LA CACCIA CONTINUA. L’offensiva israeliana torna con prepotenza nel centro e a nord. Colpite case e scuole Unrwa. A sud si ammassano i carri armati. Nuove udienze alla Corte internazionale dell’Aja per fermare l’operazione nella città meridionale
«Nel 1948 ho portato via tra le braccia mio nipote, oggi mio figlio e i miei nipoti portano via me. Nel 1948 sono scappata a piedi, oggi scappo su un autobus con addosso pochi vestiti». Fatima Hussein ha 87 anni, è undici anni più vecchia dello stato di Israele. Ad al Jazeera racconta la sua seconda Nakba nei giorni in cui si commemora la prima.
L’impressione per i palestinesi è la stessa di 76 anni fa: la totale distruzione dello spazio di vita, l’evaporazione delle reti sociali e familiari, l’esodo. Nel 1948 530 villaggi furono svuotati e distrutti, i due terzi dell’allora popolo palestinese (quasi un milione di persone) fu cacciato.
Da mesi quasi due milioni di palestinesi hanno perso la loro quotidianità di vita, di quartiere, i vicini di casa, i familiari. Si passa da un eccesso all’altro: Rafah che fino a pochi giorni fa pullulava di un’umanità senzatetto ora – scrive l’Unrwa – è una città fantasma. Quasi mezzo milione quelli fuggiti dal fuoco israeliano che da una settimana colpisce da est e sud e arriva al centro e a ovest.
IERI NUOVI ORDINI di evacuazione sono stati lanciati dall’esercito israeliano sul nord di Gaza, come in un loop: 100mila persone, scrive l’Onu, sono state di nuovo sfollate. Quella parte di striscia, in macerie, si credeva costretta ad affrontare «solo» la carestia e invece sono tornati carri armati e caccia. Sono tornati nei campi profughi di Nuserait e Jabaliya, nelle ultime 48 ore i più colpiti. I numeri li danno le forze israeliane: oltre cento raid in tutta Gaza in un solo giorno, espansione delle operazioni a Jabaliya, eliminazione di cellule di combattenti tra Gaza City e Rafah.
Hamas dice di essersi riorganizzata dove Israele pensava di averla eliminata, a dimostrarlo gli scontri a terra degli ultimi giorni: è il loop da cui non si esce. A Jabaliya i caccia hanno colpito diverse abitazioni su via al-Ternis, mentre i carri armati e i bulldozer circondavano le cosiddette zone di evacuazione, tra cui tre scuole dell’Unrwa usate come rifugio da centinaia di famiglie.
A Nuseirat le scene peggiori: due bombardamenti hanno centrato una scuola dell’Unrwa e la casa della famiglia Karaja, almeno 40 gli uccisi. Forse di più, ieri si scavava a mani nude. «Nel campo di Nuseirat – racconta Hani Mahmoud, giornalista di al Jazeera – un palazzo di tre piani, con un centinaio di sfollati all’interno, è stato spianato. Alcuni degli uccisi erano nuovi arrivati da Rafah. Sono ormai passate sette ore e i soccorritori sono riusciti a recuperare vive solo sette persone».
Le squadre di soccorso non hanno i mezzi per rimuovere tonnellate di macerie, manca il carburante ma anche l’equipaggiamento, si rischia – dice il portavoce della protezione civile – di dover interrompere le attività. «Stanno ancora cercando – aggiunge la giornalista Hind Khoudary – Ho incontrato i vicini, i familiari di quelli ancora in trappola. Immaginate di fuggire dai raid di Rafah, andare in cerca di un luogo sicuro e venire uccisi appena tre giorni dopo». Israele dà conto di quindici uccisi a Nuseirat e li identifica tutti come «terroristi» nascosti nella scuola.
IL BILANCIO delle vittime dal 7 ottobre è salito a 35.173, a cui vanno aggiunti almeno diecimila dispersi e un numero imprecisato di palestinesi morti per malattie e fame. Nel nord non c’è più nessun ospedale funzionante, a sud solo quattro che operano a regime ridotto. Medici senza Frontiere ha annunciato ieri di aver sospeso le attività nell’ospedale da campo indonesiano di Rafah a causa degli «attacchi sistematici contro le strutture mediche e le infrastrutture civili»
Ieri funzionari dell’amministrazione Biden, in condizione di anonimato, hanno detto alla Cnn che Israele ha ammassato intorno alla città di Rafah abbastanza truppe da lanciare un’invasione via terra di larga scala, non «limitata» come continua a chiedere Washington.
E, aggiungono le fonti, Tel Aviv continua a non produrre un piano di evacuazione minimamente adeguato, come «infrastrutture legate al cibo, l’igiene e i rifugi». Una conferma giunge da chi a Rafah ci vive e che racconta, tramite video sui social network, di carri armati israeliani che entrano dai quartieri orientali di Rafah, sempre più in profondità.
È INTORNO a Rafah e all’ampiamente annunciata offensiva terrestre che ruoteranno, giovedì e venerdì, le due udienze della Corte internazionale di Giustizia, che si riunisce di nuovo su richiesta del Sudafrica perché emetta altri ordini dopo che quelli di gennaio e di marzo non sono riusciti a fermare l’offensiva per il mancato rispetto da parte israeliana e l’assenza di sanzioni da parte internazionale. A unirsi alla denuncia di Pretoria ora c’è anche l’Egitto, dopo l’implosione del dialogo cairota tra Israele e Hamas.
Ieri Sheikh Mohammed, primo ministro del Qatar – l’altro grande mediatore – è tornato sul negoziato accusando Tel Aviv di averlo di fatto congelato decidendo di lanciare l’operazione su Rafah. Le differenze permangono sul fronte del rilascio degli ostaggi e del cessate il fuoco: «C’è una parte che vuole finire la guerra e poi parlare degli ostaggi – riassume il premier di Doha – e un’altra che vuole gli ostaggi per poi continuare la guerra».
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«Abu Sitta libero di entrare in Europa»
«Il divieto di viaggio imposto su di me nell’area Schengen è stato cancellato». Con un post su X il chirurgo britannico palestinese Ghassan Abu Sitta ha dato ieri pomeriggio notizia della vittoria legale sul divieto di ingresso in Europa imposto contro di lui dalla Germania a metà aprile. Aveva validità di un anno e copriva l’intero territorio «libero» europeo. Il ricorso presso una corte amministrativa in Germania è stato vinto dal legale Alexander Gorski, appoggiato dall’International Centre of Justice for Palestinians (Icjp) e dall’European Legal Support Centre (Elsc). A seguito del bando che gli aveva impedito di entrare in Germania per una conferenza, Abu Sitta era stato respinto anche dalla Francia e dall’Olanda.
15/05/2024
da Il Manifesto