Lo storico romano Publio Cornelio Tacito, alla fine del I secolo d.C., scrisse «De origine et situ Germanorum». Luoghi e abitudini delle popolazioni che vivevano a nord delle Alpi, allora semisconosciute.
Dopo venti secoli il mondo a nord delle Alpi sembra a volte altrettanto sconosciuto, come si ricava dai commenti sulle attuali vicende tedesche, che vanno dal giudizio di incostituzionalità di AFD all’incidente occorso all’elezione del Cancelliere Mertz, ma ai quali sfugge l’intreccio di paure ereditate dalla storia che pesano ancora sulla Germania.
L’incubo di Weimar
Inizio ‘900, prima Guerra mondiale, Germania prussiana. Il passaggio dall’impero guglielmino alla repubblica si compì quando l’alto comando militare, la ‘dittature silenziosa’ che aveva dominato insieme guerra e politica, in pratica cedette ai civili il governo del paese ottenendo in cambio la neutralità dei civili nei confronti dell’esercito. Sebbene a partire dai primi mesi del 1918 vi fossero stati segnali negativi sull’esito della guerra in corso, la situazione precipitò nel mese di ottobre: alle riforme democratiche calate dall’alto troppo tardi, seguirono ammutinamenti soprattutto nelle basi navali, ma – al contrario di quanto accadde in Russia, dove il movimento bolscevico aveva assunto la direzione del moto rivoluzionario – in Germania questo non avvenne.
Ciò non significa che tutto filò liscio, perché l’estrema sinistra tentò due volte di rovesciare il governo civile e fu sconfitta, anche se questo significò una dolorosa spaccatura tra socialdemocratici e comunisti; i Freikorps, composti da reduci di guerra ed estremisti di destra, che a Berlino assassinarono Rosa Luxemburg, agirono agli ordini del socialdemocratico Gustav Noske. Al timore della rivoluzione si aggiunse ben presto il disastro economico provocato dalla pretesa alleata di pagamento dei danni di guerra e l’iperinflazione che ne seguì.
La situazione si normalizzò solo nel 1923, nonostante l’instabilità dei governi, ma la crisi del 1929 provocò centinaia di migliaia di disoccupati costituendo il detonatore principale dell’ascesa al potere di Hitler. Estremismo politico, dissesto del bilancio e crisi economica divennero con il tempo alcune delle ‘grandi paure’, alle quali con il tempo si aggiunse l’aspetto istituzionale: la costituzione del 1919 infatti prevedeva che, ad un voto di sfiducia al cancelliere, ne seguissero le dimissioni, mentre l’attuale – varata nel 1949 – dispone la sostituzione del cancelliere solo se contemporaneamente si designa il sostituto.
‘Delenda Germania’? No
All’indomani della Seconda Guerra mondiale il destino della Germania sembrava segnato: la cancellazione dalle carte geografiche come stato unitario e la deindustrializzazione totale e, benchè oggi possa sembrare strano, tra i più accesi sostenitori della ‘ruralizzazione’ tedesca c’erano molti americani. La Guerra fredda, al posto dell’unica nazione da eliminare, ne impose invece due, il cui scopo principale – quasi fino al 1989 – sembrò quello di contrapporre la propria legittimità esclusiva sull’altra.
Non fu una sottile questione giuridica dibattuta con eleganza, ma un confronto molto duro testimonito anche dalle tante rappresentazioni geografiche della Repubblica Democratica dove spiccava la scritta «Zona temporanemente occupata dall’Unione Sovietica». L’altra grande questione, naturale corollario della prima, fu che nel 1956 la corte costituzionale tedesca sciolse il Partito comunista di Germania (Kommunistische Partei Deutschlands, KPD) definendolo «verfassungfeindlich» (ostile alla costituzione).
Eppure, al momento della decisione, il partito non aveva nemmeno raggiunto il quorum richiesto dalla legge elettorale nazionale e, dopo i moti operai che si erano svolti a Berlino Est (duramente repressi dai sovietici nel 1953) e che avevano allontanato ogni simpatia residua, rappresentava solo una modesta minoranza nel quadro politico generale. Quando infine fu presentato un ricorso alla Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo contro la messa al bando, l’istanza fu respinta specificando che gli obiettivi dell’organizzazione erano in contrasto con la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Nel 1972 fu fondato un nuovo Partito comunista tedesco (Deutsche Kommunstische Partei, DKP) che nelle successive elezioni parlamentari non raggiunse mai il quorum, ma fu oggetto di costante attenzione sia da parte della Corte costituzionale che dei servizi di sicurezza interni.
Il 28 gennaio 1972 il cancelliere socialdemocratico Willy Brandt firmò un decreto denominato «Radikalenerlass», ossia decreto sugli estremisti, dal quale partì una sistematica espulsione dai ranghi della pubblica amministrazione di impiegati e insegnanti. Qualcosa di simile era già accaduto in Italia ai tempo di Mario Scelba, quando era possibile escludere dai concorsi per ‘insindacabili motivi’.
I due incubi tedeschi ereditati dalla storia
Dato che a suo tempo fu messo fuorilegge il Partito Comunista, il complesso sistema democratico tedesco e la memoria tedesca non si scandalizzano di fronte all’ipotesi odierna di mettere fuorilegge un partito che parla con simpatia del nazismo.
Per i tedeschi sono due gli incubi, e risalgono entrambi a un secolo fa. Il primo è la combinazione di iperinflazione e di dissesto di bilancio, che poi spingono all’eccesso opposto: al culto per il pareggio di bilancio, addirittura iscritto in Costituzione e solo ora, finalmente, abolito. Il secondo incubo, sempre nato ai tempi di Weimar, è lo scontro feroce tra gli estremisti di sinistra, i comunisti che allora volevano imporre con la forza la dittatura del proletariato, e gli estremisti della destra nazionalista o nazista.
Ma ci sono altre conseguenze rilevanti di quegli anni apparentemente così lontani. Pochi commentatori italiani, tra cui Giovanni Orsina, si sono scandalizzati del fatto che a definire l’Afd un partito che propugna principi contrari alla Grundgesetz, la Legge Fondamentale, cioè la Costituzione, non sia stata la magistratura ma il Servizio Segreto Interno, il Bundesamt für Verfassungschutz, il Servizio Federale per la protezione della Costituzione (Bfv), dipendente dal ministero dell’Interno.
Provate a immaginare lo scandalo che esploderebbe se, in Italia, un documento ufficiale dell’Aisi, i servizi interni, attestasse che un partito presente in Parlamento con centocinquantadue deputati, e primo nei sondaggi, sostenesse valori anticostituzionali e fosse quindi implicitamente candidato alla messa fuorilegge.
Per valutare appieno cosa accade in Germania, bisogna conoscere la sua storia recente e le sue leggi. Tra queste – nessuno lo ricorda fuori dai confini tedeschi – sono tuttora pienamente in vigore le Notstandgesetze, le Leggi di Emergenza del 1968, che di fatto regolamentano un colpo di Stato parlamentare che neanche il generale Roberto Vannacci si sognerebbe di proporre. Leggi liberticide, che sospendono i diritti fondamentali dei cittadini e assegnano ruoli emergenziali all’esercito, da far impallidire il Piano Solo del generale Giovanni De Lorenzo, volute sì dal cancelliere democristiano Kurt Kiesinger, ma pienamente condivise dal suo vicecancelliere e ministro degli Esteri Willy Brandt.
Il liberalismo autoritario
La ragione per cui l’astro della socialdemocrazia liberale europea ha approvato queste leggi liberticide al culmine dei movimenti del ’68, appoggiati dagli scrittori Heinrich Böll e Günter Grass, è una sola: il panico che il Paese finisse sotto il giogo comunista. Queste Leggi di Emergenza nacquero dal terrore del dopoguerra, in una Germania divisa da un confine minacciato da decine di divisioni armate e milioni di soldati che portavano la falce e il martello del Patto di Varsavia.
La messa fuorilegge di un partito storico e le leggi d’emergenza che potrebbero sospendere i principi costituzionali rappresentano il retroterra politico immediato della Germania di oggi. Il Bundesamt für Verfassungschutz – il Servizio Segreto, che non è un organo della magistratura – ha ricevuto proprio da quelle leggi e in quel clima il compito di redigere un rapporto annuale di valutazione politica, preciso e documentato, sui movimenti potenzialmente eversivi di destra o di sinistra. Un incarico che risulterebbe inammissibile per la sensibilità democratica di qualsiasi altro Paese europeo. Ma in Germania, tutto – o quasi – era giustificato dall’imperativo di difendersi dall’incubo comunista.
In Germania non è scandalosa l’idea di mettere fuorilegge un partito, tanto che il Bundesrat, la Camera dei Länder, nel 2013 ha chiesto la messa fuorilegge del Npd, partito neonazista, ma la Corte Suprema nel 2017 ha cassato la richiesta con questa motivazione realpolitiker: «Non c’è dubbio che il Npd persegua obiettivi anticostituzionali, ma non c’è al momento alcuna prova concreta di qualche peso che suggerisca che ce la possa fare».
In questo contesto, non stupisce il sondaggio della Bild, quotidiano più che conservatore da cinque milioni di copie, secondo cui ben il quarantotto per cento degli intervistati è favorevole alla messa fuorilegge dell’Afd e solo il trentasette per cento è contrario.
La coscienza di massa del popolo tedesco è composta da un intrico di memorie e paure unico al mondo, di chi di volta in volta è stato consenziente al nazismo, poi al comunismo, all’Est, e contemporaneamente al capitalismo, all’Ovest. E oggi vede di nuovo imporsi nel voto il favore per valori di odio e sopraffazione. Che possono essere contrastati solo dalla politica, non dai divieti.
11/05/2025
da Remocontro