La democrazia non si esaurisce nelle sue norme di funzionamento, ferma restando l'imprescindibilità della definizione e del rispetto delle "regole del gioco". Perché - come ricordava Norberto Bobbio - le condizioni minime della democrazia sono esigenti: generalità e uguaglianza del diritto di voto, la sua libertà, proposte alternative, ruolo insopprimibile delle assemblee elettive e, infine e non da ultimo, limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possano violare i diritti delle minoranze e impedire che possano diventare, a loro volta, maggioranze. È necessario misurarsi con la storia, porsi di fronte allo stato di salute delle istituzioni nazionali e sovranazionali e dell'organizzazione politica della società. Nuovi steccati sono sempre in agguato a minare la basi della convivenza sociale: le basi della democrazia non sono né esclusivamente istituzionali né esclusivamente sociali, interagiscono fra loro. Cosa ci aiuta? Dare risposte che vedono diritti politici e sociali dei popoli concorrere insieme alla definizione di un futuro comune. [Sergio Matttarella, presidente della Repubblica]
Giorgia Meloni ha definito la riforma costituzionale che introduce l’elezione diretta del presidente del consiglio in Italia, la “madre di tutte le riforme”. L’obiettivo, sostiene la presidente, «è garantire il diritto dei cittadini di scegliere da chi farsi governare mettendo fine alla stagione dei ribaltoni». Nelle intenzioni del governo, questa norma vuole evitare che il risultato delle elezioni sia modificato con cambi di maggioranza durante la stessa legislatura.
La riforma è stata approvata dal Senato il 18 giugno e ora dovrà essere esaminata dalla Camera.
L'articolo 138 della Costituzione italiana infatti prevede due votazioni in ognuno dei rami parlamentari. Una riforma costituzionale va approvata con maggioranza assoluta in seconda votazione. Ma potrebbe essere molto difficile per Giorgia Meloni ottenere un sostegno così ampio.
Il referendum è quasi automatico per riforme costituzionali che non hanno due terzi dei voti in Parlamento (com'è già successo nel 2016 con la riforma costituzionale proposta dal governo Renzi che fu respinta dagli elettori così come dieci anni prima nel 2006 fu respinta dal 61% degli italiani la riforma costituzionale proposta da Berlusconi che riguardava fra l’altro proprio un premierato forte e la devoluzione dei poteri alle regioni).
Il testo della riforma approvato in ogni caso può essere sottoposto successivamente a referendum su richiesta di 500 mila elettori, di un quinto dei membri di una camera o di cinque Consigli regionali, tranne nei casi in cui, come già precisato, le camere abbiano approvato in seconda deliberazione con la maggioranza dei due terzi dei componenti.
Ricordiamo che nei referendum costituzionali non c'è il quorum.
Liliana Segre, che raramente interviene in aula, in un discorso al Senato, ha messo in guardia sugli aspetti inquietanti di questa riforma: “Non posso e non voglio tacere”, ha detto la senatrice nel suo intervento di 12 minuti. Il rischio è il dominio assoluto del capo del governo. Al fianco di Liliana Segre si è alzata la voce di 180 costituzionalisti: “La riforma distrugge il principio della separazione dei poteri, non possiamo tacere”.
Elezione diretta del premier: una riforma che non garantisce alcuna stabilità
Intanto il 19 giugno è stato approvato definitivamente dalla Camera il disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata. Pochi giorni dopo la presidente Meloni ha pubblicato un video per fare chiarezza sulla riforma e cogliere l’occasione per sostenere che il lavoro del governo, cito testualmente: "Va avanti a passi spediti per riformare questa nazione nonostante l'opposizione feroce di chi pur dicendo ogni giorno che in Italia molte cose non vanno bene ci propone come unico programma quello di lasciare tutto com'è. Però noi abbiamo preso degli impegni con gli italiani che ci chiedevano un cambiamento e intendiamo rispettare quegli impegni. Non a caso in meno di venti mesi abbiamo già avviato diverse importanti riforme”. E tra queste cita anche quella della giustizia.
L’autonomia differenziata fra sogni, rischi ed esiti imprevedibili
Premierato, autonomia differenziata e depotenziamento dei poteri e dell’autonomia della magistratura tre riforme che potrebbero, secondo l’allarme di alcuni esperti e giuristi, disfare l’Italia.
Il costituzionalista, Michele Ainis, per esempio, è stato durissimo. Ha scritto su Repubblica, riferendosi a premierato e autonomia differenziata,: “Una riforma al giorno leva la Costituzione di torno. Lunedì il premierato, martedì l’autonomia differenziata. Oggi riposo, se lo sono meritati. Ma la domanda è se la meritano gli italiani, questa doppia innovazione?” La Costituzione non è intoccabile, dice Ainis, ma il punto cruciale è cosa si vuole toccare e soprattutto come. Bocciando sonoramente le scelte del governo Meloni perché per entrambe le riforme viene meno un criterio fondamentale delle democrazie costituzionali e cioè quello dei pesi e contrappesi dei principi costituzionali, che - scrive Ainis - si compensano a vicenda, si bilanciano, si tengono in reciproco equilibrio. Né più né meno dei poteri dello Stato. Giacché dove c’è un potere, a fronteggiarlo dev’esserci un contropotere. Per impedirgli abusi, per evitare il rischio che la potenza del governo divenga prepotenza verso i cittadini”.
Ecco i cittadini. Secondo la sondaggista Alessandra Ghisleri, solo un italiano su 3 promuove le riforme ma oltre il 20 per cento non è informato.
In questa tappa del nostro viaggio nella politica italiana, per capire meglio queste riforme e come cambieranno l’assetto istituzionale del paese, ci siamo fatti accompagnare dalla giurista Vitalba Azzollini, che lavora presso una autorità indipendente ed è autrice di articoli e contributi in materia giuridica, nonché di paper per l’Istituto Bruno Leoni (IBL), scrive per il quotidiano Domani oltre che per Valigia Blu ed altre realtà. Durante la nostra conversazione non abbiamo potuto non toccare una vicenda cruciale che riguarda il rapporto tra media e potere: l'inchiesta di Fanpage che ha svelato atteggiamenti antisemiti, razzisti, di esaltazione del fascismo e del nazismo da parte di alcuni militanti di Gioventù Nazionale, il movimento giovanile di Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni ha criticato Fanpage per aver usato una giornalista sotto copertura, che si è “infiltrata” dentro Gioventù Nazionale. La presidente del Consiglio, rivolgendosi a un giornalista, ha messo in dubbio la possibilità per i giornalisti di fare inchieste sotto copertura come quella di Fanpage. «È consentito? Lo chiedo a lei, lo chiedo ai partiti politici, lo chiedo al presidente della Repubblica. È consentito da oggi?», ha dichiarato la leader di Fratelli d’Italia, secondo cui «in altri tempi questi sono i metodi che usano i regimi: infiltrarsi nei partiti politici non è un metodo giornalistico». Su Valigia Blu avevamo già chiarito che le inchieste sotto copertura sono giornalismo e sono possibili proprio perché siamo in democrazia. Semmai nei regimi si usa il metodo di spiare, minacciare, sopprimere la libertà di fare giornalismo e informazione. Vitalba Azzollini ha spiegato in punta di diritto perché le affermazioni di Giorgia Meloni non reggono e perché le inchieste sotto copertura sono assolutamente legittime. Infine, toccando il tema dei diritti, Azzollini ha parlato della Gestazione per Altri che il governo vorrebbe rendere reato universale. Qui il nostro approfondimento sul tema.
07/07/2024
da Valigia blu