Il martedì fatale del nuovo presidente americano che, fuso orario permettendo, inizierà a dare numeri già nella notte, ma la certezza del nuovo presidente Usa tra chi sa quanti giorni. Se non sarà rissa o peggio. Comunque presidente eletto ‘in panchina’ -altra originalità-, col presidente uscente, Biden, che resta al comando sino al 20 gennaio a mezzogiorno, quando il nuovo presidente giura e assume il potere. Ultima decisa ‘originalità’, il presidente eletto non deve essere necessariamente quello più votato, ed è accaduto sovente. Dubbi minori: cosa sono i Grandi Elettori? E perché si vota di martedì e a novembre?
Il presidente di Natale benedetto alla Befana
Elezione indiretta: i cittadini eleggono i cosiddetti ‘grandi elettori’ in ciascuno dei 50 Stati nei quali sono divisi gli USA e nel Distretto di Columbia (il territorio della capitale Washington D.C.); i ‘grandi elettori’ a loro volta eleggono il presidente. Ciascuno Stato elegge un numero di grandi elettori pari al numero di deputati e senatori che esprime al Congresso, per un totale di 538. Quasi in tutti gli Stati è in vigore il sistema maggioritario puro: il candidato che ottiene la maggioranza relativa, conquista tutti i grandi elettori in palio. Vale a dire che non c’è alcuna proporzionalità tra voti ricevuti e l’eventuale elezione. Un’altra peculiarità del sistema americano è che l’election day’ cade di martedì: è una scelta della prima metà dell’Ottocento, quando la maggioranza della popolazione lavorava in agricoltura.
Federalismo, bipartitismo e primarie
Per comprendere il meccanismo dell’elezione del presidente degli Stati Uniti, bisogna tenere presente che il Paese è diviso in cinquanta Stati, ciascuno dei quali può scegliere la propria legge elettorale. Inoltre, il sistema politico statunitense è, per tradizione, bipartitico: solo due partiti, quello democratico e quello repubblicano, si contendono i favori dell’elettorato. Questo non significa che alle elezioni non possano presentarsi altre forze politiche, ma la partita per eleggere il presidente e le altre cariche importanti si gioca sempre tra i due partiti maggiori. Democratici e repubblicani presentano alle elezioni un ‘ticket’ composto da un candidato presidente e un candidato vice, scelti nei mesi precedenti con elezioni primarie di partito.
I ‘grandi elettori’
L’elezione del presidente degli Stati Uniti è a due livelli: i cittadini eleggono i ‘grandi elettori’, cioè persone designate dai partiti prima delle elezioni. I ‘grandi elettori’, a loro volta votano per eleggere il presidente. Ciascun Stato dell’Unione elegge un numero di grandi elettori pari al numero di delegati che esprime al Congresso (composto dal Senato e dalla Camera dei rappresentanti); altri tre sono eletti dai cittadini del District of Columbia. Dopo le elezioni, i grandi elettori si riuniscono in ciascuno Stato per esprimere il loro voto. Le preferenze sono poi sommate a livello nazionale; il candidato che ottiene la maggioranza diventa presidente.
‘Grandi elettori’ a voto di mercato
In teoria, i grandi elettori non hanno vincolo di mandato e possono votare per un presidente diverso da quello dal quale sono stati designati. Questa eventualità, però, è accaduta pochissime volte e non ha mai avuto -finora-, effetti sul risultato finale. Solo un voto in più e prendi tutto. Per eleggere i grandi elettori, in 48 Stati vige il sistema maggioritario puro: il candidato che ottiene la maggioranza relativa, anche di un solo voto, guadagna tutti i seggi in palio. È il principio chiamato ‘winner take all’ (il vincitore prende tutto). Solo in due Stati, Nebraska e Maine, il meccanismo è misto maggioritario/proporzionale e il candidato che vince non guadagna tutti i grandi elettori.
Criticità del sistema elettorale statunitense
Il sistema elettorale americano è oggetto di molte critiche. Anzitutto, a causa del maggioritario puro, che non garantisce che sia eletto il presidente che ottiene il maggior numero di voti dei cittadini. Può infatti accadere che un candidato ottenga più voti dai cittadini, ma un numero inferiore di grandi elettori. Fino a ora questa eventualità si è verificata cinque volte, l’ultima delle quali nel 2016, quando Donald Trump sconfisse la sua avversaria, Hillary Clinton, pur avendo ottenuto circa tre milioni di voti in meno dai cittadini.
I più piccoli pesano di più
Inoltre, non tutti i voti hanno lo stesso peso. Il sistema prevede che ciascun Stato elegga un numero di grandi elettori pari al numero di rappresentanti che ha al Congresso, comprendendo sia i senatori, che sono in totale 100, sia rappresentanti alla Camera, che sono 435. Il problema è che,il numero di rappresentanti di ciascuno Stato è proporzionale al numero degli abitanti, mentre il numero di senatori è pari a due per tutti gli Stati, indipendentemente dalla popolazione. Ne consegue che, sia al Congresso, sia alle presidenziali, il “peso” degli elettori degli Stati meno popolosi è maggiore rispetto a quello degli Stati con più abitanti.
Perché si vota di martedì
Altra originalità delle presidenziali americane è che si tengono di martedì. Il martedì successivo al primo lunedì di novembre. Il giorno fu scelto nel 1845, quando gran parte della popolazione lavorava in agricoltura ed era molto religiosa. Non si poteva scegliere la domenica, dedicata alle celebrazioni liturgiche, né il lunedì, perché per molti cittadini avrebbero dovuto mettersi in viaggio di domenica con lunghi viaggi in carrozza. E niente mercoledì, giorno nel quale c’erano i mercati dei prodotti agricoli. Quando gli Stati Uniti hanno cessato di essere un Paese prevalentemente agricolo, il giorno è stato confermato per rispetto della tradizione. Anche la decisione di votare in novembre fu presa per ragioni legate all’agricoltura: è infatti un mese nel quale il lavoro nei campi è ridotto.
Poca storia e anche la più pasticciata diventa preziosa
Tutto inizia col primo presidente, eletto da pochi rappresentanti di pochi territori che volevano essere Stati. L’America rubata ai ‘pellerossa’, intanto cresce e a inizio 1800 deve inventarsi delle regole per il dopo, in un gran pasticcio. C’erano i «federalisti» a favore di un governo centrale forte, e i «repubblicani» a favore di un sistema più decentrato. Qualche decennio più tardi arrivano i partiti: quello democratico nel 1825, quello repubblicano nel 1854. Per la selezione dei candidati, nel Novecento nascono le ‘primarie’, oggi passaggio essenziale della politica americana.
Regola Stato per Stato
I cittadini designano i loro delegati con modalità diverse tra i repubblicani e i democratici e tra i diversi territori. Un minestrone. In sei Stati la designazione dei delegati avviene con assemblee pubbliche chiamate «caucus», come le riunioni dei nativi americani. Ma dopo Toro seduto la cosa si complica. Primarie e caucus possono essere «chiusi», riservati solo agli ‘elettori registrati’, e scopriamo che ogni cittadino deve chiedere di poter esercitare il suo diritto di voto registrandosi sulla piattaforma elettorale un mese prima del giorno del voto). Un diritto su prenotazione. In altri Stati, seggi «aperti» a tutti i cittadini, come democrazia vuole.
Diritto di voto, ma non sempre
Nella storia degli Usa, l’effettivo esercizio del diritto di voto è stato, e per certi versi continua a essere, un campo di battaglia politico. Nei primi tempi -ad esempio-, potevano andare alle urne solo i maschi bianchi, e solo se proprietari di terre. Gli afroamericani -sempre e solo i maschi-, furono ammessi nei seggi solo con il Quindicesimo Emendamento, ratificato da tutti gli Stati nel 1870. E allora caddero anche le limitazioni del diritto di voto collegate al censo. Le donne conquistarono la scheda elettorale solo nel 1920. Ma in molti Stati del Sud rimasero e sono in vigore norme che ostacolavano il voto degli afroamericani.
Le furberie antidemocratiche
In diversi aeree del Sud, come Alabama e Georgia, le amministrazioni repubblicane hanno votato una serie di norme restrittive per scoraggiare una larga partecipazione al voto. I movimenti per i diritti civili degli afroamericani sostengono che tutti i vincoli e i cavilli burocratici servono ad allontanare dalle urne chi ha più difficoltà a districarsi con i moduli e i formulari. Vale a dire le minoranze etniche, tendenzialmente meno istruite o, più semplicemente, con meno tempo a disposizione. Ci sono anche degli esempi surreali. La Georgia, guidata dai repubblicani, nel 2021 ha approvato una legge che vieta di distribuire acqua e cibo a chi è in coda, magari da ore, davanti ai seggi. Come dire: statevene a casa.
Perché il sistema dei Grandi Elettori?
I Padri fondatori della Costituzione americana, dopo essersi liberati dal dominio del Re d’Inghilterra, erano ossessionati dal timore che il nuovo Paese potesse cadere nelle mani di un altro monarca, se non addirittura di un despota, questa volta fabbricato in casa. E tutti i rappresentanti delle Tredici ex colonie riuniti nel 1787 nella «Constitutional Convention» di Philadelphia, i latifondisti e schiavisti del Sud, assieme ai commercianti e banchieri del Nord, concordarono su un punto: per costruire una vera Repubblica democratica era necessario adottare, in modo rigoroso, il principio elaborato dal francese Montesquieu: la divisione e l’indipendenza dei tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario.
La divisione dei poteri
I delegati decisero che il Congresso, il ramo legislativo, sarebbe stato eletto dai cittadini. Ma chi avrebbe scelto il Presidente, il capo dell’esecutivo? E Congresso e Presidente non potevano essere scelti nello stesso modo, cioè dal voto diretto dei cittadini. Lo stallo durò diversi mesi, fino a quando James Wilson, delegato della Pennsylvania, escogitò il meccanismo ancora oggi in vigore. Il presidente sarebbe stato scelto formalmente da un nuovo organismo: il Collegio dei Grandi Elettori. In realtà, fin dalle origini, questa procedura si è rivelata solo trovata formale: sono i cittadini a scegliere i Grandi Elettori e quindi a determinare la nomina del Presidente.
‘Grandi elettori’ distribuiti come?
Ognuno degli allora 13 Stati (oggi sono 50) esprimeva un numero di deputati proporzionale alla sua popolazione. Ma ogni territorio, che sia grande come la California o piccolo come il Connecticut, ha diritto a due senatori. Sono principi alla base di una Repubblica che mescola l’essenza della democrazia (conta il volere della maggioranza della popolazione) e quella del federalismo (tutti gli Stati devono avere lo stesso peso politico). Un sistema che nel tempo ha prodotto distorsioni e polemiche. Esempio classico: la California ha 39 milioni di abitanti e 55 Grandi Elettori. Il Wyoming è popolato da 581 mila persone e può contare su 3 Grandi elettori.
L’iter della transizione
Il risultato delle elezioni viene di solito annunciato dai media americani poche ore dopo la chiusura dei seggi sulla base delle proiezioni. La soglia da raggiungere è di 270 Grandi Elettori. Per l’ufficialità, però, bisogna attendere ancora qualche settimana. Le autorità dei singoli Stati devono comunicare i dati, prevedono le leggi, «non più tardi del quarto mercoledì di dicembre». Quest’anno la scadenza sarà il 25 dicembre. Il Congresso si riunisce a Camere riunite il 6 gennaio, per ratificare i risultati e proclamare la nomina del presidente. Una data insignificante per un passaggio puramente formale fino al 2021, quando i supporter di Trump assaltarono Capitol Hill per provare a sabotare la ratifica.
Le elezioni politiche trascurate
Oggi si vota anche per rinnovare l’intero emiciclo della Camera (435 deputati) e un terzo dei 100 senatori. In caso di pareggio tra i candidati si decide il 3 gennaio 2025. Nel 2000 si verificò un clamoroso corto circuito. Al Gore e George W.Bush presentarono una serie di ricorsi per il risultato in Florida. Alla fine intervenne la Corte Suprema di Washington che assegnò la vittoria a Bush. Tutti queste tappe procedurali spiegano perché il periodo di transizione duri due mesi e mezzo. Il termine ultimo è fissato dalla Costituzione: il nuovo Presidente deve giurare il 20 gennaio e mettersi al lavoro a partire da mezzogiorno.
05/11/2024
da Remocontro