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Povera Argentina, Milei peggio del Covid

Povera Argentina, Milei peggio del Covid

Nessuno meglio del governo Milei ad aumentare il numero di poveri nel paese: secondo l’ultimo rilevamento dell’Istituto di statisticasul primo semestre dell’anno, è il 52,9% della popolazione a vivere sotto la soglia della povertà, addirittura l’11,2% in più rispetto al semestre precedente, più del doppio dell’aumento registrato durante la pandemia. E assieme alla fame cresce la protesta.

Neppure il Covid era riuscito a fare peggio

29,6 milioni le persone per le quali sono diventati inaccessibili i prodotti che compongono il ‘paniere minimo di consumo’ ritenuto necessario per una vita dignitosa, di cui 5,4 milioni (dall’11,9% al 18,1%) non hanno neppure le risorse per alimentarsi correttamente. E ancora più drammatica è la condizione dei minori di 14 anni, il 66,1% dei quali appartiene a famiglie al di sotto della linea della povertà (e uno su quattro a famiglie indigenti). Situazione talmente drammatica che anche il Comitato Onu sui diritti dell’infanzia ha lanciato l’allarme sulla «continua e drastica diminuzione» dei fondi destinati ai bambini, compreso il taglio degli investimenti per la salute e l’educazione, come denuncia sul Manifesto Claudia Fanti

Colpevole di tutto è solo il peronismo

Di fronte ai 29mila poveri al giorno prodotti dal suo governo, il governo Milei attribuisce l’intera responsabilità della situazione alle amministrazioni precedenti: se il presidente e la sua équipe, ha anzi assicurato il portavoce Manuel Adorni, non avessero «scongiurato l’iperinflazione», la povertà sarebbe salita «fino al 95%». E se4 è vero che, se ci sono poveri, «è perché qualcuno ha fatto delle cose sbagliate», l’errore non va ricondotto al brutale programma di aggiustamento portato avanti dal governo, con la svalutazione del peso del 50% sul dollaro decisa lo scorso dicembre, l’aumento del prezzo degli alimenti e del costo dei servizi pubblici, la riduzione del salario reale dei lavoratori (del 29,5% rispetto allo scorso anno), il conseguente crollo del potere d’acquisto (del 48,6% rispetto al primo semestre del 2023), le ripetute ondate di licenziamenti.

I numeri favola di Milei

Gli altri numeri che a Milei piace sbandierare: come per esempio che se, all’inizio del suo mandato, l’inflazione era del 17mila% ora è scesa al 211,9% -sempre numeri da fantascienza orror-, oppure che l’incremento dell’8,1% delle pensioni, scongiurato dal veto presidenziale poi approvato dal Congresso, sarebbe costato al fisco 370 miliardi di dollari, cioè come otto volte il prestito concesso in precedenza dal Fondo monetario internazionale al governo di Mauricio Macri: una cifra peraltro contraddetta dallo stesso decreto da lui firmato. Per i pensionati, in ogni caso, i numeri vantati da Milei sono irrilevanti. E così continuano a manifestare ogni mercoledì di fronte al Congresso, incuranti del dispiegamento di poliziotti, gendarmi e militari disposto ogni volta dalla ministra Patricia Bullrich.

Università? Chiudiamole

Protestano anche i docenti e i lavoratori delle università nazionali, in difesa dei loro salari e della Legge di finanziamento universitario su cui Milei ha già annunciato un veto totale. Così come sul piede di guerra è l’Associazione dei lavoratori dello Stato (Ate), che, di fronte a una nuova scadenza di contratti trimestrali, teme una quarta rovinosa ondata di licenziamenti a fine mese, dopo quella dello scorso giugno. «Il conflitto sociale è in crescita – assicura comunque il segretario generale dell’Ate Rodolfo Aguiar -, insieme al livello di unità dei lavoratori in tutto il paese».

02/10/2024

da Remocontro

rem

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