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Piazza Fontana e stragi del ’93 sono storie disconnesse. Eppure due prime pagine fanno pensare a un’analogia

Piazza Fontana e stragi del ’93 sono storie disconnesse. Eppure due prime pagine fanno pensare a un’analogia

Quando si ricordano le stragi di Piazza Fontana del 1969 e quella di via Palestro del 1993 nessuno le mette mai in relazione. In fondo è naturale sia così. Per la distanza temporale, la diversa magnitudo e le differenti responsabilità. Nessuno dubita che si tratti di due tributi di sangue a mostri diversi. La bomba esplosa 55 anni fa alle 16 e 37 del 12 dicembre nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura causò 17 morti e 88 feriti e, secondo la sentenza della Cassazione del 2005 fu concepita nell’ambito del movimento che faceva capo a Franco Freda e Giovanni Ventura, estremisti di destra legati a Ordine Nuovo. Non furono però processati per il principio del ne bis in idem, essendo già stati processati e assolti a Bari molti anni prima per lo stesso fatto.

L’esplosivo stipato nell”autobomba che saltò in aria davanti al Padiglione di Arte Contemporanea a Milano in via Palestro alle 23 e 14 del 27 luglio 1993 causando la morte di 5 persone e ingenti danni al patrimonio artistico veniva invece dalla Sicilia. Per le sentenze che hanno condannato i mafiosi capeggiati da Riina non ci sono nessi: come la prima è una strage neofascista, la seconda è una strage di mafia. C’è però un dato, spesso trascurato, che le accomuna.

Sia nel 1969 sia nel 1993 le stragi si verificarono a Milano ma altre bombe esplosero nello stesso giorno anche a Roma. In entrambi i casi le bombe romane non fecero vittime.

Il 12 dicembre del 1969 ci furono anche i tre attentati romani (alla Banca Nazionale del Lavoro di via San Basilio, vicino all’altare della Patria e davanti al Museo del Risorgimento nei pressi di piazza Venezia) che fecero 16 feriti. Le bombe di Roma è il titolo di un libro di Nicoletta Orlandi Posti uscito in seconda edizione nel 2019 per Castelvecchi, dedicato a quegli strani attentati seguiti da strane indagini e da una serie di strane morti che colpirono i testimoni o i giovani anarchici che volevano svelarne i misteri.

Nel 1993, 43 minuti dopo il botto in via Palestro (anticipato rispetto ai voleri degli attentatori dall’intervento dei vigili del fuoco e del vigile urbano morti nella deflagrazione insieme a un immigrato che riposava sulla panchina) saltò in aria a Roma un’autobomba posta di fianco alla Basilica di San Giovanni sotto alla stanza dove dormiva allora il pro-vicario di Roma e presidente della CEI Camillo Ruini. Appena tre minuti dopo un’altra bomba demoliva la facciata di San Giorgio al Velabro, anche in questo caso l’obiettivo non era lontano da Piazza Venezia.

A guardare insieme le due prime pagine dei quotidiani di quei due giorni così lontani e diversi è difficile non pensare a un’analogia. Quelle due prime pagine fanno venire in mente un messaggio comprensibile solo tra intenditori. La doppia esplosione di Roma insieme alla bomba di Milano del 1993 era una ‘citazione’ delle tre bombe romane del 1969 e mirava a rafforzare la minaccia del 1993 con l’eco del 1969?

 

C’è un altro dato che va tenuto a mente. La strage di piazza Fontana fu preceduta da una lunga serie di attentati che avevano nel mirino spesso i treni. Il 2 giugno del 1993, pochi giorni dopo la strage di Firenze del 27 maggio dietro agli Uffizi, e due mesi prima della notte delle bombe a Roma e Milano, fu ritrovata un’altra autobomba, inesplosa, nelle vicinanze di Palazzo Chigi in via dei Sabini. Non si è mai capito chi e perché la posizionò lì. Proprio mettendo in fila gli eventi, compreso il black out dei centralini alla Presidenza del Consiglio del 28 luglio, il premier Carlo Azeglio Ciampi quella notte del 1993 pensò a un colpo di Stato.

La strage di Piazza Fontana (con le tre bombe di Roma sempre dimenticate) nel 1969 aprì con un grande botto la stagione della strategia della tensione. Le due bombe di Roma e la strage di Milano della notte tra il 27 e il 28 luglio del 1993 sono state l’ultimo bagliore dello stragismo italiano prima di un lungo silenzio che, per fortuna, dura da più di 30 anni.

Non ci sono elementi certi per legare le stagioni stragiste degli anni Settanta e degli anni Novanta inserendole in un’unica trama che includa anche le stragi di Piazza della Loggia a Brescia e del treno Italicus, entrambe avvenute nel 1974, e poi gli anni 80 aperti dalla strage più grave, quella della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, anch’essa di matrice nera per le sentenze definitive. Eppure un discorso serio sulle stragi non può concentrarsi sulla singola strage ma deve provare a vedere il film intero. In questo quadro vanno inserite le recenti sentenze (non definitive) di Bologna contro Paolo Bellini per la strage della stazione.

Bellini non sembra un estremista nero come tanti ma un ‘infiltrato’ dentro l’eversione nera (per conto del MSI di Almirante dice lui) e poi dentro la mafia, per conto dei Carabinieri o di chissà chi altro. Si è raccontato anche come una sorta di agente speciale in missione per conto di quella parte dello Stato che rispondeva a esponenti di primo piano della Democrazia Cristiana di destra. Affermazioni senza riscontro. Come le piste sui mandanti esterni nelle stragi del 1992 e 1993, percorse con differenti gradi di convinzione a Firenze e Caltanissetta.

Allo stato dal punto di vista giudiziario le stragi del 1993 e la strategia della tensione sono storie sconnesse. Però chi guarda le due prime pagine del 1969 e del 1993 accostate l’una all’altra non può non farsi delle domande.

Non esistono elementi certi per dire che accanto alla mafia (certamente responsabile delle stragi del 1992 -1993) ci fosse un altro soggetto. Né esiste la prova che questo soggetto, se davvero tramò nell’ombra con Cosa Nostra in quel biennio, fosse lo stesso che ha coperto o agevolato i neofascisti nell’esecuzione della strategia della tensione dei decenni precedenti. Però a guardare le prime pagine del dicembre 1969 e del luglio 1993 sembra sensato ipotizzare che chi ideò le bombe nel 1993 conosceva la storia di 24 anni prima e decise di far saltare in aria via Palestro e le Basiliche per mandare un messaggio a qualcuno seduto dall’altra parte del tavolo in una partita a scacchi per intenditori.

Se l’ipotesi della ‘citazione’ a suon di bombe nel 1993 fosse giusta sarebbe sensato però cercare un regista della stagione delle stragi ‘mafiose’ con un profilo diverso da quello di Totò Riina da Corleone. Nessuno ha ancora trovato la risposta a queste domande. Sarebbe sbagliato giungere a conclusioni affrettate su un possibile nesso tra eventi molto lontani ma sarebbe più sbagliato ancora non provare a cercarlo.

12/12/2024

da Il Fatto Quotidiano

Marco Lillo

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