23/09/2025
da Left
Federica Stagni , Luca Bonaventura
Dalle scuole ai porti, una marea in piazza con Usb e Cobas. E' il momento di «abbassare le armi, alzare i salari»
Si è bloccata grazie alle lavoratrici e ai lavoratori che hanno deciso di non essere complici di un genocidio che va avanti oramai da due anni e che vediamo ogni giorno sui nostri schermi. Lavoratori e lavoratrici che hanno deciso di organizzare la propria rabbia, aderendo allo sciopero generale lanciato dall’USB e da altri sindacati di base come i Cobas, capaci di intercettare e incanalare un malcontento diffuso in un grande momento di lotta che ha visto la partecipazione di praticamente tutte le categorie.
Secondo l’USB, milioni di lavoratori e lavoratrici hanno scioperato in tutto il Paese, con punte del 70% di scuole chiuse in alcune città e una partecipazione molto alta nei trasporti, in particolare nel Sud. Le parole d’ordine sono state quelle della solidarietà internazionalista, contro le politiche di riarmo e per la fine del genocidio in Palestina. Lo slogan rilanciato dai sindacati di base è immediato: “Abbassare le armi, alzare i salari”. Un messaggio tanto semplice quanto chiaro ripreso anche in uno degli interventi più significativi al presidio di Roma, quando un pompiere USB ha interrotto i cori della folla, ricordando che i pompieri hanno paura, devono averne, perché non sono supereroi ma lavoratori come tutti gli altri e per questo bisogna scioperare contro uno Stato che sottrae fondi a ricerca, sanità e soccorso pubblico per investirli nell’industria bellica. Le persone vogliono il welfare non il warfare, vogliono servizi, sicurezza abitativa e salari dignitosi, non essere complici di un genocidio che miete centinaia di vittime ogni giorno da quasi due anni.
La mobilitazione del 22 settembre ha attraversato strade, piazze, stazioni e porti. Sono state occupate le stazioni di Pisa, Napoli, Torino e Milano; bloccate le tangenziali e le autostrade a Bologna, Firenze e Roma e i porti di Genova, Livorno, Bari, Venezia e Trieste. La chiamata di USB, sullo slancio della Freedom Flottila, è stata in grado di bloccare punti economici nevralgici di questo paese mobilitando ampie fasce della popolazione in maniera coordinata ovunque. Questa capacità organizzativa ramificata non può che spaventare chi ci governa.
E, per la prima volta in Italia, non vediamo soltanto una grande capacità di coordinamento nazionale, ma anche la presa di parola e di spazio pubblico delle cosiddette “seconde generazioni” e delle tante soggettività razzializzate che abitano questo paese. Sono loro che smascherano con chiarezza le bugie di queste democrazie liberali, le stesse che avevano promesso uguaglianza e diritti, distinguendosi dai corrotti governi arabi o dai tanti Stati post-coloniali che, una volta raggiunta l’indipendenza, hanno deluso le aspettative di milioni di persone. Oggi il genocidio a Gaza ha il volto del razzismo e dell’islamofobia: ed è questo che li fa, giustamente, incazzare. Sono giovani come Ramy per cui ancora si chiede giustizia, e sono tutte quelle persone che abbiamo deluso con quel Sì mancato al referendum dell’8 giugno per la riforma della legge sulla cittadinanza.
Persone razzializzate, lavoratrici precarie e giovani sono inoltre del tutto sacrificabili, e infatti la risposta del governo e delle forze dell’ordine è stata la solita: repressione. Cariche, idranti e lacrimogeni in diverse città, con feriti portati in ospedale, arresti e denunce. Da parte delle istituzioni è arrivato il consueto tentativo di rovesciare i ruoli: non solo si è vittime di un sistema violento e iniquo, ma quando ci si ribella si diventa automaticamente “vandali” o “delinquenti”. Una narrazione che non sorprende, ma che mostra ancora una volta la distanza tra la società reale e chi governa.
In questo scenario, tuttavia, la grande sconfitta è stata quella dei sindacati confederati, primo fra tutti la CGIL, che invece di convergere pienamente nello sciopero del 22, ha proclamato per conto proprio un’astensione di sole quattro ore il 19, passata quasi del tutto inosservata e alla quale hanno aderito in pochissimi. Non potendo formalmente indire un vero sciopero generale, si sono così ritrovati ai margini, incapaci di cogliere la portata storica del momento e rischiando di collocarsi, di fatto, dalla parte sbagliata della storia.
Ma chi si trova senza alcun margine di dubbio dalla parte imperdonabile della storia sono i nostri rappresentanti politici, i governi e le istituzioni occidentali. A partire da un’Unione Europea incapace persino di approvare sanzioni economiche contro Israele, passando per quei paesi che ancora riforniscono lo Stato Ebraico di armi, fino ad arrivare agli Stati Uniti, un Paese sempre più logorato da disuguaglianze interne ormai incolmabili e sull’orlo di una nuova guerra civile.
La Storia presenterà loro il conto, prima o poi, e non sarà indulgente.
Gli autori: Federica Stagni è ricercatrice alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Luca Bonaventura è documentarista e videomaker
Dalle scuole ai porti, una marea in piazza con Usb e Cobas. E' il momento di «abbassare le armi, alzare i salari»
Si è bloccata grazie alle lavoratrici e ai lavoratori che hanno deciso di non essere complici di un genocidio che va avanti oramai da due anni e che vediamo ogni giorno sui nostri schermi. Lavoratori e lavoratrici che hanno deciso di organizzare la propria rabbia, aderendo allo sciopero generale lanciato dall’USB e da altri sindacati di base come i Cobas, capaci di intercettare e incanalare un malcontento diffuso in un grande momento di lotta che ha visto la partecipazione di praticamente tutte le categorie.
Secondo l’USB, milioni di lavoratori e lavoratrici hanno scioperato in tutto il Paese, con punte del 70% di scuole chiuse in alcune città e una partecipazione molto alta nei trasporti, in particolare nel Sud. Le parole d’ordine sono state quelle della solidarietà internazionalista, contro le politiche di riarmo e per la fine del genocidio in Palestina. Lo slogan rilanciato dai sindacati di base è immediato: “Abbassare le armi, alzare i salari”. Un messaggio tanto semplice quanto chiaro ripreso anche in uno degli interventi più significativi al presidio di Roma, quando un pompiere USB ha interrotto i cori della folla, ricordando che i pompieri hanno paura, devono averne, perché non sono supereroi ma lavoratori come tutti gli altri e per questo bisogna scioperare contro uno Stato che sottrae fondi a ricerca, sanità e soccorso pubblico per investirli nell’industria bellica. Le persone vogliono il welfare non il warfare, vogliono servizi, sicurezza abitativa e salari dignitosi, non essere complici di un genocidio che miete centinaia di vittime ogni giorno da quasi due anni.
La mobilitazione del 22 settembre ha attraversato strade, piazze, stazioni e porti. Sono state occupate le stazioni di Pisa, Napoli, Torino e Milano; bloccate le tangenziali e le autostrade a Bologna, Firenze e Roma e i porti di Genova, Livorno, Bari, Venezia e Trieste. La chiamata di USB, sullo slancio della Freedom Flottila, è stata in grado di bloccare punti economici nevralgici di questo paese mobilitando ampie fasce della popolazione in maniera coordinata ovunque. Questa capacità organizzativa ramificata non può che spaventare chi ci governa.
E, per la prima volta in Italia, non vediamo soltanto una grande capacità di coordinamento nazionale, ma anche la presa di parola e di spazio pubblico delle cosiddette “seconde generazioni” e delle tante soggettività razzializzate che abitano questo paese. Sono loro che smascherano con chiarezza le bugie di queste democrazie liberali, le stesse che avevano promesso uguaglianza e diritti, distinguendosi dai corrotti governi arabi o dai tanti Stati post-coloniali che, una volta raggiunta l’indipendenza, hanno deluso le aspettative di milioni di persone. Oggi il genocidio a Gaza ha il volto del razzismo e dell’islamofobia: ed è questo che li fa, giustamente, incazzare. Sono giovani come Ramy per cui ancora si chiede giustizia, e sono tutte quelle persone che abbiamo deluso con quel Sì mancato al referendum dell’8 giugno per la riforma della legge sulla cittadinanza.
Persone razzializzate, lavoratrici precarie e giovani sono inoltre del tutto sacrificabili, e infatti la risposta del governo e delle forze dell’ordine è stata la solita: repressione. Cariche, idranti e lacrimogeni in diverse città, con feriti portati in ospedale, arresti e denunce. Da parte delle istituzioni è arrivato il consueto tentativo di rovesciare i ruoli: non solo si è vittime di un sistema violento e iniquo, ma quando ci si ribella si diventa automaticamente “vandali” o “delinquenti”. Una narrazione che non sorprende, ma che mostra ancora una volta la distanza tra la società reale e chi governa.
In questo scenario, tuttavia, la grande sconfitta è stata quella dei sindacati confederati, primo fra tutti la CGIL, che invece di convergere pienamente nello sciopero del 22, ha proclamato per conto proprio un’astensione di sole quattro ore il 19, passata quasi del tutto inosservata e alla quale hanno aderito in pochissimi. Non potendo formalmente indire un vero sciopero generale, si sono così ritrovati ai margini, incapaci di cogliere la portata storica del momento e rischiando di collocarsi, di fatto, dalla parte sbagliata della storia.
Ma chi si trova senza alcun margine di dubbio dalla parte imperdonabile della storia sono i nostri rappresentanti politici, i governi e le istituzioni occidentali. A partire da un’Unione Europea incapace persino di approvare sanzioni economiche contro Israele, passando per quei paesi che ancora riforniscono lo Stato Ebraico di armi, fino ad arrivare agli Stati Uniti, un Paese sempre più logorato da disuguaglianze interne ormai incolmabili e sull’orlo di una nuova guerra civile.
La Storia presenterà loro il conto, prima o poi, e non sarà indulgente.
Gli autori: Federica Stagni è ricercatrice alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Luca Bonaventura è documentarista e videomaker