La rincorsa della guerra con più ‘appeal’ tra le tante/troppe, con Israele che produce a più non posso ora anche in Siria, e l’Ucraina che dopo tre anni ha stancato, mettendo a rischio la solidarietà del mondo. Tra gli errori reiterati di Biden e della Nato al guinzaglio, le vanaglorie bugiarde di Zelensky con sempre più grossi problemi di credibilità anche in casa, e la Russia di Putin che vince, ma molto lentamente e a prezzo di gravi perdite umane. Ed ecco che persino il composto Corriere si scuote e si preoccupa, con Massimo Nava che cerca di farci paura.
Le irresponsabilità Usa in gara con Mosca
Dopo che l’Ucraina ha avuto il semaforo verde per colpire con missili il territorio russo, il Cremlino ha risposto con l’annuncio di una nuova dottrina sull’uso preventivo di armi nucleari. Questo sviluppo sullo scenario ucraino è stato commentato nel contesto del conflitto, parallelamente a notizie più tranquillizzanti a proposito di possibili trattative con mediazione americana. Ma ciò che appare globalmente più grave sono le conseguenze della guerra che si propagano a dismisura, con l’effetto del sasso nello stagno. È l’ultimo paradosso di questo conflitto insensato: si alza il livello della tensione, con conseguente alta contabilità di morti e distruzioni, per alzare il prezzo della pace. Ammesso che si raggiunga in tempi per ora indefiniti, questa non porterà comunque distensione, al massimo deterrenza armata nei confronti della Russia di oggi.
Mercato morti-pace che è solo ‘deterrenza armata’
L’Ucraina non ha armi nucleari, avendo ceduto tutte quelle dislocate sul suo territorio dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica in cambio di garanzie di sicurezza che la Russia non ha rispettato. Di conseguenza, la Russia potrebbe assicurarsi la vittoria utilizzando piccole armi nucleari. Ed è difficile immaginare, in questa eventualità, che tipo di risposta potrebbero dare i Paesi Nato e la stessa Ucraina. Quando le regole internazionali perdono di efficacia, è infatti naturale la ricerca di nuova sicurezza e di nuove alleanze. Ogni Paese aumenta le spese militari e si moltiplicano i programmi nucleari. La lista si sta allungando con un pericolo in più rispetto al passato: dalla deterrenza da guerra fredda si sta passando a un’aggressività parcellizzata e fuori controllo, riflesso indiretto della «guerra a pezzettini» di cui ha parlato tempo fa Papa Francesco.
Blocchi militarizzati a rischio ‘incidente’
E con l’aumento delle tensioni tra i blocchi militarizzati, cresce la possibilità che una piccola scintilla in un angolo remoto del mondo possa innescare una conflagrazione globale. L’ordine nucleare precedente è tramortito o forse già morto, messo in discussione dalla scomposizione dei blocchi, dall’aggressività e dalle ambizioni di medie potenze regionali, da un crescente clima di ostilità verso l’Occidente.
L’attualissima crisi siriana è un altro tassello della grande confusione sotto il cielo. Nemmeno il più acuto degli analisti potrebbe oggi prevedere il futuro della Siria, la cui stabilità è appesa al gioco delle grandi potenze nell’area, alle ambizioni di Israele e alla sincerità del leader dell’Htc, Abu Mohammed al-Joulani, che ha conquistato Damasco e si presenta come un islamista «geneticamente modificato».
Europa Von Leyen a destra maldestra
Ma un fatto, di cui dovranno tenere in gran conto gli europei, sembra assodato: dal caos siriano, la Turchia emerge come primo beneficiario e come play maker nell’area mediterranea. E non solo, come conferma la recentissima decisione di chiedere l’adesione all’alleanza Brics. Una decisione di non secondaria importanza se si considera che la Turchia è membro della Nato, l’unico a maggioranza musulmana. Al tempo stesso, l’Iran, grande perdente assieme alla Russia, potrebbe dare un ulteriore impulso al proprio programma nucleare. L’incubo di nuove Hiroshima, che teneva sotto controllo il pericolo, si sta trasformando in una minaccia quotidiana non arginabile con gli strumenti del vecchio ordine, implementati dal senso di responsabilità e dal carisma dei leader delle grandi potenze.
Incubo di nuove Hiroshima
Dopo la crisi dei missili di Cuba del 1962, quando la dottrina era stata messa alla prova della sfida tra il presidente John Kennedy e Nikita Krusciov, le parti concordarono di formalizzare la dottrina della non proliferazione. Il primo Trattato di limitazione delle armi strategiche (Salt I) limitò gli arsenali nucleari statunitensi e sovietici, anche se entrambi i Paesi mantennero la capacità di distruggere il mondo.
Ma con la fine della Guerra Fredda, alcuni stati hanno ritenuto di dover avere un proprio arsenale. Corea del Nord e Iran hanno rilanciato programmi nucleari dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003. Israele, l’unico Stato nucleare a non essersi dichiarato tale, possiede un’arma contro le nazioni ostili che lo circondano. Il Pakistan e l’India, in conflitto, non sono stati da meno. Paesi non nucleari di medie dimensioni, dalla Corea del Sud all’Arabia Saudita, progettano di dotarsi di programmi propri.
Courrier International
L’asse Russia, Iran, Corea del Nord una possibile minaccia permanente? La guerra nucleare, per definizione, era un conflitto che nessuno poteva vincere. «Possiamo essere paragonati a due scorpioni in una bottiglia, ciascuno in grado di uccidere l’altro, ma a rischio della propria vita», disse Robert Oppenheimer, il padre della bomba, nel 1960. Ma oggi la Russia considera possibile l’uso di un’arma nucleare meno devastante, cosiddetta tattica. In un dossier sull’argomento, pubblicato dal Courrier International, il direttore del programma Armi di distruzione di massa dell’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri), Wilfred Wan, ha detto: «Le armi nucleari non hanno mai avuto un ruolo così importante nelle relazioni internazionali dai tempi della Guerra Fredda», ha dichiarato in occasione del rapporto dell’Istituto di giugno.
Cina sempre più ‘atomica’ e Iran alla vigilia
Il rapporto mostra che la Cina ha aumentato costantemente il suo arsenale nucleare nell’ultimo anno, passando da 410 testate nel gennaio 2023 a 500 testate nel gennaio 2024. L’escalation di Mosca e Pechino è «solo» una parte di questo scenario di paura che rende più fragili controlli e trattati. L’Iran si sta avvicinando alla bomba e Israele ha lanciato attacchi aerei contro i siti nucleari del suo rivale nella speranza di impedirlo. La Corea del Nord ha testato il suo missile balistico intercontinentale Hwasong-19. Il regime di Kim Jong-un possiede tra le 30 e le 50 testate. Di conseguenza, anche in Corea del Sud si sostiene la necessità della bomba e gli sviluppi politici degli ultimi giorni, con il tentativo di una svolta autoritaria per ora fallito, potrebbero essere condizionati da questa prospettiva.
Pechino e il Consiglio di sicurezza Onu
Membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha sottoscritto il Trattato di non proliferazione nucleare e si è impegnata a non aiutare altre nazioni a sviluppare armi nucleari. Non ci sono prove che lo abbia fatto, anche se la maggior parte degli osservatori ritiene che abbia almeno monitorato la cooperazione tra la Corea del Nord e l’Iran e abbia offerto cooperazione all’Arabia Saudita. Nell’area asiatica, anche il Pakistan ha avviato un programma missilistico a capacità nucleare.
Come nota il Courrier International, «Il principe ereditario Mohammed bin Salman, il sovrano de facto del regno, ha dichiarato che se l’Iran otterrà la bomba si assicurerà che l’Arabia Saudita faccia lo stesso. Gli Stati Uniti gli avrebbero chiesto di non collaborare con la Cina, ma le fonti saudite non hanno nascosto il loro risentimento per il rifiuto di contribuire a un programma di arricchimento dell’uranio. Le cose potrebbero cambiare durante la presidenza Trump. Difficilmente il neo presidente americano invertirà la rotta intrapresa negli ultimi anni in cui gli Usa si sono progressivamente disimpegnati nei trattati».
La speculazione finanziaria sulle armi nucleari
Secondo un’inchiesta dell’esperto del Sunday Times, un’altra deriva è possibile: l’investimento di denaro civile nell’industria delle armi nucleari. La Danske Bank, undici anni dopo aver smesso di investire in società coinvolte nella produzione di parti per armi nucleari, ha deciso di autorizzare nuovamente tali investimenti, giustificati dagli «sviluppi geopolitici degli ultimi due anni, compresa la crescente minaccia russa», come spiega Erik Eliasson, responsabile degli investimenti responsabili di Danske Bank Asset Management. The Australian Institute rileva che 13 dei 14 maggiori fondi di investimento pubblici australiani investono nell’industria delle armi nucleari. Alcuni fondi escludono le cosiddette armi «controverse»: tuttavia, questa definizione include le armi chimiche o biologiche, ma non le armi nucleari, osserva il think tank.
Con la Russia in guerra con l’Ucraina, l’arsenale della Cina in rapida crescita, l’Iran sul punto di sviluppare testate nucleari e la sicurezza che sta crollando in Medio Oriente, nessuno parla di rinnovare i trattati, ovvero di mettere nero su bianco qualche cosa che ci protegga dalla catastrofe.
12/12/2024
da Remocontro