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Piazza Fontana: la “strage di Stato”

Piazza Fontana: la “strage di Stato”

Da Non dimenticare

11/12/2025

Rifondazione Comunista

Il 12 dicembre 1969, alle ore 16:37, una bomba confezionata con 7 kg di tritolo esplode nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana, a Milano, una strage che costò 17 morti e 88 feriti.

La strage alla Banca dell’Agricoltura fu la “Strage di Stato” che inaugurò la “strategia della tensione”.

Immagine in bianco e nero dell'interno della Banca Nazionale dell'Agricoltura in seguito allo scoppio della bomba. Nell'immagine è visibile parte del pavimento e dei banchi disposti a semicerchio cosparsi di macerie, vetri rotti e carte.

La Banca Nazionale dell’Agricoltura dopo lo scoppio della bomba, via Wikipedia.

Immediatamente le indagini furono indirizzate con una preordinata regia verso gli anarchici.

Nei giorni successivi alla Strage Pietro Valpreda fu additato come colpevole in base alla testimonianza del tassista Cornelio Rolandi, successivamente scomparso per disturbi cardiaci, che dichiarò di avere portato col suo taxi in quella piazza un uomo «molto somigliante a Valpreda» il quale sarebbe sceso con una valigetta per poi tornare sul taxi senza di essa. Furono arrestati anche altri cinque aderenti al Circolo anarchico 22 marzo.

Si scatenò all’unisono un vero e proprio linciaggio mediatico che presentò Valpreda come «il mostro di piazza Fontana». Per “Il Secolo d’Italia”, quotidiano del MSI, Valpreda è «una belva oscena e ripugnante, penetrata fino al midollo dalla luce comunista»; per “Il Messaggero”: è «una belva umana mascherata da comparsa da quattro soldi»; su “La Nazione” si legge: «un mostro disumano»; per l’organo del PSU, “Umanità”: è «uno che odiava la borghesia al punto da gettare rettili nei teatri per terrorizzare gli spettatori»; su “Il Tempo” diviene «un pazzo sanguinario senza nessuno alle spalle».

Valpreda, totalmente estraneo ai fatti, finì in carcere per tre anni, prima di venire del tutto assolto nel processo a suo carico. Andò peggio a Giuseppe Pinelli, un ferroviere, già partigiano e animatore del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa.

Pinelli morì nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969, quando il suo corpo precipitò da una finestra della questura di Milano, dove era trattenuto (oltre le 48 ore del fermo di polizia) «per accertamenti in seguito alla esplosione della bomba nella sede di piazza Fontana della Banca Nazionale dell’Agricoltura».

Nella questura raccontarono che Pinelli (il quale, come fu presto dimostrato, era del tutto estraneo alla vicenda) si era gettato di sotto: una sorta di ammissione di colpevolezza, dissero i media.

La vicenda, coperta da un patto omertoso, non fu mai ufficialmente chiarita.

Secondo una importante e accurata ricostruzione degli eventi che precedettero il 12 dicembre 1969 e la strage[1], la provocazione contro gli anarchici e la sinistra fu accuratamente preparata, con la diretta e decisiva partecipazione della grande stampa padronale e dei Servizi  cosiddetti “deviati”, per costruire l’immagine di una sinistra eversiva e sanguinaria, che rendeva necessaria una svolta autoritaria per ristabilire l’ordine.

Due bombe furono fatte scoppiare il 25 aprile, alla Fiera di Milano e all’Ufficio Cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni alla Stazione centrale di Milano. Meno di tre ore dopo, il Commissario Allegra (che ritroveremo nelle indagini su Piazza Fontana) scrive in un suo rapporto che i fatti «fanno presumere che gli attentati di cui sopra siano di provenienza anarchica».

Tra l’8 e il 9 agosto 1969, su dieci treni furono collocati altrettanti pacchi esplosivi. Due fecero cilecca ma otto scoppiarono. Dodici furono i feriti, tutti in modo lieve. Nel 1982 una sentenza di condanna definitiva accerterà che di quelle bombe erano stati responsabili i fascisti Freda e Ventura. Gli anarchici milanesi fatti oggetto della provocazione scontarono comunque oltre due anni di carcere.

La verità emerse solo grazie al coraggio del giudice Antonino Scopelliti, che da PM smontò l’impianto accusatorio preparato della polizia milanese (anche con testimoni falsi e provocatori opportunamente imbeccati). Scopelliti, che si autodefinì “giudice solo”, sarà ucciso con due fucilate alla testa, mentre era in macchina privo di scorta.

Immagine a colori di uno striscione che denuncia la strage di Stato. Una persona con cappello e giubbotto nero è intenta a completare con la bomboletta la scritta nera che recita: 
Sappiamo chi è STATO (in rosso) Fascismo e (parola coperta dalla figura che completa lo striscione) uccidono.
Uno striscione militante denuncia la strage di Stato.
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