IL CASO. Tagli per rimediare ad altri tagli. E' il paradosso del governo sulla sanità. Nella relazione tecnica che accompagna il suo emendamento alla legge di bilancio prevista una sforbiciata da oltre 3 miliardi di euro dal 2033 e per il decennio successivo. Slitta l’emendamento sul Ponte di Messina. Le opposizioni: «Esecutivo nel caos. Giorgetti venga in Commissione», la maggioranza: «No, tempi rispettati»
L’emendamento presentato lo scorso otto dicembre dal governo per ammorbidire il taglio alle pensioni del personale sanitario e di alcune categorie del pubblico impiego sarà finanziato fino al 2032 da chi sceglierà di restare in servizio fino ai 70 anni. A partire dall’anno successivo, il 2033, i costi continueranno ad aumentare ancora: arriveranno a 500 milioni nel 2035 e saliranno fino a 1,1 miliardi stimati nel 2043. Per finanziarli, si legge nella relazione tecnica che accompagna l’emendamento, è stata prevista una riduzione del servizio sanitario nazionale di oltre tre miliardi di euro a partire dal 2033 e per tutto il decennio successivo. Così facendo il governo ha detto di essere riuscito a tutelare le pensioni di anzianità per chi avrà maturato il diritto di andarci entro l’entrata in vigore delle legge di bilancio, ma allo stesso tempo ha reso più difficile andare in pensione anticipata.
ALTRI TAGLI per rimediare ai tagli. È il cortocircuito. Per evitare un taglio all’aliquota di indennità sui contributi versati dal 1981 al 1996 che avrebbe fatto rischiare la perdita del 25% della pensione è stato prospettato il taglio del fondo che coprirà il fabbisogno sanitario nazionale standard nei prossimi 20 anni. Se così fosse, questo potrebbe essere un contributo alla diminuzione del finanziamento che vede, in prospettiva, l’Italia tra i paesi che sostiene in maniera decrescente la spesa per la sanità. Il problema è stato posto nelle ultime settimane dall’opposizione, mentre il governo ha enfatizzato lo sforzo fatto dalla finanza pubblica per aumentare il fondo nella manovra quest’anno.
L’EMENDAMENTO è stato sostenuto dal ministro della Salute Orazio Schillaci che ieri ha ricordato di avere chiesto «con forza» al suo governo, e al ministero dell’economia, che si correggesse la norma sulle pensioni. «Abbiamo ottenuto di salvaguardare i trattamenti di vecchiaia e le pensioni di anzianità per chi ha maturato i requisiti minimi entro l’entrata in vigore delle legge – ha detto – Ho anche chiesto di scaglionare e ridurre gli impatti di questa norma per chi andrà in pensione dopo l’entrata in vigore. L’emendamento andrebbe abolito». Al costo previsto dalla relazione tecnica all’emendamento, come abbiamo visto.
«DI FATTO si rende impossibile pensione anticipata – ha risposto Vera Bonomo (Uil) – L’emendamento è inaccettabile, amplia le discriminazioni tra il personale sanitario e le altre categorie» e allunga l’età pensionabile. «è una riforma Fornero 2.0 – aggiunge – La norma prolunga fino a 9 mesi la finestra d’uscita per chi chiede la pensione anticipata. Sommato ai requisiti contributivi ordinari è una pietra tombale. Mai ci saranno aspettati una più severa e austera dell’originale».
LE DIFFICOLTÀ DEL GOVERNO sul pasticcio della sanità sono evidenti. E ha incassato uno sciopero il 5 dicembre, un altro si prepara il 18, e un altro ancora a gennaio. Ma questo non è il suo unico problema. L’altro è quello di una gestione politica complicata, nonostante i numeri e la retorica. L’esecutivo è stato costretto a presentare tre emendamenti. E un quarto è in arrivo. E si attende il deposito degli emendamenti dei relatori, una decina Oltre a quello rilevante sulla sanità, c’è un emendamento sulle forze dell’ordine finanziato con il fondo migranti (altro paradosso significativo) e uno sugli enti territoriali. Il quarto sulle infrastrutture, e in particolare sulla rimodulazione dei costi del Ponte di Messina, era atteso ieri in commissione, ma è slittato ancora. Potrebbe essere presentato dai relatori alla manovra.
UNA NUOVA ONDATA di polemiche è stata scatenata ieri dalle opposizioni. «Mancano anche i pareri sui nostri emendamenti presentati il 21 novembre, il governo è nel caos, non rispetta i tempi, si rischia l’esercizio provvisorio» hanno detto Francesco Boccia (Pd), Stefano Patuanelli (M5S) e Tino Magni (Avs) lasciando i lavori della commissione. Dalla maggioranza ieri assicuravano il rispetto dei tempi e la sintonia tra i partiti. È la storia, ancora in mezzo al guado, di una manovra modesta, eppure blindata, con tanto di museruola alla maggioranza. E tuttavia ancora ferma. L’approdo in aula è previsto il 18 dicembre.