08/10/2025
da Remocontro
Il nuovo terremoto politico francese sta scuotendo le Cancellerie di mezza Europa e lo Stato maggiore dell’Unione, a Bruxelles. Si teme che possa risultare una ‘crisi di sistema’, che sta interessando il Vecchio continente. Scompaginando equilibri politici e sociali che si ritenevano ormai consolidati.
Crisi francese o dell’Europa?
Negli ultimi anni, i problemi di governance del grande Paese transalpino si sono fatti quasi strutturali. La pandemia, la caduta della domanda internazionale, la guerra in Ucraina, un periodo di alta inflazione e alcune scelte di riconversione industriale hanno creato le condizioni per una tempesta economica ‘perfetta’. Per tutti, s’intende. Perché, chi più e chi meno, ognuno alla fine è uscito ammaccato da questo periodo terrificante. Che fa ancora sentire (e basta dare un’occhiata agli indicatori statistici) i suoi micidiali contraccolpi. La scelta (universale) è stata quella di superare la burrasca sostenendo le economie attraverso massicce iniezioni di spesa pubblica aggiuntiva. A debito, ovviamente. C’è chi ha cercato di barcamenarsi e c’è stato, invece, chi si è fatto prendere un po’ la mano. Contribuendo, con l’alibi dell’emergenza, a fare lievitare il debito sovrano come un panettone. Perché, vedete, per i mercati (e per le società di rating) non conta solo l’ammontare del debito pubblico, ma dev’essere valutata anche la sua velocità di crescita. Oltre, naturalmente, alla sua solvibilità, garantita dagli Stati. Beh, è proprio questo il muro di cemento armato sul quale è andato a sbattere Lecornu. E prima di lui, Bayrou. Bisogna preparare di gran corsa una legge finanziaria, che ripiani almeno 40-45 miliardi di euro di deficit. Altro che poltrone! Il vero motivo della crisi è che la poltrona principale al Matignon, in questo momento, scotta maledettamente. Chi prova a sedercisi deve, obbligatoriamente, tagliare la spesa sociale o aumentare le tasse. E poi vedersela con gli elettori. Una via crucis che tocca solo l’Eliseo? Macché, i guai finanziari affliggono tutta l’Europa. Solo che ‘est modus in rebus’, dicevano i latini. Cioè, ognuno si arrabatta come può e soprattutto non si vanta, davanti a tutte le televisioni, di spendere un occhio della testa «per la sicurezza nazionale». Ovvero, per ingrassare ulteriormente l’opulento complesso militare-industriale.
In Germania è allarme rosso
La Francia è osservata speciale già da un pezzo. Dopo la fuga degli inglesi dall’Unione, con la Brexit, per ragioni di vile pecunia, l’asse portante della Comunità è tornato a essere quello franco-tedesco. Anche se non sempre, in passato, le cose sono filate lisce tra Macron e l’ex Cancelliere Olaf Scholz. Ma con Merz le cose sembrano andare meglio, anche se quest’ultimo (come il francese), coltiva la nostalgia dei bei tempi andati. Di quando, cioè, la Grosse Deutschland non suggeriva. Ordinava. Tuttavia, nonostante proprio Merz abbia (con una forzatura) fatto modificare la sua Costituzione per togliere il ‘freno del debito’, i tedeschi rimangono sospettosi, nei confronti di tutti coloro che spendono e spandono, chiedendo soldi in prestito. Che è quello che ha fatto la Francia. «Le politiche populiste e il rischio finanziario della Francia mettono in pericolo l’Europa», ha scritto Henrik Muller su Der Spiegel. Aggiungendo che «la Francia è gravata da 3,2 trilioni di euro di debito. L’aumento dei tassi di interesse e una macchina politica fuori controllo minacciano la sua stabilità finanziaria. E ora il governo potrebbe crollare». L’articolo sembra fresco di stampa, ma in effetti è stato pubblicato nel dicembre scorso e parlava della caduta di Michel Barnier. Da allora la crisi non ha fatto che peggiorare. «Se il Paese si troverà senza un bilancio nazionale per il prossimo futuro, è possibile che sui mercati finanziari prevalga il panico. È una danza sull’orlo di un vulcano. Alcuni in Francia stanno già facendo paragoni con la Grecia del 2010: uno Stato fortemente indebitato, guidato da un apparato politico disfunzionale e incapace di gestire le finanze pubbliche. A quel tempo, la Grecia stava barcollando verso la bancarotta nazionale. Il primo tassello del domino della crisi dell’euro. Altri seguirono: Irlanda, Portogallo, Cipro».
Nuova crisi dei debiti sovrani?
Il segnale che arriva dalla Francia non deve essere sottovalutato. Der Spiegel ha intervistato Jorg Kramer, adviser di Commerzbank, il quale ha parlato della probabilità che“la Francia stia facendo sprofondare gli europei in una nuova crisi del debito. “La formazione di un governo in Francia fallisce e i mercati finanziari reagiscono nervosamente”, ha detto l’economista. Avvertendo che un debito troppo alto potrebbe minare la stabilità dell’euro. “Guardate i premi di rendimento sui titoli di Stato francesi decennali rispetto ai Bund tedeschi – ha aggiunto Kramer – , il cosiddetto spread. L’altro ieri sono leggermente aumentati. Non si tratta di un aumento drastico, ma solo di un segnale d’allarme. Ora, il problema fondamentale rimane politico: chiunque diventi Primo Ministro, non avrà una chiara maggioranza nell’Assemblea Nazionale francese. Le frange, sia di sinistra che di destra, sono forti, mentre non esiste una coalizione stabile al centro che possa portare avanti l’urgentemente necessario risanamento fiscale. Senza riforme, il debito pubblico francese rischia di salire al 150% del Prodotto interno lordo (Pil) nei prossimi dieci anni. Tuttavia, secondo i sondaggi, in Parlamento rimarrebbero tre schieramenti di dimensioni simili, con idee di politica economica diverse. Dal punto di vista dei mercati finanziari, il sistema politico francese è attualmente disfunzionale”.
- Se l’analisi, che d’altro canto riprende le riflessioni di altri commentatori, è corretta, allora parlare di “crisi di sistema” ci sembra la giusta valutazione del momento politico che vive la Francia. Ma la domanda più importante, che comincia ad avere risposte concrete (e dure) da parte degli elettori in altri Paesi, è se la crisi francese rappresenta una fase di transizione verso nuovi modelli di governance della società occidentale.