Riforme La decisione definitiva alla Consulta. Il governo può varare una norma che corregga la legge Calderoli per azzerare tutto. Zaia: «Asteniamoci»
Il referendum sull’autonomia differenziata supera il secondo ostacolo, dopo il primo riguardante il numero di firme necessarie. Ieri mattina, infatti, la Cassazione ha dato il via libera al quesito, che dovrà affrontare tra un mese il vaglio di ammissibilità davanti alla Corte costituzionale. Se il governo varerà successivamente un decreto «salva legge Calderoli», si dovrebbe ancora tornare in Cassazione. E non è finita: se si arriverà alle urne ci sarà da superare la soglia del quorum. E su questo Luca Zaia ha già indossato la talare del cardinale Ruini, preannunciando di puntare sull’astensionismo.
IL PRONUNCIAMENTO di ieri mattina della Cassazione si era reso necessario per la sentenza della Corte costituzionale del 3 dicembre scorso (la ormai famosa 192 del 2024). Questa aveva dichiarato illegittime circa la metà delle norme della legge Calderoli, tra l’altro quelle più importanti. La Suprema Corte doveva dunque stabilire se sopravvivevano «contenuti normativi essenziali» e «i principi ispiratori» della legge. Venerdì scorso il presidente del Comitato promotore, Giovanni Maria Flick, aveva depositato una memoria, preparata dagli avvocati Enrico Grosso e Vittorio Angiolini, per sostenere le ragioni della validità del quesito totalmente abrogativo. La Cassazione è stata sintonica con queste argomentazioni, visto il pronunciamento di ieri.
UNA DECISIONE niente affatto scontata: alcuni esperti ritenevano che sarebbe accaduto il contrario. Il sì della Cassazione è stato salutato con entusiasmo dai promotori, sia gli attori sociali (come Christian Ferrari della Cgil o Ivana Veronese della Uil), che quelli politici (dal Pd a Avs, da M5s a Iv e +Europa) che hanno chiesto al governo di fermare le intese con le regioni. I governatori di destra, Attilio Fontana, Luca Zaia e Alberto Cirio, hanno sbeffeggiato il buon senso, dicendo che invece si va avanti con le intese. Se permane il referendum, è stato il ragionamento di Fontana e del ministro Roberto Calderoli, vuol dire che la legge «è viva e vegeta».
TRA UN MESE, entro il 20 gennaio, il quesito dovrà passare il vaglio di ammissibilità davanti la Corte costituzionale: la Costituzione impedisce referendum su leggi riguardanti la finanza pubblica e il governo aveva presentato il ddl come collegato alla legge di Bilancio 2023. Tuttavia il Comitato promotore è confidente in un ulteriore sì: precedenti pronunciamenti della Consulta hanno sottolineato che il collegamento non possa essere solo formale, come avviene per la legge Calderoli, che non prevede spese. Né si tratta di una legge costituzionalmente necessaria, visto che in precedenza si è proceduto a intese (poi fermatisi) senza una legge quadro. Il governo, con l’avvocatura generale dello Stato, chiederà poi il no sostenendo che il quesito non è omogeneo, tesi che il comitato promotore contesterà.
SE ANCHE QUESTA BARRIERA verrà superata, il governo ha pronta quella che ritiene la mossa del cavallo. Un decreto che contenga le correzioni alla legge Calderoli, conseguenti alla sentenza 192 della Corte costituzionale. Una volta che le Camere convertiranno il decreto, si riaprirà il capitolo Cassazione. L’ufficio centrale del referendum dovrà valutare se le nuove norme rendono superato il quesito. Se arriverà un ulteriore via libera dalla Suprema Corte si aprirà la vera partita politica. Urne con raggiungimento del quorum.
UNA RECENTE CIRCOLARE del Viminale ha reso noto che le elezioni comunali del 2025 si terranno nella seconda metà dell’anno. Quindi i referendum (ci sono anche quelli su cittadinanza e Jobs act) non beneficeranno del traino parziale di queste consultazioni. Ieri in senato tra le destre si faceva sfoggio di ottimismo sul non raggiungimento del quorum. «Se ci sarà un referendum, ben venga. Saranno gli italiani a decidere», ha detto il presidente Ignazio La Russa. «Sono sempre stato a favore dei referendum – ha chiosato Calderoli -. Bisogna raggiungere il quorum e avere più del 50% di persone che dicono sì, ma quando si esprime il popolo, il popolo ha sempre ragione». Ancora più esplicito Zaia che punta al metodo Ruini, cioè far congiungere i contrari all’astensionismo ormai vertiginoso. «In caso di referendum, io penso che sia fondamentale che chi crede nell’autonomia non deve andare a votare» ha tuonato il governatore veneto.
DAL 1997 A OGGI il quorum è stato raggiunto solo nel 2011 per quello sull’acqua pubblica. Servirà una mobilitazione forte e intelligente per fare di quelle urne «una festa della democrazia» come ha preconizzato Christian Ferrari. Le firme raccolte sono state oltre un milione: servono altri 24 milioni di voti, con i 4,5 milioni di italiani residenti all’estero che rendono impervio raggiungere la meta. Nella Lega il nervosismo è a fior di pelle. In caso di vittoria dei sì, Zaia concluderebbe la propria carriera fondata sul referendum sull’autonomia del 2017 con un fiasco totale.