Per Vincenzi di Anbi gli eventi atmosferici estremi ormai “sono la normalità e noi non siamo ancora pronti per affrontarli"
“Di fronte a questi eventi estremi, in cui si concentrano in poche ore quantità di pioggia che normalmente cadrebbero nell’arco di sei mesi, il nostro Paese è impreparato”. A dirlo è il presidente di Anbi, Francesco Vincenzi.
Dopo il grande caldo fuori stagione, gli esperti avevano avvisato che sull’Italia sarebbero arrivate forti perturbazioni ed eventi estremi. E questi sono puntualmente arrivati causando morti in Liguria e Toscana. Sono stati sottovalutati gli appelli dei meteorologi?
“A mio parere in Italia non sono stati sottovalutati gli allarmi e le allerte diramate nelle ore precedenti hanno descritto esattamente quello che purtroppo si è verificato. Il problema è che di fronte a questi eventi estremi, in cui si concentrano in poche ore quantità di pioggia che normalmente cadrebbero nell’arco di sei mesi, il nostro Paese è impreparato. Come non lo sono neanche gli altri Paesi europei visto quanto sta accadendo anche in Francia e Spagna. Dobbiamo renderci conto che la crisi climatica non ci mette più di fronte al classico temporale ma a un ciclone o a un uragano. Fenomeni estremi a cui noi non siamo ancora in grado di rispondere né culturalmente né strutturalmente. Quello che stiamo vedendo in queste ore in Toscana è la prova di tutto ciò perché è un territorio in cui sono state fatte importanti manutenzioni sulle infrastrutture strategiche e peraltro hanno retto secondo i parametri previsti in fase di costruzione. Il problema è che ora quei valori non sono più attuali”.
Con le prime forti piogge, sono arrivate puntualmente le esondazioni di numerosi fiumi. Qual è lo stato degli argini dei nostri fiumi e che cosa dovremmo fare per limitare i danni?
“Guardi è molto semplice, non dobbiamo far arrivare l’acqua piovana direttamente nei nostri corsi d’acqua. Abbiamo bisogno di creare infrastrutture, come le vasche di laminazione, che ci permettano di fermare l’acqua e parcheggiarla per il tempo necessario prima di farla sfociare fino ai mari”.
Ma gli eventi estremi a cui stiamo assistendo sono straordinari oppure sono ormai la nostra nuova normalità?
“Per rispondere a questa domanda basta guardare alle definizioni che usiamo per descriverli. Un tempo parlavamo di forti temporali, una decina di anni fa di bombe d’acqua mentre ora di uragani e cicloni. È evidente che sta cambiando tutto e che ci dobbiamo abituare a questi eventi estremi che arrivano puntualmente dopo lunghi periodi di siccità e caldo. E faccio notare che questi non sono più circoscritti, come accadeva con le bombe d’acqua che magari colpivano soltanto alcuni pezzi di una città, ma riguardano interi territori. Se ragioniamo in termini di volumi, nel 2022 in alcune parti dell’Emilia Romagna sono caduti tra i 400 e i 450 millimetri di pioggia. Soltanto a maggio scorso e in appena tre giorni abbiamo avuto un quantitativo simile mentre soltanto mercoledì, in alcune aree del Paese, sono caduti tra i 200 e i 300 millimetri di pioggia. Mi sembra chiaro che sia completamente cambiata la volumetria delle precipitazioni che si riversano su un territorio che non è pronto anche per colpa della cementificazione selvaggia che ha impermeabilizzato il terreno”.
Fa effetto vedere che in Italia ci accorgiamo della fragilità dei territori soltanto a tragedia avvenuta. Perché, secondo lei, l’Italia è abituata a vivere di emergenza?
“La realtà è che in Italia siamo bravissimi a dimenticare. Prendiamo ad esempio il 2022 quando per sei mesi non è piovuta neanche una goccia d’acqua. Poi a fine agosto è bastato un temporale per farci dimenticare il precedente periodo di siccità. Eppure quelli erano giorni in cui si discuteva con urgenza della nomina del Commissario alla siccità, poi slittata a dicembre. Un altro problema è che nel nostro Paese domina la ‘cultura del no’ che rende pressoché impossibile costruire opere importanti e non più rinviabili”.
Quanto ci costano questi fenomeni estremi?
“La gestione dell’emergenza ha un costo elevatissimo. Tanto per capirci, prima delle alluvioni di questi giorni, i danni stimati ammontavano a 6-7 miliardi di euro per gli eventi estremi. È chiaro che il nostro Paese deve lasciarsi alle spalle la gestione emergenziale per puntare sulla prevenzione. Consideri che ogni anno spendiamo sette volte in più per gestire l’emergenza rispetto a quanto spenderemmo concentrandoci nella messa in sicurezza dei territori. È chiaro che per farlo servono ingenti fondi ed è necessario che anche l’Europa faccia la sua parte perché fin quando le opere di messa in sicurezza del territorio verranno conteggiate nella spesa corrente e non investimento, quindi impattando fortemente sul patto di stabilità, allora il nostro Paese è destinato a restare indietro”.
Per migliorare la situazione ci sarebbe il Pnrr ma questo procede a rilento e molti analisti sostengono che gli stanziamenti previsti per la messa in sicurezza del territorio siano insufficienti. Come stanno le cose?
“I fondi del Pnrr ci sono e li stiamo già spendendo, con alcune opere che sono già state ultimate. Il problema è che questi fondi non sono assolutamente sufficienti per recuperare un gap decennale. Per onestà bisogna dire anche che non serve una pioggia di risorse in un breve periodo in quanto, secondo me, serve un piano infrastrutturale pluriennale perché diversamente molte opere difficilmente vedranno la luce”.Davanti al cambiamento climatico e al perdurante rischio idrogeologico, quali sono le vostre proposte? “La più grande opera pubblica di cui il nostro Paese ha bisogno è il piano di manutenzione ordinaria. Lo dimostra il fatto che abbiamo il 98 per cento dei comuni a rischio idrogeologico e un territorio che è molto fragile dal punto di vista geologico. Inoltre è necessario adeguare le normative relative all’uso del territorio, fermando la cementificazione selvaggia. Bisogna anche creare infrastrutture utili a mitigare il rischio idrogeologico e, ultimo ma non meno importante, dobbiamo anche cambiare i comportamenti e anche i nostri stili di vita”.
05/11/2023
da La Notizia