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Sarà comunque un grande 25 Aprile

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Nonostante la bizzarra richiesta del governo di dar vita a manifestazioni “sobrie”, onoreremo l’80° della vittoria di quell’ampio movimento che combatté il nazifascismo e abbiamo chiamato Resistenza.

In memoria dei sacrifici della lotta e perché oggi tornano le parole chiave di quel tempo di ferro e di fuoco: pace, democrazia, lavoro (ma dove e come celebreranno loro?).

Avremo nel cuore l’ultimo messaggio di Papa Francesco, la cui scomparsa è un lutto pesantissimo: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo!”. E ribadiremo il “mai più” del giuramento di Mauthausen: “La pace e la libertà sono garanti della felicità dei popoli, e la ricostruzione del mondo su nuove basi di giustizia sociale e nazionale è la sola via per la collaborazione pacifica tra Stati e popoli”

Sarà un grande 25 aprile, nonostante tutto. E non può che essere così, in occasione dell’80°, davanti a un mondo che sembra in gran parte aver dimenticato la lezione della Resistenza al nazifascismo. Tornano, mai come oggi, le parole chiave di quel tempo di ferro e di fuoco: pace, democrazia, lavoro. Ed ancora: basta con ogni fascismo! Basta con ogni nazismo! Per questo mai come oggi ci serve la memoria collettiva e attiva, cioè la capacità di assumere dall’esperienza passata un insegnamento per il presente e una via per costruire il futuro.

Sappiamo della bizzarra richiesta del governo di dar vita a manifestazioni “sobrie”, come se la festa della Liberazione fosse la sagra della porchetta. Ci chiediamo e chiediamo, viceversa, se e dove le donne e gli uomini del governo celebreranno il 25 aprile, com’è loro preciso dovere, essendo un anniversario festivo – e che anniversario! – stabilito per legge. Ma francamente nulla più ci meraviglia, avendo da tempo preso atto della spiccata allergia di tanti componenti del governo, a cominciare dalla presidente del Consiglio, verso anniversari, eventi, simboli che richiamano la natura antifascista della Repubblica e della Costituzione.

Peraltro pace, democrazia e lavoro sono esattamente i tre terreni di iniziativa politica su cui il governo in due anni e mezzo si è dimostrato lontanissimo dal messaggio della Resistenza e della Liberazione.

Certo, la scomparsa di Papa Francesco è un lutto pesantissimo, anche nostro, perché Bergoglio ha parlato a tutti, laici, cattolici, credenti di ogni credo. E ha trasmesso un messaggio in cui in tanta parte ci ritroviamo: un mondo di fratelli, di cura dell’altro, di promozione del dono, di tutela del bene comune, di ecologia della vita.

Francesco ha denunciato la tragica assurdità della guerra e la precipitazione del mondo verso l’abisso del terzo conflitto mondiale a pezzi. Nel suo ultimo messaggio ai fedeli, proprio il giorno di Pasqua, ha affermato: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo!”. Ebbene, il 25 aprile, quando finalmente ottanta anni fa fu conquistata la pace, è proprio il giorno migliore per ricordarlo.

Dalla battaglia di Porta San Paolo a Roma a quella di Porta Lame a Bologna, dalla liberazione di Firenze alle brigate partigiane sulle montagne, dalle imprese di Giovanni Pesce a Milano alla “pianurizzazione” della guerra partigiana da parte di Arrigo Boldrini, dalla Brigata Proletaria degli operai di Monfalcone alla Brigata Maiella, dagli scioperi degli operai in armi all’Ansaldo di Genova al coraggio degli uomini e delle donne dei GAP e delle SAP, dall’annuncio in codice che diede il via all’insurrezione di Torino ad altri mille e mille episodi, la via della Resistenza che porta alla Liberazione è davvero un’epopea di umanità in quel tempo di ferro e di fuoco.

Le partigiane e i partigiani furono la punta di diamante di quel movimento ben più ampio che abbiamo chiamato Resistenza: Resistenza fu quella delle donne, degli internati militari italiani in Germania, degli operai in sciopero nel 43, 44 e 45, dei martiri di Cefalonia, dei militari italiani che risalirono la penisola con gli Alleati, dei carabinieri, degli agenti di polizia, dei finanzieri che si opposero all’occupazione.

E fu l’avvento di una nuova generazione: erano giovani i renitenti alla leva che andarono in montagna a combattere con i fazzoletti partigiani, giovani i militari di ogni arma che contrastarono l’occupazione tedesca e la complicità fascista, giovani coloro che si rivoltarono contro l’indottrinamento delle camicie nere. Peraltro ogni grande rivolgimento sociale ha sempre visto in prima fila le giovani generazioni.

Ecco l’attualità del messaggio di quel 25 aprile, così lontano ma così vicino: è un invito alle nuove generazioni affinché impugnino le bandiere ideali dei ragazzi del 43 per contrastare la deriva nichilista e autoritaria che ci minaccia in un mondo in cui la passione fredda dell’algoritmo, del consumatore, dell’individuo sembra aver sostituito il valore e la dignità della persona umana, e in cui le tecnocrazie oligarchiche mettono in discussione i fondamenti della democrazia e della giustizia sociale.

In questo mondo strabico e capovolto ha fatto irruzione oramai da tempo il mostro della guerra, dall’Ucraina alla Palestina, e il suo diabolico gemello, il riarmo. Non sto a dire cose note, dall’urgenza di trovare un ragionevole tavolo di trattativa per l’Ucraina alla vergogna dei bombardamenti di Netanyahu sulla gente di Gaza all’incredibile piano di riarmo dei Paesi dell’Unione Europea voluto da Ursula von der Layen.

Mi limito a ricordare, contro gli smemorati di ogni idea politica, che nella Costituzione c’è scritto che l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Nel 1916, nel pieno della prima guerra mondiale, nella sede del Consiglio provinciale di Rovigo, un uomo esclamava ad alta voce: “Abbasso la guerra; questa è una guerra nefasta da noi socialisti non voluta”. Quest’uomo era Giacomo Matteotti.

Ebbene proprio oggi, in questo 25 aprile, noi esclamiamo: “Mai più”, e ricordiamo le parole del giuramento di Mauthausen: “La pace e la libertà sono garanti della felicità dei popoli, e la ricostruzione del mondo su nuove basi di giustizia sociale e nazionale è la sola via per la collaborazione pacifica tra stati e popoli”.

Questo volevano i partigiani ottant’anni fa. Questo vogliamo noi oggi.

             

24/04/2025

di Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi

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