Il clamoroso riavvicinamento tra Russia e Stati Uniti potrebbe indebolire l’Iran fino al punto da indurre Israele ad attaccarlo? È la domanda che circola, da qualche settimana, tra gli analisti di politica internazionale, messi in allarme da alcuni segni premonitori e da rivelazioni su rapporti di intelligence apparsi sui giornali. L’imprevedibilità di Trump, finora, è stata la sua arma principale. Ma rischia di essere un boomerang nel lungo periodo, marchiando una politica estera fatta di troppi zig-zag e, quindi, altamente inaffidabile.
Preparativi d’attacco israeliani?
Un articolo del Wall Street Journal, ripreso dal Times of Israel, di qualche giorno fa, parla esplicitamente di ‘preparativi’ dell’aviazione israeliana per un attacco in profondità contro i siti nucleari iraniani. Il pezzo del ‘Journal’ è basato su due dossier preparati dal Direttorato per l’Intelligence Nazionale Usa, uno sotto Biden e l’altro dopo pochi giorni dall’insediamento di Trump. Ed entrambi coincidono.
Netanyahu senza limiti
Ci sono chiari segnali, che dimostrano come Netanyahu stia preparando un blitz contro Teheran. Secondo il quotidiano finanziario americano, il premier di Israele vorrebbe sfruttare il vantaggio offertogli dal suo ultimo attacco all’Iran. In quell’occasione, gli aerei con la stella di David distrussero, praticamente, gran parte delle batterie missilistiche antiaeree degli ayatollah. Per cui, oggi l’Iran è profondamente indebolito e «potrebbe essere attaccato pagando un pedaggio relativamente basso». Certo, ci sono molti aspetti, in questo scenario, che vanno attentamente valutati. Molte tessere di un mosaico che ancora traballano.
‘Grand strategy’ trumpiana
Innanzitutto, parlando della nuova «Grand strategy» trumpiana, tutti si sono accorti che la vera stella polare dell’attuale Casa Bianca è il trionfo della ‘realpolitik’. Lo stesso vale per Putin. Il risultato è che entrambi sono pronti a stracciare qualsiasi alleanza, pur di perseguire l’interesse nazionale. Su questo terreno, si parlano e si capiscono. Se questi sono ‘i chiari di luna’, dicono i ricercatori di geopolitica, allora la sorte per l’Ucraina è segnata. Di più. Vista dall’altro lato della barricata, questa significativa premessa potrebbe anche voler dire che Mosca è pronta a ignorare la «Partnership sulla difesa fresca di firma con gli ayatollah». Insomma, Trump e Putin starebbero attuando una ‘diplomazia speciale’, che capovolge i parametri di un vecchio detto latino: per loro, «verba manent e scripta volant», cioè le chiacchiere finiscono per contare più dei documenti scritti. Ossia, tutto il contrario rispetto a quello che si era pensato finora.
Fragili equilibri nel Golfo Persico
Il possibile raffreddamento delle relazioni russo-iraniane, dunque, finirebbe per pesare in maniera determinante sui fragili equilibri del Golfo Persico. E Netanyahu potrebbe essere spinto ad approfittare di questa «finestra di opportunità», che all’improvviso si spalanca sull’Iran. Il suo vecchio sogno (e quello di quasi tutti gli israeliani) è di azzerare la possibile minaccia atomica degli ayatollah. Come? Nella maniera migliore che Tel Aviv sa fare, cioè bombardando e distruggendo i siti di arricchimento dell’uranio, che servono a costruirsi ‘la bomba’. Scelta estrema e assai rischiosa, soprattutto perché finirebbe per azzerare la residua credibilità internazionale che ancora è rimasta allo Stato ebraico, dopo la desertificazione di Gaza. Eppure sembra che Netanyahu si stia attrezzando proprio per questa evenienza.
Pessime intenzioni di Netanyahu
Come scrive Ben Caspit, sull’autorevole think tank al Monitor, «la nomina da parte di Netanyahu del Maggior generale Eyal Zamir per sostituire il Tenente generale Herzi Halevi il mese prossimo, come Capo di Stato maggiore militare, segnala anche una possibile intenzione di sfruttare l’opportunità. Con un anno alla fine del suo mandato, Halevi si dimette a causa della sua responsabilità condivisa per la catastrofe del 7 ottobre, come aveva detto che avrebbe fatto. Zamir, promosso da vice Capo di Stato maggiore e Direttore generale del Ministero della Difesa, è noto per la sua posizione aggressiva sulla questione iraniana. Per anni, ha sostenuto un netto cambiamento nella politica israeliana da una posizione difensiva a una posizione offensiva». Guarda caso, quasi a orologeria con la nomina del nuovo stratega militare israeliano, che vede gli ayatollah come fumo agli occhi, sono arrivate dall’America anche le cosiddette superbombe ‘blockbuster MK84’, da quasi una tonnellata.
Sono ordigni concepiti per distruggere complessi militari sotterranei (come gli impianti nucleari iraniani), dato che riescono a penetrare barriere di calcestruzzo fino a 3 metri di spessore e blindature di acciaio di 28 cm. La scorsa settimana, l’aviazione israeliana ne ha ricevute ben 1800.
L’allora ripensamento di Biden
Erano state concesse dall’Amministrazione Biden e poi bloccate. Qualcuno aveva fatto notare al vecchio Presidente, che forse sganciare bombe da 1 tonnellata sulle tende dei rifugiati palestinesi ‘era un po’ troppo’. Quelle bombe andavano bene per gli iraniani. Appunto. Trump le ha ‘scongelate’ e adesso bisognerà vedere se, nella grande partita di poker mediorientale, il suo sia un bluff o, peggio, un rilancio al buio. Resta, infatti, sullo sfondo di tutte le dispute internazionali, l’approccio ondivago del nuovo Presidente Usa.
L’imprevedibilità di Trump, finora, è stata la sua arma principale. Ma rischia di essere un boomerang nel lungo periodo, marchiando una politica estera fatta di troppi zig-zag e, quindi, altamente inaffidabile. Come nel caso dell’Iran, in cui, a giorni alterni, la Casa Bianca si presenta più ‘collaborativa’, mentre in altri frangenti agita il nodoso bastone delle ritorsioni. Che, per ora, sono essenzialmente di tipo commerciale, anche se non si escludono «altre opzioni».
22/02/2025
da Remocontro