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Premi negati, fondi tagliati e teste rotolate: anatomia di un ministro in guerra con la cultura

Premi negati, fondi tagliati e teste rotolate: anatomia di un ministro in guerra con la cultura

Dimissioni, tagli punitivi, scandali e propaganda: il ministro Giuli trasforma la Cultura in campo di battaglia personale

Al Collegio Romano, un tempo bastione della cultura repubblicana, oggi regna un’aria acre, più prossima alla guerra di trincea che all’amministrazione pubblica. Il Ministero della Cultura, sotto la guida di Alessandro Giuli, si è trasformato in un laboratorio di scontri ideologici, crisi interne, polemiche costruite a tavolino e defezioni clamorose. Un cortocircuito sistemico che va oltre l’incidente di percorso.

Lo Strega, tra risentimento e vuoto di memoria

L’ultimo caso in ordine di tempo è quello del Premio Strega, con Giuli che ha accusato la Fondazione Bellonci di non avergli inviato i libri candidati, lamentando una presunta esclusione. Una strategia di vittimizzazione perfetta per il suo racconto sulla ‘cultura nemica’: “Forse da Amico della domenica sono diventato nemico della domenica“.

Ma la replica della Fondazione è gelida: i libri non sono stati inviati perché Giuli, appena nominato ministro, si era formalmente dimesso dalla giuria. Un vuoto di memoria che diventa una miccia: Fratelli d’Italia grida alla “epurazione”, il ministero parla di “sgrammaticatura istituzionale”, mentre le opposizioni accusano il ministro di “inciampare nel suo stesso risentimento“.

Dimissioni a catena, Cinecittà in fumo

Dietro le polemiche pubbliche, il MiC si sgretola. Prima Chiara Sbarigia, presidente di Cinecittà, poi Nicola Borrelli, direttore generale Cinema e Audiovisivo: due dimissioni eccellenti in una settimana, entrambe accompagnate da comunicati laconici e nessuna spiegazione reale.

Nel caso Sbarigia, il detonatore è lo sherpa Fabio Longo, consulente in quota leghista che, secondo le ricostruzioni giornalistiche, avrebbe suggerito ai giornalisti di attaccare Giuli e tacere su Borgonzoni. Una guerra per bande che mette in luce una verità: Giuli è un ministro circondato da trappole, più che da alleati. La sottosegretaria leghista è intoccabile, e i partiti si dividono i feudi del potere culturale.

Il caso Borrelli è ancora più sintomatico. Dopo l’esplosione dello scandalo Kaufmann – 863.000 euro di tax credit a un presunto duplice omicida per un film inesistente – il direttore generale è costretto a dimettersi. Giuli promette di trasformare il tax credit in un sistema “a prova di truffa”. La toppa è peggiore del buco: l’industria si ferma, le produzioni crollano, e 300 tra i maggiori nomi del cinema italiano – da Moretti a Cortellesi – firmano un appello contro il ministro, denunciando “una crisi di sistema creata dal governo“.

Festival puniti e premiati

La cultura, nel sistema Giuli, non si finanzia: si punisce o si premia. Il caso più eclatante è il Santarcangelo Festival, storica rassegna di teatro contemporaneo, esclusa dai fondi triennali senza spiegazione. La motivazione formale è un dimezzamento del punteggio. Tagli analoghi colpiscono la Biennale di Venezia, la Triennale di Milano, la Quadriennale di Roma, il Fai. Intanto, crescono i finanziamenti per iniziative identitarie vicine alla destra governativa.

Giuli si difende parlando di “commissioni indipendenti”. Ma sono commissioni nominate dal suo ministero. Matteo Orfini (Pd) non ha dubbi: “Le usano come manganelli“.

Gli intellettuali? Comici decadenti

Nelle sue uscite pubbliche, Giuli ha una teoria fissa sulla sinistra. “Avevano gli intellettuali organici, poi gli influencer, ora gli sono rimasti solo i comici“, ha detto a un evento a Firenze. Il riferimento a Geppi Cucciari e a Elio Germano non è neanche velato. La prima colpevole d’ironia ai David di Donatello, il secondo reo d’aver accusato il ministro di sabotare il cinema. La risposta istituzionale è il silenzio; quella politica è l’irrisione.

Un ministero di crisi permanente

Giuli non governa un ministero, ma un terreno di guerra: all’esterno, contro l’“egemonia culturale” della sinistra; all’interno, contro le sue stesse strutture e collaboratori. Anche il suo capo di gabinetto, Francesco Spano, si è dimesso a ottobre 2024 per “attacchi personali sgradevoli”, in una vicenda dai contorni omofobi che ha coinvolto anche il Maxxi.

È difficile stabilire se l’intento di Giuli sia la distruzione sistematica dell’esistente o se, più banalmente, si trovi ostaggio del suo stesso disegno ideologico. Di certo, l’effetto è quello di una paralisi. Le dimissioni non si contano, i dossier si accumulano, i bandi si fermano, i festival chiudono. La cultura si inaridisce mentre la propaganda si infiamma.

In un anno, Giuli è riuscito a trasformare il ministero della Cultura in un laboratorio tossico di discontinuità urlata, egemonia forzata e memoria selettiva. Un ministero dei veleni. E il veleno, si sa, non guarda in faccia nessuno.

04/07/2025

da La Notizia

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