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Quel poco di Palestina che resterà, Colonia americana

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Ennio Remondino

‘L’emiro di Gaza’ titola il manifesto. Piano Trump, sì di Netanyahu. Ostaggi liberi, ritiro israeliano, disarmo di Hamas, governo tecnico. Governo provvisorio di Gaza affidato a un ‘comitato tecnocratico’ controllato da Trump e Blair, nessun ruolo per l’ANP. Hamas: «Studieremo in buona fede e risponderemo, ma Blair è inaccettabile»

La Gaza americana senza liberazione

Delirio di onnipotenza: «uno dei giorni più belli della storia della civiltà, un giorno storico non solo per Gaza ma per l’intera regione» perché lui, Donald Trump, ha «risolto tutto, si chiama pace perenne in Medio Oriente». Problemi psichiatrici a parte, l’immobiliarista della Casa Bianca celebra l’affare del secolo: »affari multimiliardari di ricostruzione, il flusso di denaro che il Golfo inietta nell’economia statunitense, «una stabilità regionale camuffata da pace che non prevede liberazione», la sintesi di Chiara Cruciati.

Netanyahu costretto, salvo sorprese

Conferenza stampa congiunta con il primo ministro israeliano, Trump ha annunciato il via libera di Tel Aviv al piano della Casa bianca. Dentro –a parole-, c’è molto: la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani in 72 ore e il cessate il fuoco a Gaza, l’ingresso degli aiuti umanitari gestiti dall’Onu, l’amnistia per i membri di Hamas «che rinunciano alla violenza», la negazione della pulizia etnica («residenti liberi di stare o di andare e tornare) e c’è soprattutto la cornice più generale. Insomma, il novo modello di ‘colonizzazione occidentale del terso millennio’.

Board of Peace

Ha un nome, Board of Peace, il Consiglio della Pace; ha un presidente, Donald Trump che però ci tiene a precisare che non lo ha chiesto lui –modesto e ritroso com’è-, hanno insistito gli altri. Ed ecco che l’eterno immobiliarista togliere ai palestinesi il controllo del proprio futuro e della ricostruzione, rischiando persino l’assurdo di un premio Nobedl, un affare troppo succoso per lasciarlo marcire. Al suo fianco, ci saranno «figure internazionali» come l’ex premier britannico Tony Blair, «noto distruttore di paesi altrui».

  • Ma attenti: «Se Hamas se si tira indietro, Washington sosterrà la reazione israeliana, qualunque essa sia». Ma questo è il finale tragico dopo la commedi

L’altro ‘nobile personaggio’

Netanyahu, decisamente più politico: «Sosterrò il tuo piano per porre fine alla guerra a Gaza», dice, perché ricalca «le priorità del governo israeliano». Ovvero la liberazione di tutti gli ostaggi, il disarmo di Hamas e la demilitarizzazione di Gaza, ma anche la permanenza dell’esercito israeliano ai suoi confini («responsabile della sicurezza per il futuro») e un’amministrazione pacifica che escluda tanto Hamas quanto l’Autorità nazionale palestinese. Insomma, una Gaza che libera non lo sarà mai. Colonia israelo americana

Autorità Nazionale Palestinese addio

Le mine che Netanyahu semina sul percorso, le mani che si tiene slegate. Per accettare ancora la pur servile Anp, rinunci alla Corte penale e alla Corte internazionale e che riconosca lo stato di Israele (già fatto, nel 1993). Sono In attesa della risposta ufficiale, ieri funzionari di Hamas ribadivano di non aver ricevuto ancora il piano e, in ogni caso, di ritenere il disarmo una richiesta irricevibile in assenza di uno stato. Oltra la commedia televisiva in mondo visione dell’ormai bolso attore di quarte fila, i retroscena che via via emergono e sveleranno la vergogna.

Dichiarazioni e indiscrezioni

Secondo una fonte del governo Usa citata da Axios, «tutti, e intendo tutti, sono esasperati da Bibi». Tutti, compreso Trump, che da un orecchio sente i suoi consiglieri ricordargli i danni in credibilità che gli arreca l’incapacità di tenere a bada l’amico israeliano e dall’altro gli alleati arabi, finanziatori della sua economia nazionale e personale. Domenica l’inviato Steve Witkoff ha trascorso due ore nella camera di albergo di Netanyahu a Washington per assicurarsi il sì al piano. E durante l’incontro nello Studio ovale, Netanyahu ha dovuto chiamare il primo ministro del Qatar per esprimere «profondo rammarico per le bombe su Doha e promettere che «Israele non condurrà più attacchi simili».

Netanyahu verso l’epilogo

Netanyahu stretto all’angolo, schiacciato tra le proteste delle famiglie degli ostaggi che implorano un accordo e l’ultradestra che non intende stringerne nessuno. L’ultra desto Smotrich ha elencato le sue ‘linee rosse’: presenza dell’esercito israeliano lungo il confine, libertà di agire al suo interno e assenza dell’Anp dall’orizzonte futuro), ma anche il movimento dei coloni, Yossi Dagan, il rappresentante dei coloni nel nord della Cisgiordania occupata) si è detto insoddisfatto dell’incontro di domenica con il premier perché non avrebbe ottenuto rassicurazioni sull’annessione della West Bank.

Stato di Palestina forse mai

Lo scetticismo è legittimo, perché i tre incontri precedenti fra il premier israeliano e il presidente Usa si erano conclusi con dichiarazioni roboanti, non seguite da una tregua. Dalla ‘Riviera di Gaz di Trump al premio Nobel proposto da Netanyahu per il presidente Usa a luglio, solo dodici ostaggi sono stati rilasciati, mentre nella Striscia si è continuato a morire, di guerra e di fame. Ma da qualche settimana il vento a Washington è cambiato. Trump ha bisogno di risultati su almeno uno dei due conflitti — Gaza e Ucraina — che aveva promesso di risolvere ‘dal primo giorno’ del suo insediamento e si è adoperato per raccogliere consensi attorno alla sua idea, presentando il suo piano ai leader arabi all’Assemblea Generale Onu la scorsa settimana e poi modificandolo per renderlo più accettabile per Netanyahu, e molto meno per le speranze dei palestinesi di Gaza e Cisgiordania.

La somma dei dubbi e degli ostacoli

  • Riuscirà Hamas a superare la forzatura di molte clausole? E potrà Netanyahu cantare vittoria in casa per un piano che  nega molti fondamenti strategici delle politiche del suo governo nazionalista (no a sovranità palestinese, sì a occupazione di Gaza, nessun ruolo della comunità internazionale e del mondo arabo in Palestina)? E soprattutto, come la prenderanno quei leader radicali israeliani che giusto ieri paragonavano le scuse di Netanyahu al Qatar agli Accordi di Monaco del 1938? E Netanyahu stesso sarà sincero nell’applicare questo progetto, dopo molti dietrofront del suo passato? Per ora solo un’idea di pace, sottolinea Andrea Muratore, ‘Ma non è detto che sia una pace giusta né una pace sostenibile’.
  • Grande confusione sotto il cielo e una situazione per niente eccellente.
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