02/11/2025
da Il manifesto
Fa’ la cosa giusta. Musulmano, socialista, millennial nato in Uganda, superfavorito: nel cuore stesso dell’era Trump oggi si può scrivere un’altra storia
Man mano che si avvicina alla fine, la campagna elettorale di Zohran Mamdani è un tour de force di appuntamenti. Apparizione a un disco club gay queer portoricano a Brooklyn di notte, e la mattina presto alla maratona di New York, poi un passaggio a motivare i volontari in più punti della città.
L’ULTIMO GIORNO prima del voto Mandami è arrivato alle 7 del mattino, insieme ai suoi sostenitori, nella parte bassa di Manhattan, davanti il municipio di New York che, se tutto va come sembra andare, a gennaio diventerà il suo nuovo posto di lavoro. Ha fatto un discorso riassumendo la sua campagna elettorale, presentandola come pionieristica sotto molti aspetti: se verrà eletto sarà il primo sindaco musulmano della città, il primo sindaco sudasiatico e il primo sindaco millennial. Ha sottolineato il forte aumento del sostegno alla sua campagna da parte degli elettori giovani, di quelli della classe lavoratrice e degli immigrati.
È ARRIVATO al municipio dopo avere attraversato a piedi il ponte di Brooklyn, partendo prima dell’alba, a simboleggiare l’arrivo di un nuovo giorno per New York. Lo ha fatto circondato da un gruppo di politici locali in carica, che reggevano uno striscione con la scritta “Our Time is Now” (Il nostro momento è adesso), mentre la folla di sostenitori scandiva “Tax the Rich” (Tassate i ricchi). Poi lo slogan è diventato “Zohran mayor” (Zohran sindaco) e Mamdani già si comporta da tale.
«Pochi in questa città osavano immaginare che avremmo potuto vincere, e cosa avrebbe significato per una città che per troppo tempo – ha detto Mamdani – ha servito solo i ricchi e i potenti a scapito di coloro che lavorano dall’alba al tramonto. Oggi, la mattina prima del giorno delle elezioni non solo siamo arrivati così lontano ma siamo anche sul punto di inaugurare una nuova era per la nostra città». Insieme a lui fra i funzionari eletti, c’era la procuratrice generale Letitia James, con cui sta facendo squadra in vista degli inevitabili attacchi da parte di Donald Trump a cui dovrà fare fronte.
«Questi leader – ha continuato Mamdani – che rappresentino l’intera città o l’intero Stato, sono i leader che ci hanno dimostrato più volte cosa significa lottare per il futuro che questa città merita (…) E in un momento di seria oscurità politica, mentre Trump dà la caccia ai suoi nemici politici, tra cui il procuratore generale James, i suoi agenti mascherati dell’Ice rapiscono i nostri vicini immigrati al 26 Federal Plaza, a pochi isolati da qui».
POCHE ORE PRIMA si era diffusa la notizia dell’endorsement dato da Donald Trump all’ex governatore nemico Andrew Cuomo, sconfitto malamente da Mamdani alle primarie democratiche,e che si è poi ripresentato come indipendente per sfidarlo di nuovo «Sapevamo che fosse il suo burattino (di Trump) – ha detto Mamdani rispondendo a una domanda dei giornalisti – Quello che non ci aspettavamo era che negli ultimi giorni diventasse il suo pappagallo.
Abbiamo sentito le parole di un ex governatore di questo Stato, ma sembravano venire dal presidente di questo Paese: descrive la diversità come una debolezza, confondendo gli intervistatori neri fra loro. Parla di questo movimento, di questa candidatura come se fosse un affronto ai valori di questa città, quando in realtà è l’incarnazione dei valori di questa città. E penso che le osservazioni del presidente Trump di ieri sera ci mostrino ciò che molti di noi sanno e temono da tempo, ovvero che quando si è troppo occupati a incassare gli assegni dei miliardari che ci hanno regalato il secondo mandato alla presidenza, non si è in grado di opporsi a quello stesso presidente. Quindi quello che siamo qui a dimostrare è che la risposta alla presidenza di Donald Trump non è quella di crearne un’immagine speculare qui al Municipio. È quella di creare un’alternativa che possa rispondere a ciò che i newyorkesi desiderano disperatamente vedere nella loro città e che trovano ogni giorno in se stessi e nei loro vicini».
SE DURANTE le primarie Cuomo ha potuto contare sull’endorsement di tutto l’establishment democratico e ora anche su quello di Trump, Mandami dalla sua ha avuto solo l’ala socialista di Bernie Sanders e Alexandria-Ocasio Cortez. Il leader della minoranza democratica alla Camera Hakeem Jeffries ha dato il suo appoggio solo pochi giorni fa. Da Mamdani nei comizi finali sono accorsi il deputato californiano di sinistra Ro Khanna, e l’ex leader del Labour party inglese Jeremy Corbyn, che ha partecipato a una sessione di campagna telefonica per incoraggiare gli elettori a sostenerlo. La cosa ha fatto infuriare il Dipartimento di giustizia che ha gridato all’interferenza da parte di un Paese straniero nella politica Usa. Poche ore prima a Mamdani si era avvicinato anche l’ex presidente Barak Obama, telefonandogli per offrirsi come consulente esterno.
«Ho apprezzato la telefonata con il presidente Obama – ha detto Mandami ai giornalisti durante la conferenza stampa davanti il municipio – e il suo sostegno al movimento che abbiamo creato, nonché l’importanza che ha attribuito alla nostra visione e al fatto che dobbiamo realizzarla e prendere molto, molto sul serio questa speranza. Gli ho anche detto che è stato il suo discorso di tanti anni fa su un’unione più perfetta a ispirare in parte il discorso che ho tenuto fuori dalla moschea non molti venerdì fa (…) Ho apprezzato le sue parole, il tempo che mi ha dedicato e apprezzo questo movimento che ci sta portando sull’orlo della realizzazione di una nuova città».

