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Rischio Bastiglia per Macron regnante in sedicesimo

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La presa della Bastiglia, 14 luglio 1789, la fortezza prigione dei Re despoti, l’inizio della rivoluzione francese, del 14 luglio dal 1880 la festa solenne nazionale francese solennizzata con un’imponente parata militare, concerti, balli popolari e fantasmagorici fuochi d’artificio. In quasi un secolo e mezzo di celebrazioni. E anche occasione di segnali di inquietudini politiche o popolari. Un po’ come oggi con Macron, che evitata l’onda nera di Le Pen, non sa come fronteggiare la spinta rossa di Mélenchon, contro tutti i più diffusi voti popolari.

                                             

Il 14 luglio prima di diventare festa nazionale

Stessa data, ma due eventi diversi. All’indomani della proclamazione della III Repubblica, nata dalla sconfitta nella guerra franco-prussiana del 1870, il problema di una festa nazionale divenne una questione assai tormentata: la Francia era stata privata dell’Alsazia e della Lorena, annesse all’impero tedesco, ma a qualunque costo non intendeva rinunciarvi trasformando ogni occasione nel pretesto per esibire un potente esercito da far sfilare in una parata militare. Nel 1878, per celebrare la grandezza della nazione, era stata proclamata una festa nazionale il 30 giugno nei giorni dell’Esposizione Universale di Parigi, ma ben presto si cercò un’altra ricorrenza più marziale.
Il deputato Benjamin Raspail propose allora il 14 luglio che, rappresentando l’anniversario dell’inizio della Rivoluzione nel 1789, ossia della presa della Bastiglia, avrebbe tuttavia incontrato qualche perplessità: la soluzione – ‘l’escamotage’, direbbero i francesi – fu trovata ricordando nello stesso tempo che il 14 luglio 1790, cioè un anno dopo, la presa della Bastiglia era stata celebrata al Campo di Marte a Parigi anche la festa della Federazione proclamando nello stesso momento l’unione di tutto il popolo francese.
I due eventi indubbiamente erano diversi, ma comunque raccolsero un’estesa approvazione dei parlamentari e soprattutto contribuirono a far nascere un altro elemento fondante della religione laica francese, ossia ‘l’unione del popolo’, aspetto che comparve spesso nella storia della Francia del Novecento.

Il fallito colpo di stato del generale Georges Boulanger

L’unione della nazione cominciò ben presto però a mostrare qualche incrinatura: i governi della III Repubblica erano spesso in balia dei gruppi parlamentari e non mancavano forti critiche dalla parte conservatrice e della sua stampa. L’uomo forte che avrebbe risolto i problemi – a cominciare dalla riconquista dell’Alsazia e della Lorena – fu individuato nel generale Georges Boulanger: nel 1886 si diffuse così una canzone popolare che ritraeva una classica famiglia piccolo borghese che si recava entusiasta proprio ad assistere alla parata militare del 14 luglio per applaudire ai bravi soldati, ma anche per consumare un abbondante pic-nic fuori porta.
Il testo era indubbiamente ironico e graffiante, mentre la popolarità del generale era invece una cosa seria, soprattutto perché da ministro della guerra aveva introdotto varie riforme in un esercito che sembrava ancora paralizzato dalla sconfitta del 1870 e migliorato le condizioni dei soldati. Dalle riforme si passò alla politica e il generale fu considerato fautore di una eventuale restaurazione monarchica o semplicemente un capo militare che avrebbe assunto i pieni poteri cambiando la costituzione troppo democratica.
Nel 1889 sembrò che le condizioni per un colpo di stato fossero maturate, ma dopo il fallimento di un moto confuso, nei confronti del generale fu spiccato un mandato di arresto al quale sfuggì. Dopo un periodo di latitanza, Boulanger si suicidò nel 1891 in Belgio.

L’assassinio del pacifista Jean Jaurès

Jean Jaurès fu un acclamato leader socialista che nel concitato luglio 1914 tentò di fermare la guerra ormai ritenuta imminente: tre anni prima infatti, in un libro molto critico nei confronti della coscrizione obbligatoria (che durava tre anni), aveva espresso tutte le sue preoccupazioni per l’evoluzione degli armamenti sempre più distruttivi e il coinvolgimento totale delle società di interi paesi nel caso di un eventuale conflitto. Non si trattava di considerazioni puramente ideologiche, perché anche altri intellettuali in Inghilterra e in Russia avevano fatto previsioni analoghe sostenendo che l’Europa, nel caso di una guerra combattuta con le nuove armi, sarebbe andata incontro ad una catastrofe mai vista che ne avrebbe provocato la fine.
Per questo, cosa mai accaduta, Jaurès aveva tentato di suscitare un movimento transnazionale tra i socialisti europei per evitare il conflitto e che comprendeva la tedesca Rosa Luxemburg e l’inglese Keir Hardy: proprio il 14 luglio 1914, mentre al ministero degli esteri e della guerra si svolgevano concitate riunioni che prendevano atto dell’ineluttabile percorso verso il conflitto generale, ad un congresso straordinario della sezione francese dell’Internazionale socialista da lui presieduto, Jaurès sostenne l’appello allo sciopero generale di tutti i lavoratori, compresi i tedeschi, i belgi e gli inglesi.
Un’analoga grande manifestazione, alla quale presero parte anche socialisti tedeschi, si svolse anche a Bruxelles il 29 luglio: la sera del 30 a Parigi Jaurès fu assassinato da un fanatico nazionalista.

Il bicentenario e il G7 a Parigi

A ridare un impulso alla data del 14 luglio in senso rivoluzionario fu il presidente Mitterand nel 1989. In quella data non solo ricorreva il secondo centenario della rivoluzione, ma si volle che la riunione del G7 si tenesse a Parigi negli stessi giorni. Probabilmente nei due secoli precedenti mai la Francia aveva assistito a manifestazioni tanto imponenti: nell’occasione fu inaugurato il grande arco quadrato de La Défense (ad ovest di Parigi) al quale era stato dato il difficile nome di Arco della Fraternità. La tradizionale parata militare fu invece l’atto iniziale di una sfilata ancora più grandiosa chiamata «La Marseillaise» che, coinvolgendo quasi ottocentomila persone, celebrò i trionfi della «Civilisation Française».
Se con il senno di poi è facile ironizzare sugli eccessi di quelle manifestazioni, si dovrebbe anche ricordare cosa succedeva nel resto d’Europa: in Ungheria e Polonia, ancora al di la della cortina di ferro, si parlava di libere elezioni, ma nessuno era in grado di immaginare cosa sarebbe accaduto a Berlino il 9 novembre 1989.

14/07/2024

da Remocontro

Giovanni Punzo

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