Roma Adesione con punte dell’85% secondo i sindacati di categoria. In piazza molti giovani, specializzandi e infermieri: «Nessuna valorizzazione professionale, nonostante la formazione che ci invidiano nel mondo»
Cadono anche due gocce di pioggia sul palco di piazza Santi Apostoli a Roma. Pierino Di Silverio, segretario nazionale Anaao-Assomed, è soddisfatto lo stesso mentre stringe le mani e ricambia gli abbracci dei manifestanti. La sua è la sigla principale tra i medici ospedalieri, con circa 20 mila iscritti su una platea di 130 mila professionisti e insieme alla Cimo-Fesmed e agli infermieri del Nursing Up ha indetto lo sciopero di ieri. «Ci comunicano picchi di adesione dell’85% nonostante i precettati» dichiara al manifesto.
«UN’ADESIONE omogenea da nord a sud, più ampia di ogni rosea aspettativa». Negli ospedali però molte attività non possono fermarsi nemmeno con lo sciopero, a partire da pronto soccorso e i reparti di degenza perché i «contingenti minimi» di personale vanno rispettati. «Circa il 20% delle Aziende non ha dato al personale disposizioni sul contingentamento minimo per lo sciopero, creando grandi difficoltà per circa 20mila medici e 100mila infermieri e professionisti sanitari» fanno sapere gli organizzatori.
ANCHE SE I MEDICI solidarizzano con le ragioni dello sciopero difficilmente smettono di lavorare. «Molti non se la sentono di rinviare un intervento che magari riguarda un paziente oncologico» racconta un’anestesista di un ospedale della Capitale. «Perciò rinunciano alla paga giornaliera per aiutare l’adesione e in sala operatoria ci vanno lo stesso». La Fiaso, che riunisce i direttori generali delle Asl, parla di «limitate criticità nell’erogazione dei servizi ai cittadini, con minimi disagi rilevati a macchia di leopardo nel territorio nazionale».
LA PIAZZA (piccola) è affollata. I dati Ocse ci attribuiscono la classe medica più anziana dell’occidente ma a guardare chi manifesta non si direbbe. «Sono specializzande e specializzandi – spiega Di Silverio – medici in formazione che stanno pensando se andarsene dall’Italia visto che basta spostarsi in Svizzera per trovare condizioni decisamente migliori». «Vivo a un’ora da Lugano – conferma Lorenzo, sceso da Milano in camice -. Lì guadagnerei il doppio e non rischierei le botte come da noi. In Italia abbiamo una borsa di studio di 1.700 euro ma, essendo contrattualizzati come studenti, dobbiamo pagare le tasse universitarie e alla fine possiamo contare su appena 1.400 euro al mese». Gli studenti non hanno diritto di sciopero. «Per venire a Roma – spiega – ho dovuto prendere un giorno di ferie».
LE DIMISSIONI sono un pensiero ricorrente. Di Silverio le cita dal palco: «Se non saremo ascoltati ce ne andremo». Solo tra i medici lo hanno fatto in 8mila negli ultimi due anni. Ma ci stanno pensando in tanti, a tutti i livelli. «Vorrei fare la panettiera, forse avrei meno responsabilità» scherza fino a un certo punto Libera, infermiera in un ospedale pubblico dell’Emilia-Romagna arrivata a Roma su uno dei cinque pullman approntati dal Nursing Up. Ma nel privato non si guadagna di meno? Così almeno si legge nei contratti nazionali. «Non è più così. Con la carenza attuale di professionisti, nella sanità privata oggi si possono contrattare individualmente condizioni più vantaggiose che nel pubblico». Un infermiere guadagna circa 1.500 euro al mese. «E non c’è valorizzazione professionale, nonostante i master e la formazione che ci invidiano in tutto il mondo».
PER RISPETTARE la media Ocse, dice Libera, servirebbero 120 mila infermieri. È la carenza di infermieri più che dei medici, a parte il pronto soccorso, la rianimazione e la medicina generale, il vero buco della sanità italiana. «Oggi, con quegli stipendi si lavora in reparti in cui a ogni infermiere sono affidati 20 pazienti e si va in pensione a 67 anni. L’aumento dell’indennità previsto nella finanziaria è di appena 7 euro al giorno, una presa in giro». E si rischiano pure le botte. «Noi siamo a contatto con pazienti e familiari e siamo noi quelli con cui se la prendono quando l’esasperazione è insostenibile». Il governo ha inasprito le pene per i violenti da ospedale: «Il problema non è punire chi mena gli infermieri ma prevenire le botte – replica Libera -. Finché non ci sarà un presidio di pubblica sicurezza in ogni ospedale, continueremo a correre rischi». Dal fondo del presidio parte il coro «Corteo, corteo!» ma i numeri non ci sono.
ALLA SPICCIOLATA si fanno vedere anche l’ex-ministro della salute Roberto Speranza e l’ex-assessore regionale alla sanità del Lazio Alessio D’Amato. Non risponde alla piazza il ministro della salute Orazio Schillaci. Ieri era impegnato a Milano a inaugurare l’anno accademico del San Raffaele, il principale ospedale del gruppo San Donato leader in Italia nella sanità privata. E forse come risposta è più che sufficiente.
21/11/2024
da Il Manifesto