09/10/2025
da Il Manifesto
Lorenzo D’Agostino Giornalista investigativo specializzato in politiche di frontiera
Un altro abbordaggio. Gli attivisti delle flottiglie possono essere ripresi dalle telecamere di Ben Givr, in ginocchio sul cemento e circondati dalle bandiere israeliane, ma non dalle telecamere delle loro barche, mentre sfidano disarmati l’esercito occupante
Un soldato israeliano si accorge della telecamera sull’albero maestro della barca appena assaltata. La telecamera inquadra un altro militare, al timone, circondato da un equipaggio con le mani alzate. Il soldato scala furiosamente l’albero, inizia a colpire la telecamera con il calcio del fucile.
La telecamera continua a trasmettere le immagini del gommone da cui è sceso il commando d’assalto che si allontana dalla fiancata destra della barca, verso il prossimo obiettivo. Il soldato in testa d’albero continua a sferrare colpi. Buio. Il video è stato ripreso sulla barca a vela Sunbirds della Freedom Flotilla diretta a Gaza, sequestrata dall’esercito israeliano in acque internazionali nella notte tra martedì e mercoledì. Una settimana dopo l’intercettazione, nelle stesse acque, della Global Sumud Flotilla. Anche in quel caso i primi obiettivi dei militari sono state le telecamere.
Sulla barca Hio la telecamera era fissata a poppa, proprio nell’angolo assegnato al corrispondente del manifesto dal protocollo di intercettazione. È bastato un colpo ben assestato per farla volare in mare. Poi i militari hanno divelto l’antenna di Starlink, il servizio internet satellitare, e ne hanno tagliato i cavi. Le prime domande urlate all’equipaggio sono state: c’è un’altra telecamera a prua? Sull’albero? No, quella distrutta era l’unica. C’è un altro Starlink? Sì, c’è un altro modem, quello che aveva portato con sé il fotografo Carlos Osorio, ma non è collegato. Sicuro che non è collegato? Sicuro, è nell’armadio della sua cabina. Due dei cinque soldati che avevano assaltato Hio si sono precipitati sottocoperta, hanno frugato nell’armadio. Anche il secondo modem è finito in mare.
«Il blocco navale contro Gaza è in linea con il diritto internazionale». «Gli attivisti delle flottiglie che provano a romperlo fanno il gioco dei terroristi». «L’esercito israeliano è il più morale al mondo». Questo ripete la propaganda di Tel Aviv: le operazioni di pirateria in cui l’Idf sequestra a punta di fucile medici, giornalisti, attivisti inermi non devono essere documentate. Lo stesso monopolio che Israele mantiene sull’ingresso e la distribuzione di aiuti umanitari si applica anche alle immagini. Gli attivisti delle flottiglie possono essere ripresi dalle telecamere di Ben Givr, in ginocchio sul cemento e circondati dalle bandiere israeliane, ma non dalle telecamere delle loro barche, mentre sfidano disarmati l’esercito occupante.
La tecnologia satellitare ha messo in scacco questo monopolio: le antenne di Starlink si sono dimostrate sorprendentemente resistenti alle interferenze delle navi da guerra, ma il loro padrone Elon Musk può staccare la spina a piacimento. L’ha fatto in Ucraina, potrà farlo con le flottiglie se le immagini delle loro telecamere diventeranno fastidiose. Nell’immaginario popolare le acque internazionali sono associate all’assenza di legge, una reputazione collegata alla difficoltà del trasmettere immagini dove le antenne tradizionali non arrivano. Ma il diritto del mare è antichissimo, e la coscienza delle sue violazioni corre parallela alla possibilità di documentare quello che succede in alto mare.
Per decenni i migranti che provavano ad attraversare il Mediterraneo sono morti senza che quasi nessuno se ne accorgesse, abbandonati alla deriva, affondati da milizie e guardie costiere. Poi sono arrivate le navi delle Ong, con le loro scialuppe di salvataggio ma soprattutto con le telecamere dei giornalisti che accompagnano le missioni. Il pubblico europeo ha scoperto le zone di ricerca e soccorso, l’obbligo di salvataggio in capo agli stati e le sue sistematiche violazioni. La videodocumentazione della cosiddetta crisi migratoria è diventata un campo di battaglia. Da un lato le immagini di persone provenienti dall’Africa e dall’Asia che festeggiano con canti di libertà abbracciati agli attivisti europei. Dall’altro le stesse persone, sedute a testa bassa su navi militari, circondati da soldati in tuta bianca mascherina e guanti, i loro gommoni di fortuna in fiamme all’orizzonte.
Qualcosa di simile sta succedendo con le flottiglie umanitarie per Gaza: le telecamere su cui si accaniscono a colpi di fucile i soldati israeliani hanno aperto una finestra sulle mostruose violazioni del diritto internazionale da parte dello stato israeliano. Ma le immagini possono saturare: com’è successo con le migrazioni mediteranee, il pubblico si anestetizza all’orrore. Chi – come chi scrive, per raccontarlo sul manifesto – ha viaggiato sulla Sumud Flotilla ha avuto addosso gli occhi del mondo. Con questa nuova ondata di barche l’attenzione rischia già di calare e le piazze servono proprio a evitarlo. Quante flottiglie ancora potranno viaggiare prima che i loro membri vengano dimenticati in una galera israeliana?