08/11/2025
da Lwft
In questo Paese la lotta di classe esiste. Solo che marcia al contrario. I ricchi guardano. I poveri combattono per loro
Da anni in Italia va in scena un numero di prestigio: far difendere i ricchi dai poveri. Lo schema è semplice. Si parla di una patrimoniale solo sui patrimoni sopra i 2 milioni di euro – circa l’1% del Paese – destinata a finanziare sanità e welfare, cioè ciò che serve a chi non ha santi in paradiso. Eppure la rivolta arriva dal basso. Il ceto medio, gli stipendi da 1.400 euro al mese, i proprietari di un trilocale in periferia. Tutti mobilitati contro una tassa che non li riguarderebbe. Un capolavoro politico.
Il trucco funziona così: si confonde patrimonio con reddito. Si fa credere che “ricco” possa essere chiunque, perfino chi fa fatica a pagare il mutuo. La parola “patrimoniale” viene lasciata marcire come minaccia sulla prima casa, che infatti non è solo un bene: è l’ultimo orgoglio rimasto, il testimone del sacrificio familiare. Toccarla, anche solo evocarlo, è come evocare una rapina a mano armata. Il risultato è che chi non è ricco si sente sotto attacco, e per difendersi difende chi ricco lo è davvero.
E mentre i lavoratori vengono arruolati a protezione dei patrimoni milionari, lo stesso governo che tuona contro l’“esproprio” sta portando a 300.000 euro la flat tax dei paperoni per i super-ricchi stranieri: venite, niente domande, pagate una cifra fissa e tenetevi tutto il resto. Cioè: ai miliardari che arrivano regali fiscali. A quelli che qui ci vivono, “mai una patrimoniale”. È la politica come marketing del lusso.
Il paradosso non è ingenuo. È costruito. Funziona perché lo Stato ha rotto il patto: si chiede di contribuire, ma non si vede il ritorno. E allora la paura diventa identità. Meglio difendere l’illusione della scalata sociale, anche quando l’ascensore è guasto.
In questo Paese la lotta di classe esiste. Solo che marcia al contrario. I ricchi guardano. I poveri combattono per loro.

