In Africa i cambiamenti climatici stanno rendendo rari generi alimentari che fino a poco tempo fa erano accessibili
«Lo scorso fine settimana avevo un appuntamento nel quartiere di Odza, a Yaoundé. Mi sono detta che sarebbe stata un’occasione utile per fare un po’ di compere, soprattutto verdure. Mi avvicino a un banco: “Il cesto costa 500 franchi Cfa”, mi dice la commerciante. Resto impietrita, scioccata. Il mio sguardo mi tradisce e lei continua: “Figlia mia, è rincarato tutto! I contadini seminano ma non c’è pioggia. I raccolti sono scarsi. E le verdure che cerchi ormai sono merce rara”. Lo capisco, ma poco tempo fa costava 100 franchi. Il prezzo è quintuplicato!».
A scrivere è Luchelle Feukeng, responsabile della comunicazione e dello storytelling di Greenpeace Africa, in un articolo intitolato “Quando la verdura diventa un lusso”. E nel quale si individua a chiare lettere il colpevole: i cambiamenti climatici. «È la triste realtà – prosegue – con cui convivono gli abitanti del Camerun: nutrirsi diventa sempre più difficile».
Africa e clima: in Camerun anche la verdura diventa un bene di lusso
Nel maggio del 2023 un rapporto pubblicato dal ministero dell’Agricoltura della nazione africana rivelava che circa l’11% della popolazione si trovavano in situazione di insicurezza alimentare grave. Anche in quel caso di indicava un colpevole. E, indovinate un po’, anche secondo le istituzioni si trattava dei cambiamenti climatici.
Il riscaldamento globale sta cambiando l’esistenza di ciascuno di noi, ben al di là dei momenti in cui si verificano gli eventi meteorologici estremi. Il problema è che dell’improvvisa inondazione di una città derivante da precipitazioni torrenziali si parla ovunque. Si aggiorna la lista dei morti, dei feriti, dei dispersi. Si quantificano i danni materiali. Si aprono i telegiornali con immagini d’impatto raccolte da elicotteri di soccorso. Al contrario, per moltissimi impatti meno “visibili” la copertura mediatica è nettamente inferiore, se non del tutto assente.
Crisi climatica in Africa: gli effetti di cui nessuno parla
Per fortuna una mano la danno le Nazioni Unite. Nel nuovo rapporto annuale “Stato del clima in Africa”, pubblicato pochi giorni fa, l’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm) ha spiegato che proprio per i Paesi africani gli impatti climatici stanno diventando devastanti. Nel Maghreb la temperatura media è risultata nel 2024 di 1,28 gradi centigradi superiore alla media del periodo 1991-2020. Attenzione: non ai livelli pre-industriali, ai quali si fa riferimento nell’Accordo di Parigi sul clima, ma a un periodo ben più recente, nel quale il riscaldamento globale si era già in gran parte prodotto. Per l’Africa nel suo complesso il dato è stato pari a 0,86 gradi.
Allo stesso modo, l’Omm spiega che la temperatura del mare ha segnato i dati più alti da quando si effettuano con regolarità le registrazioni. La quasi totalità delle zone oceaniche che circondano il continente sono state oggetto di ondate di caldo marino di intensità forte, severa o estrema (con picchi in particolare nell’Atlantico tropicale). Poi non c’è da stupirsi se nel Sud Sudan, ad esempio, le inondazioni degli ultimi mesi hanno privato migliaia di agricoltori dei loro beni, a partire dal bestiame, mettendo in ginocchio intere economie. Né se 700mila persone sono state costrette ad abbandonare le loro case soltanto lo scorso anno per colpa di ondate di siccità estreme, soprattutto in Malawi, Zambia e Zimbabwe. Né se altre 600mila sono dovute fuggire nel nord della Nigeria nello scorso settembre per via delle piogge torrenziali.
Clima e disuguaglianze: perché l’Africa paga il prezzo più alto
Ma perché è utile parlare di Africa, potrebbe chiedersi qualcuno di voi? Perché si tratta di una delle frontiere dei cambiamenti climatici, certo. E anche perché spesso parliamo di comunità vulnerabili, povere, che faticano ad adattarsi agli impatti del riscaldamento globale. Ma soprattutto, è sempre utile ricordarlo, perché le perdite e i danni che patisce il continente sono causati quasi unicamente dal fatto che noi, mondo ricco, da un paio di secoli bruciamo carbone, petrolio e gas per prosperare. Pur sapendo benissimo cosa stessero facendo (vero, cari dirigenti di ExxonMobil e di Shell?).
Per questo l’Africa grida. Eppure resta quasi del tutto inascoltata. Sinceramente, alzi la mano chi ha sentito parlare in Italia della sesta edizione dei Negoziati africani per il clima, che si è tenuta di recente a Kampala, in Uganda, dalla quale è giunto un potente e accorato appello in vista della trentesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop30) in programma a novembre in Brasile.
Africa e giustizia climatica: l’appello alla Cop30
«L’Africa subisce in pieno un problema che non ha creato. Non esiste un solo contesto nel quale ciò possa essere considerato giusto e accettabile», ha affermato Jaqueline Amongin, presidente del gruppo dei Parlamentari africani per l’azione climatica. Da Kampala è emerso, ancora una volta, come i fatti siano chiarissimi: occorre, hanno spiegato i leader dei Paesi partecipanti, un’azione unificata di giustizia climatica e di riforme finanziarie se si vorrà evitare che la crisi legata al riscaldamento globale inasprisca ancor di più le già rivoltanti disuguaglianze che dividono l’umanità. E il suo futuro, se si considera che in un Paese come l’Uganda il 75% della popolazione ha meno di 35 anni. Persone alle quali abbiamo il dovere morale di non compromettere il futuro più di quanto non abbiamo già fatto.
23/05/2025
da Valori