Il Tar del Lazio si è pronunciato nel merito sulla riduzione decisa dal ministro a dicembre: non c'erano i presupposti per l'azione. Il Mit dovrà versare 2.500 euro al sindacato
Ha tentato di sfuggire dal giudizio di merito spiegando che l’ordinanza aveva esaurito i suoi effetti ed era quindi inutile decidere sulla legittimità del provvedimento, ha perso e ora deve anche pagare le spese legali al sindacato. Matteo Salvini aveva torto marcio quando firmò l’ordinanza di precettazione dello sciopero nel settore trasporti, proclamato dall’Unione sindacale di base lo scorso 13 dicembre.
Il Tar del Lazio in composizione monocamerale sospese l’ordinanza alla vigilia dell’astensione dal lavoro e il ministro delle Infrastrutture aveva urlato al “caos” per “colpa di un giudice”, ma poi l’Avvocatura di Stato ha tentato di non discutere nel merito la vicenda nell’udienza fissata lo scorso 13 gennaio. All’esito della quale la decisione di Salvini ne è uscita triturata e ora il suo ministero dovrà anche liquidare 2.500 euro di spese legali all’Usb.
Ma andiamo con ordine. Lo scorso 10 dicembre, Salvini aveva precettato lo sciopero, riducendolo da 24 a 4 ore – dalle 9 alle 13 – nel settore del trasporto ferroviario, del trasporto pubblico locale e del trasporto marittimo. Il sindacato reagì chiedendo la sospensione dell’ordinanza e il Tar del Lazio gli aveva dato ragione cancellandola nei fatti. Ma non era entrata nel merito, rimandando il giudizio definitivo agli scorsi giorni.
L’Avvocatura dello Stato – che difende i ministeri in questi casi – ha quindi chiesto che non si entrasse nel merito perché erano decaduti gli effetti dell’ordinanza del ministro essendoci ormai stato lo sciopero, ma il Tar ha negato l’inammissibilità del giudizio ritenendo che sia interesse delle parti l’accertamento della eventuale illegittimità della precettazione di Salvini.
Ed era proprio illegittima, ha deciso il collegio del Tribunale amministrativo regionale composto dalla presidente Elena Stanizzi, da Luca Biffaro e Marco Savi. Il Tar ha ricordato nella sentenza che la Commissione di garanzia si era già espressa sullo sciopero, come da prassi, e non ne aveva chiesto la riduzione. A quel punto il ministro aveva deciso di agire in autonomia.
Ma l’autorità politica può intervenire per cambiare la valutazione già fatta dalla Commissione – spiegano i giudici – solo se ravvisa “diversi” e “sopravvenuti” elementi che costituiscano “profili di necessità e urgenza” che siano “tali da legittimare” uno “strumento extra ordinem” come la precettazione diretta del ministro “per la protezione tempestiva e indilazionabile dei diritti degli utenti”. Profili che, sottolineano i giudici, non emergono nemmeno dagli atti prodotti dallo stesso ministero.
Insomma, la decisione di Salvini non stava legalmente in piedi assomigliando più a un capriccio, a una mossa politica. Risulta infatti, sottolineano i giudici, “piuttosto evidente” che “il ministero abbia inteso procedere di propria iniziativa sulla base di una valutazione semplicemente diversa da quella della Commissione di garanzia”. Ha quindi annullato il decreto di Salvini e ha disposto che il ministero paghi le spese legali al sindacato.
Ora il ministero pagherà con soldi pubblici le sue crociate contro gli scioperi. “È evidente che Salvini sia alla disperata ricerca di visibilità, anche se ultimamente con sempre meno successo”, ha commentato l’Usb dopo la pubblicazione della sentenza. “Invece di affrontare i mali strutturali del sistema dei trasporti, sempre più evidenti peraltro, si è lanciato – ha aggiunto – in una crociata contro il diritto di sciopero per ingraziarsi i desiderata delle associazioni padronali”.
16/01/2025
da Il Fatto Quotidiano