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Silenzio di tomba

Silenzio di tomba

Politica italiana

02/11/2025

da Il manifesto

Mario Di Vito

Silenzio di morte Il governo tace, l’accordo anti migranti andrà avanti altri 3 anni. Nuove deduzioni alla Cpi per giustificare la liberazione del boia. L’ambasciatore Massari parla di nuove regole per la cooperazione. E cita la questione costituzionale sollevata dai giudici: non ha sbagliato Nordio, era sbagliata la legge

Si trattava di non fare niente, e il governo è riuscito a svolgere questo compito alle perfezione: oggi si rinnova in automatico il memorandum tra Italia e Libia «sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere».

SCATTA in sostanza la clausola inserita all’articolo 8: le parti possono chiedere di rivedere gli accordi solo in forma scritta e con un preavviso almeno di tre mesi sulla scadenza. Il patto venne stipulato il 2 febbraio del 2017, si intenderà tacitamente confermato il 2 febbraio del 2026 e oggi è l’ultimo giorno utile per poterlo disdire o modificare. Se ne riparlerà tra tre anni. Nessuna sorpresa: il dibattito sul memorandum non è esistito in parlamento e nel paese soltanto poche tra associazioni umanitarie e ong hanno provato, vanamente, ad alzare la voce. Dunque la collaborazione continuerà, i lager per migranti in Libia non interromperanno il loro lavoro e la famigerata guardia costiera di Tripoli proseguirà la sua sanguinaria opera di limitazione delle partenze verso le coste italiane. Tutto questo in cambio di soldi, mezzi e addestramento. Un affare.

IERI, intanto, la Corte penale internazionale ha reso pubblica l’ultima risposta di Roma alle domande della prima pre-trial chamber sul caso Almasri, nome simbolo dello stretto rapporto che c’è tra Italia e Libia. Le due paginette, firmate dall’ambasciatore italiano nei Paesi Bassi Augusto Massari e consegnate all’Aja venerdì, sono l’estremo tentativo di evitare un deferimento di fronte al consiglio di sicurezza dell’Onu per mancata cooperazione giudiziaria. E i toni, rispetto al passato quando si parlava di «mandato d’arresto confusionario» e si concionava di «interessi strategici» e «sicurezza nazionale», sono molto più bassi.

IL NOSTRO PAESE quasi ammette l’errore fatto con la mancata consegna dell’ex capo della polizia giudiziaria di Tripoli, ricercato per crimini di guerra e contro l’umanità. Scrive Massari: «L’esperienza maturata con il caso Almasri ha portato l’Italia, in tutte le sue articolazioni (parlamento, governo e magistratura), a intraprendere una revisione delle modalità con cui deve operare il sistema di cooperazione delineato dalla legge italiana».

IL RIFERIMENTO è alla decisione presa giovedì dalla Corte d’appello di Roma di sollevare davanti alla Corte costituzionale una questione sulla parte della legge numero 237 del 2012 (quella che regola appunto la cooperazione con la Cpi) in cui si parla di obbligo da parte dell’autorità giudiziaria di interloquire con il ministero della giustizia. La sponda al governo è evidente: il problema con Almasri – cioè proprio il motivo per cui il 21 gennaio il suo arresto non venne convalidato – risiedeva nel fatto che da via Arenula nessuno rispose alle sollecitazioni della Corte d’appello di Roma. Che ora dice: in fondo quella parte della legge forse era sbagliata. Non basta per coprire l’inazione del ministro Carlo Nordio e dei suoi uffici (che nemmeno si sono degnati di interloquire con la Corte dell’Aja), ma i giudici di fatto concedono che la norma era da considerare quantomeno discutibile. Peccato che tutti i più importanti paesi europei prevedono nei casi del genere avvenga un dialogo tra i magistrati e l’esecutivo, che ha sempre l’ultima parola: in Francia il guardasigilli filtra tutte le richieste, in Germania il ministero federale della giustizia ha potere di veto, in Spagna il governo ha facoltà di bloccare tutto per motivi di politica estera, nel Regno Unito il segretario di stato ha il pieno controllo delle procedure.

AD OGNI MODO, Massari assicura che qualcosa stiamo facendo. Di più, l’ambasciatore spiega all’Aja che con il diniego opposto dalla Camera alla richiesta di autorizzazione a procedere contro Nordio, Piantedosi e Mantovano non è affatto un colpo di mano, perché «la magistratura ha il potere di sollevare la questione del conflitto di attribuzione di poteri statali dinanzi alla Corte Costituzionale; inoltre, la questione può essere sollevata senza alcun termine prefissato. La Corte Costituzionale ha ritenuto ammissibili ricorsi analoghi in diverse occasioni». Un ricorso c’è già, l’ha presentato a nome di Lam Magok, vittima di Almasri, l’avvocato Francesco Romeo. Ma proprio questa settimana il tribunale dei ministri ha disposto l’archiviazione dei due ministri e del sottosegretario in virtù dello scudo parlamentare.

MASSARI però insiste molto sul punto della libertà d’iniziativa della giurisdizione, e fa presente che esiste anche un’indagine aperta per false informazioni ai pm nei confronti di Giusi Bartolozzi, capa di gabinetto del ministero della Giustizia. «La procura è, ovviamente, indipendente e la durata del procedimento non è in alcun modo prevedibile», argomenta. Nessun accenno ovviamente al clima che si respira in Italia quando si parla di giustizia: ogni decisione presa da un giudice e sgradita al governo diventa casus belli; la premier ormai manco nasconde più che la riforma della separazione delle carriere è una vendetta contro le toghe; chi ha rinviato alla giustizia europea le leggi sull’immigrazione – a ragione, viste le sentenze – è stato additato e oggetto di linciaggio televisivo per mesi e mesi. E pure sul caso Almasri nello specifico non c’è mai stata alcuna vera ammissione di responsabilità da parte dell’esecutivo.

«L’ITALIA rinnova la sua ferma intenzione di collaborare positivamente con la Cpi», scrive Massari prima dei cordiali saluti. Da domani, però. Scordiamoci il passato. Nella speranza che il prossimo criminale internazionale che passa da queste parti non sia un pezzo fondamentale della nostra politica estera come l’ultimo.

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