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Sciopero, la sconfitta (comunicativa) del governo

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Il tentativo di alcuni membri dell’esecutivo di mettere gli uni contro gli altri i lavoratori, con lo sciopero è completamente fallito.

L’elevato tasso di adesione allo sciopero generale di venerdì(più del 70% con punte del 100% e numerose aziende ferme) è un segnale che il governo non può ignorare, oltreché una buona notizia per un Paese in cui il corpo elettorale sembrava ormai votato a un astensionismo “cronico”.

Certo: uno sciopero non è un’elezione, ma è anche da questo che si misura la nostra tenuta democratica.

Di contro, il tentativo di alcuni illustri membri dell’esecutivo di mettere gli uni contro gli altri i lavoratori, remake di un film già visto ai tempi del Reddito di cittadinanza quando il nemico giurato erano i poveri, è completamente fallito. I temi di fondo della protesta, in primis una legge di Bilancio inadeguata, erano sicuramente rilevanti, ma, più di tutto, stavolta il governo ha perso la partita proprio sul fronte della comunicazione.

Davanti a una sofferenza crescente – ieri l’Istat ha reso noto che a settembre si è registrato il quinto mese consecutivo di calo del fatturato dell’industria mentre a novembre è tornato a correre il carrello della spesa – la strategia di buttarla sul vittimismo riducendo il tutto a quisquilie come “i sindacati scioperano perché al governo c’è la destra” si è rivelata un autogol. Una fake news, peraltro, come ha constatato ieri sul “Manifesto” l’economista Emiliano Brancaccio.

“Per quanto diffusa – ha scritto -, la tesi che gli scioperi siano ‘troppi’ è smaccatamente falsa. Se prendiamo i dati ufficiali della International Labour Organization (ILO) sulle ore di mobilitazione per scioperi nei paesi relativamente ‘sviluppati’ – dagli Stati Uniti alla Corea del Sud, dai membri dell’Unione europea alla Turchia, e così via – scopriamo che dal 1992 ai giorni nostri si è verificata una mastodontica caduta delle astensioni dal lavoro: in media, gli scioperi sono crollati di oltre il 40 percento”.

Per Brancaccio, l’Italia “può esser messa tra i capofila del crollo. Tra il 1973 e il 2009, i conflitti di lavoro annui passano da 5.598 complessivi a meno di mille, una precipitazione superiore all’80 percento”. Per il periodo successivo, “la caduta si accentua ulteriormente: tra il 2005 e il 2022 si passa da circa 30 ore di sciopero a meno di 10 ore di sciopero per ogni mille ore di lavoro, una discesa di altri due terzi”.

Altresì, “dalla contabilità delle ore di sciopero per settore, non si registrano apprezzabili differenze tra i periodi di governo della destra, del centro-sinistra, dell’esecutivo giallo-verde ‘populista’ o delle compagini ‘tecnocratiche’ di Monti e Draghi”. Insomma: “I dati smentiscono il vittimismo della destra” ha concluso l’economista. Touché.

1/12/2024

da La Notizia

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