «elettorale». Lo è anche quella appena approvata: i suoi effetti sono modesti. Tutt’al più si darà una riverniciatura più decisa alla miseria italiana. In un bilancio stritolato dal rigore europeo, ogni euro destinato a un carro armato sotto la pressione di Trump e della Nato è un euro sottratto alla sanità o alla scuola. Per finanziare il riarmo e l’imposizione atlantica di portare la spesa militare al 5% del Pil entro il 2035, serviranno comunque tagli e tasse strutturali, lo hanno detto dall’Upb a Bankitalia.
È STATA SBANDIERATA da Giorgetti come un successo la tassazione al 5% sugli aumenti contrattuali e all’1% sul salario di produttività. Sono misure estemporanee e riservate al settore privato sotto i 28 mila euro di reddito. Per il governo il problema del «fiscal drag» sarebbe risolto proprio grazie a queste detassazioni dei premi e dei rinnovi contrattuali. Per la Cgil invece l’impatto medio sarà irrisorio (circa 126 euro l’anno), mentre il pubblico impiego resta escluso. Il drenaggio fiscale continuerà a mangiare i salari reali molto più di quanto queste briciole restituiscano.
L’EREDITÀ DEL MELONISMO è una società che lavora di più per guadagnare di meno. La stessa che lavorerà più anni per andare in pensione (+11 mesi dal 2037) e riceverà assegni sempre inferiori. Una società prigioniera della svalutazione interna dei salari che premia i profitti. è l’effetto di una politica che prosegue da 40 anni e oggi struttura la stagnazione e la deriva sociale.

