Matteo Salvini vuole alzare il livello dello scontro con i sindacati. Per la seconda volta in neanche tre settimane il ministro delle Infrastrutture ha chiesto la precettazione davanti a uno sciopero regolarmente indetto.
La notizia è stata confermata nella tarda serata di martedì, a valle del tavolo con i sindacati e le associazioni datoriali sullo sciopero del trasporto pubblico locale di venerdì 15 dicembre. Per soffocare la mobilitazione, il ministero ha imposto una riduzione della durata da 24 a 4 ore come aveva già fatto in vista del 27 novembre, data inizialmente prevista per lo sciopero promosso dalle sigle sindacali di base.
La precettazione riduce l’orario della protesta dalle 9 alle 13 ma, fanno sapere Cub Trasporti, Cobas, Adl Cobas e Sgb, insieme alle altre sigle, sarà impugnata al Tar. Non solo. A difesa delle condizioni salariali e di lavoro degli autoferrotranvieri verranno intraprese altre iniziative legali e sindacali come il cosiddetto bus lumaca che, seguendo al millimetro il codice della strada, ritarda al massimo l’arrivo del mezzo a destinazione. Azioni di disobbedienza civile, insomma, anche perché chi sciopera nonostante la precettazione rischia fino a 1000 euro di multa (oltre al salario del giorno).
Secondo i sindacati, la formalizzazione della precettazione è la dimostrazione del fatto che Salvini si è “schierato con le controparti datoriali e di aver eretto un muro di difesa delle pretese padronali per respingere le richieste dei lavoratori: altro che prima gli italiani”, come si legge in una nota diffusa poco prima dell’ordinanza del ministero. “Con la precettazione – è la spiegazione – Salvini, di fatto, punisce esclusivamente i lavoratori e ne limita le libertà, ma lascia impunite le aziende, nonostante l’arroganza datoriale manifestata al tavolo con il rifiuto delle associazioni padronali di entrare nel merito delle rivendicazioni”. Che riguardano salari, miglioramento delle condizioni di lavoro, sicurezza per addetti e utenza, investimenti pubblici per il settore e argini alle privatizzazioni.
“Le condizioni di lavoro sono drammatiche: le associazioni datoriali sostengono che non si trova personale che voglia fare l’autista ed è vero. Io ho fatto l’autista per 31 anni, quando sono entrato lì era quasi come aver ‘vinto’ un posto in banca, eri ben pagato e potevi garantirti una buona qualità della vita. Oggi il contratto nazionale, in scadenza, garantisce 1250 euro al mese per 39 ore di lavoro la settimana inclusi festivi, notturni eccetera, con tutti i rischi sulla pelle e sulla patente di chi guida e tutta una serie di cose che non si possono programmare per motivi di servizio – spiega a ilfattoquotidiano.it Alessandro Nannini autista Cobas lavoro privato -. Ho una patente professionale, ma non sono pagato come un professionista e se succede qualcosa ci rimetto io. Senza contare il rischio idoneità: abbiamo dei controlli regolari e molto precisi sul nostro stato di salute, è giusto, ma nel momento in cui siamo dichiarati inidonei ci lasciano a casa senza stipendio. Insomma, finché non si rimette al centro la figura del professionista, non si troverà mai il personale. E l’ultimo aumento, con il vecchio contratto, è stato di 90 euro lordi in tre tranches annuali, in pratica 30 euro lordi al mese in più all’anno: come si fa a vivere?”. I datori però non trattano con le sigle di base perché le reputano poco rappresentative, “ma se ci precettano allora forse un po’ rappresentativi lo siamo, no?”, replica il sindacalista, sottolineando come le privatizzazioni stiano avendo la meglio sui trasporti e così “non è più una questione di diritto alla mobilità, bensì di tutela dei profitti dei privati“.
Il collega Mauro Milani fa notare poi come le aziende abbiano “tutte il problema di trovare il personale, perché gli autisti dopo qualche anno vanno via, vanno a lavorare per il privato: le condizioni di lavoro sono talmente svantaggiose che si preferisce andare altrove”. A parte la questione economica, poi, ci sono i problemi della sicurezza e della manutenzione: “Non mi riferisco solo all’aria condizionata, che comunque può essere un problema con lo spazio dell’autista chiuso e angusto, ma ci sono anche le gomme che non vengono cambiate, le porte che non si aprono o gli autobus che prendono fuoco. Queste sono cose che non sono certo all’ordine del giorno, ma la frequenza dei casi è aumentata tantissimo, così come le aggressioni ai lavoratori”, che crescono con l’aumentare dei disagi. E gli autisti, tanto quanto i capitreno, finiscono con l’essere i frontman delle aziende di trasporto, più nel male che nel bene. Insomma, conclude Milani, “invece di guardare il giorno di sciopero, farebbero bene a guardare gli altri 364 giorni dell’anno nei quali il servizio è quello che è”.
Già in mattinata una nota Cub trasporti-Cobas-Adl Cobas- Sgb aveva sottolineato come con la sola convocazione del tavolo si era reso evidente che il ministro Salvini “non è intenzionato ad affrontare le questioni poste dai lavoratori ma ad aggredire e limitare l’esercizio del diritto di sciopero: un atto gravissimo contro il “DIRITTO DEI DIRITTI” unico strumento dei lavoratori per sostenere le loro iniziative”. Secondo le sigle di base “la norma esistente in Italia è la più restrittiva d’Europa e l’atto che con ogni probabilità ripeterà il Ministro Salvini, (oggi come in occasione della mobilitazione del 17.11.2023) è quello di un vero e proprio abuso, interpretando ‘pro domo sua e delle controparti datoriali’, l’art.8 della L.146/90 che consente al Ministro stesso di precettare gli scioperi a fronte di situazioni straordinarie che compromettono il diritto alla mobilità dei cittadini. Tale situazioni straordinarie non sono e non possono essere gli effetti dello sciopero stesso, ma fattori esterni che si aggiungono all’astensione dal lavoro”.
In sostanza secondo i sindacalisti di base “Salvini in nome di questa norma, nonostante non esistano situazioni che impongono un suo intervento (terremoti, inondazioni, calamità naturali e altro!), vuole impedire la mobilitazione degli autoferrotranvieri in difesa delle loro rivendicazioni, nonostante l’indizione sia stata effettuata nel rispetto della normativa, come comprovato dalla Commissione di Garanzia. Da parte sindacale resta ferma la convinzione di una distorta e presunta contrapposizione tra il diritto alla mobilità e il diritto di sciopero come già espressa dal Ministro e da una deriva tesa a limitare il campo d’azione sindacale in cui l’astensione dal lavoro resta lo strumento principe della lotta dei lavoratori. Salvini tenta di fare campagna elettorale sulle spalle e sulle tasche dei lavoratori Autoferrotranvieri: una vigliaccheria politica intollerabile. È evidente che l’attacco in corso debba essere respinto unitariamente da tutto il mondo del lavoro, dalla società civile e dalla politica. Altro che prima gli italiani (lavoratori e utenti): per Salvini vengono prima gli interessi degli investitori stranieri e nostrani”.
“Qui Mit, ho firmato per ridurre da 24 a 4 ore lo sciopero del trasporto pubblico locale previsto per questo venerdì 15 dicembre. – ha fatto sapere in tarda serata Salvini via Instagram – Il diritto a chiedere salari più adeguati è sacrosanto, ma questo non può paralizzare l’Italia per un giorno intero, a ridosso del Natale. Da ministro dei Trasporti devo garantire la mobilità ai 20 milioni di italiani che quotidianamente prendono un mezzo pubblico: è mio diritto ma anche mio dovere”. Dal canto loro i sindacati hanno replicato che “nel prendere atto della richiesta di rinviare l’indizione di sciopero nazionale del TPL del 15.12.2023, ritengono di non poter ottemperare al suddetto invito, a fronte delle indisponibilità delle Associazioni Datoriali di categoria degli autoferrotranvieri di aprire il confronto, con le sigle del sindacalismo di base, sulle rivendicazioni dei salari, diritti e sicurezza, formulate nella piattaforma contrattuale trasmessa alle controparti datoriali”, come si legge in un documento in cui Cub trasporti-Cobas-Adl Cobas- Sgb “restano disponibili ad eventuali future convocazioni dal Ministero in indirizzo, al fine di facilitare la soluzione della vertenza in atto”.
13/12/2023
da Il Fatto Quotidiano