C'era una volta
Oppure, quando e come uno Stato arriva a riconoscere un problema militare prima di arrivare alla sconfitta, o se preferite, i problemi politici a iniziare un sempre difficile percorso politico diplomatico, una trattativa ad evitare ulteriori perdite umane e distruzioni. Voi potete pensare all’attualità, ma ‘C’era una volta’ insegue la storia.
Con Giovanni Punzo che ci ricorda una frase molto nota e abusata (e altrettanto incompresa) che dice che «la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi». Ma – per l’una o per l’altra – i mezzi bisogna averli comunque. E sulla scia di Von Clausewitz, parte da lontano.
La fine della guerra civile americana
Il 9 aprile 1865 il comandante dell’esercito confederato Robert Lee incontrò in una casa di campagna della Virginia il generale nordista Ulysses S. Grant. Nelle giornate precedenti l’ultima armata del Sud rimasta efficiente era stata completamente circondata dalle forze dell’Unione nei dintorni di Appomattox e la sola scelta possibile era la resa. Lee si presentò con un piccolo seguito ed accettò le condizioni proposte da Grant che del resto erano state suggerite pochi giorni prima dallo stesso presidente Lincoln: i sudisti che si fossero arresi, una volta consegnate le armi, avrebbero potuto far rientro alle proprie case.
Per un attimo sembrò che fossero cessati in poche ore quattro anni di lotta fratricida, ma – nonostante l’evidente sproporzione di forze e la conclusione delle ostilità – la pace non fu immediata. Nonostante lo stesso Lee avesse esortato a cedere le armi, da una parte alcuni reparti sudisti continuarono a combattere e dall’altra a complicare ulteriormente le cose si verificò un evento drammatico che avrebbe esasperato gli animi: il 15 aprile fu assassinato il presidente Abraham Lincoln da un estremista del Sud che non accettava la sconfitta.
Le sacche di resistenza degli sconfitti furono annientate duramente e non mancò un certo spirito punitivo nelle ultime operazioni contro i ribelli come disse apertamente il segretario alla guerra Stanton. Solo nell’agosto 1866, dopo una sanguinosa insurrezione nel Texas contro l’Unione, Andrew Johnson, che era succeduto a Lincoln, proclamò che dal quel momento in tutti gli Stati Uniti regnava la pace.
La caduta dell’impero tedesco
Fino alla primavera del 1918 -prima guerra mondiale-, la Germania riuscì a tenere testa alle forze alleate sul fronte occidentale, sia grazie ad un’efficientissima organizzazione militare-industriale, sia ricorrendo alle risorse saccheggiate in Russia ed Ucraina –parti delle quali erano state occupate dopo la pace di Brest-Litovsk – che riuscirono a placare temporaneamente i maggiori bisogni. Nonostante i successi iniziali dell’ultima offensiva a occidente, gli alleati riuscirono a tamponare le falle e a fermare l’offensiva tedesca, ma non si prevedeva una fine del conflitto fino alla primavera del 1919. La Germania era però sul orlo del baratro.
La pressione alleata dopo l’ultima offensiva tedesca aveva provocato più di centomila morti solo nel mese di settembre e il potente strumento militare tedesco si stava disgregando: il 29 settembre infatti Ludendorff, in un colloquio con l’imperatore, aveva affermato che l’esercito era prossimo alla fine e che era necessario avviare trattative di pace e il 4 ottobre il nuovo cancelliere tedesco, Max von Baden, aveva inviato un messaggio in tal senso agli alleati.
Solo Guglielmo II sembrava non capire la situazione. A destarlo bruscamente fu il generale Wilhelm Groener, uno dei pochi borghesi tra i tanti ‘von’ dell’alto comando, che – con estrema franchezza ai limiti dell’aperta ribellione – lo invitò ad andare al fronte, non per distribuire decorazioni, ma «per trovare la morte» pur di far finire il massacro. Il 9 novembre Guglielmo II abdicò e il giorno 11 fu siglato l’armistizio.
Inganni e illusioni in Italia
Che lo strumento militare italiano non fosse adeguato al conflitto, fu intuibile già dal fallimento della campagna di Grecia, e cioè dall’inverno del 1940. A far riflettere seriamente nel 1941 ci fu anche la fine dell’impero, quando le ultime forze italiane asserragliate sull’Amba Alagi si arresero gli inglesi. Nel 1943 si verificarono due disastri che sancirono oltre ogni ragionevole dubbio la necessità di uscire dal conflitto: la fine della disastrosa campagna di Russia e la resa in Tunisia delle forze che avevano combattuto sino a quel momento in Nord Africa.
Eppure, a palazzo Venezia e non solo, si continuò ad immaginare (o sognare) una soluzione politica che salvasse il regime. Lo sbarco in Sicilia accelerò la crisi, ma il 25 luglio fu una sorta di giornata degli inganni: ogni cospiratore probabilmente agì per conto proprio e per il proprio interesse, ma alla fine prevalse la spregiudicatezza del re che fece arrestare Mussolini nella convinzione di aver salvato il trono.
Solo il tragico Otto Settembre, con l’occupazione tedesca e lo sfaldamento totale dell’esercito, tolse ogni illusione residua. Il paese finì spaccato in due parti, nessuna delle quali era veramente libera: a parte i tedeschi al Nord e la repubblica di Mussolini, anche il regno del Sud era infatti controllato dagli alleati.
10/03/1950
da Remocontro