Siria. «Il cambio di regime implica la ricostruzione dello stato, della società civile e di quella politica in un Paese ridotto a condominio militare di grandi potenze e di mille fazioni» la lucida premessa di Alberto Negri, mentre il Manifesto avverte: «La vecchia spartizione della Siria non ha retto, è già iniziata la nuova».
L’Europa mercante, di fronte alla rischiosa disgregazione di un Paese chiave del Medio Oriente, nuova Libia, si preoccupa dei profughi che spera di poter rimpatriare. Israele intanto se ne ruba un altro pezzo.
Assoluzione senza processo per l’Hts di Al-Jolani tolta dalla lista dei terroristi internazionali
Siria frantumata in mille pezzi
Nessuno può uscire indenne da una guerra civile che in Siria ha frantumato il Paese in mille pezzi, con milioni di profughi: oltre 12 milioni di siriani in questi anni hanno dovuto lasciare le loro case, la metà fuggendo fuori dai confini. Paesi tra i più forti e ricchi del mondo arabo in una generazione si sono disintegrati e in Siria il regime è evaporato senza opporre resistenza: un segnale positivo – non ci sono state troppe vittime – ma anche negativo perché significa che lo stato si è dissolto quando lo hanno abbandonato i suoi sponsor principali, Russia, Iran e Hezbollah.
Stati proprietà privata, eserciti al soldo
Questo significa che il suo esercito non ha combattuto perché sapeva di battersi per un clan, quello degli Assad, e non più per una nazione e uno stato. L’esercito si è liquefatto, come quello iracheno nel 2014 davanti all’Isis, anche prima dell’offensiva dell’Hts e dei suoi alleati filo-turchi: aveva perso motivazione, è stato umiliato da servizi segreti che trattavano i generali come camerieri al servizio del clan al potere.La Siria è stata ridotta a una scatola vuota, desertificata come i corridoi abbandonati del palazzo di Assad, svalutata come le banconote razziate alla Banca centrale di Damasco.
Fine anche formale del partito Baath
Un finale triste perché con il regime è stato archiviato per sempre il partito Baath. Fondato in Siria nel dopoguerra da un greco ortodosso, Michel Aflaq, e da un sunnita, Salah Bitar, il partito Baath era nelle mani insanguinate degli Assad mentre quello iracheno di Saddam Hussein era stato sciolto, con l’esercito, dagli Usa. Non restava quasi nulla dell’ideologia socialista e panaraba originaria – che aveva segnato negli anni Sessanta il riscatto dei più poveri di fronte alle strutture feudali – se non il principio della laicità dello stato. Un giorno qualcuno lo ricorderà.
Ricostruzione dello Stato. Quale?
Si pone quindi il problema urgente che abbiamo visto altre volte: il cambio di regime implica la ricostruzione dello stato, della società civile e di quella politica in un Paese già ridotto a una sorta di condominio militare di grandi potenze e di mille fazioni. In realtà è già iniziata una nuova spartizione, perché quella precedente non ha retto.
La nuova spartizione. Israele subito
Israele vuole la sua “fascia di sicurezza” e ha cominciato a prendersi a sud il versante siriano del Golan – non accadeva dal 1973 – e a bombardare ogni bersaglio “utile”: prima erano pasdaran iraniani e Hezbollah, adesso caserme, basi aeree e depositi di armi, affermando che non devono cadere in mano a gruppi «ostili». Tra gli ostili non ha nominato Hts, il movimento salafita di Al Julani sponsorizzato dalla Turchia, ma è chiaro cosa pensa lo stato ebraico: la Siria, come l’Iraq, come la Libia – e un giorno forse l’Iran – non deve avere un apparato bellico che possa minimamente minacciarlo.
Israele sta massimizzando la guerra lanciata dopo il 7 ottobre: ha steso al tappeto la mezzaluna sciita, gli Hezbollah vengono martellati ogni giorno nel Sud del Libano, ha sbriciolato con l’attacco del 26 ottobre le difese aeree iraniane. Assad è caduto anche per questo e gli effetti si sentiranno a breve in Libano.
Il Libano
La caduta di Assad ha suscitato reazioni forti in un Paese con una lunga storia di interazioni complesse con il vicino siriano. Politici e leader religiosi libanesi hanno commentato l’evento con dichiarazioni che riflettono non solo i sentimenti legati alla fine del regime siriano ma anche le implicazioni che potrà avere sul futuro. Il Libano con una fragile tregua non è uscito ancora dalla guerra e come in passato può entrare nella centrifuga dei conflitti interni.
La Turchia
La spartizione della Siria coinvolge in pieno la Turchia sponsor dei ribelli jihadisti e non da oggi. Erdogan, come Israele, vuole ampliare la sua “fascia di sicurezza” di almeno 40 km fino alla periferia di Aleppo e puntare verso i curdi che secondo i suoi piani non devono avere uno stato e neppure un’autonomia nel Rojava. Intensi scontri armati sono in corso nel nord della Siria al confine con la Turchia tra le fazioni filo-turche e i rivali curdi.
Curdi e Stati Uniti
Questi erano anche alleati degli Usa nella lotta al Califfato ma Trump – che già in passato li aveva lasciati alla mercé dei turchi – dice di non volere essere coinvolto. Ma gli Usa, che hanno un contingente in Siria, sono sempre attori di primo piano in Medio Oriente e la Turchia è un Paese Nato mentre Israele è il maggiore alleato degli Usa. Solo uno sprovveduto può pensare di stare in Medio Oriente affacciato a un balcone a guardare gli eventi.
Cosa controlla davvero Al Julani
Cosa controlla oggi Al Julani che ha nominato il nuovo premier Mohammed al Bashir promettendo che le donne non dovranno portare il velo e l’amnistia per i soldati? Una parte importante della Siria, ma lo attendono milizie alauite, druse e quelle dell’Isis, oltre ai curdi. E soprattutto dovrà pagare la cambiale con Erdogan.
La Siria ha di fronte sfide proibitive, dal rapporto con le potenze straniere al rientro dei profughi in un Paese dove l’80% vive sotto la soglia di povertà. Il rischio è che i nuovi governanti saranno a capo di una mini-Siria sempre sotto l’incubo di rivalità e spartizioni.
Chi festeggia, chi ha paura, e chi ruba territorio
Damasco festeggia, ma caos e saccheggi dilagano nelle strade. Tanti celebrano la fine dell’era degli Assad. Tanti altri invece temono un futuro con al potere i jihadisti di Al Julani. La cosiddetta nuova Siria si reggerà sull’equilibrio di potere tra varie fazioni jihadiste e islamiste guidate da Hay’at Tahrir al Sham? Si chiede Michele Giorgio. «Un fallimento farebbe della Siria una seconda Libia e aprirebbe la strada all’esodo di decine di migliaia di persone appartenenti alle minoranze islamiche e alla comunità cristiana».
Mentre Joe Biden, Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron e altri leader occidentali sono pronti a stringere la mano di Abu Mohammad al Julani sebbene sia incluso nella lista del Dipartimento di stato dei terroristi internazionali e sulla sua testa ci sia una taglia di 10 milioni di dollari, i siriani che credono una società aperta e non sono religiosi invece non dimenticano chi è il capo di Hts. E non si fidano delle sue parole di moderazione e tolleranza ad uso e consumo dei governi stranieri.
Israele intanto occupa un altro pezzo di Golan e bombarda più di cento volte in 36 ore, denuncia Chiara Cruciati. Stracciato l’accordo di disimpegno siglato con la Siria nel marzo 1974 e che disegnava la cosiddetta ‘Linea Alpha’, a separare il territorio siriano da quello occupato da Israele. Immediatamente le truppe israeliane – già schierate alla frontiera – hanno «sfondato» e occupato la zona cuscinetto, fino a spingersi ieri verso la città siriana di Quneitra.
10/12/2024
da Remocontro