Il caso. La presidente di Md denuncia in procura. Nei giorni scorsi era finita al centro dei tanti attacchi della destra, che ora esprime solidarietà
Poi arrivarono le minacce di morte. Dopo una settimana di attacchi e insulti da governo e dintorni, contro la giudice Silvia Albano sono piovuti i messaggi intimidatori anonimi. Tanti, fino a una trentina al giorno. Sulla mail di Magistratura democratica, di cui è presidente, e su quella istituzionale, della sezione specializzata in immigrazione del tribunale di Roma. «Spero che qualcuno ti spari molto presto, sarà un giorno di gioia e festa» e «La toga rossa Albano fa politica e non fa trattenere i clandestini in Albania», alcune frasi trovate nella posta elettronica.
Per questo la giudice ha presentato un’articolata denuncia alla procura della capitale, che ha informato il prefetto. Anche il comitato su ordine pubblico e sicurezza valuterà il caso. Non si sa ancora se saranno disposte misure di protezione.
«È una vicenda che si aggiunge alla necessità di scorta ai pm del processo Open Arms e al rapporto della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza che ha denunciato i contenuti sfrenatamente ostili che in Italia colpiscono coloro che, a diverso titolo, trattano la materia dell’immigrazione», scrive Md, la corrente di sinistra delle toghe. Il fatto è serio, tanto più che riguarda una giudice civile, in genere meno esposti a questi episodi rispetto ai colleghi del penale.
Dall’opposizione Pd, Avs e +Europa puntano il dito contro «la campagna di odio alimentata dalla destra». Accusa respinta dal deputato FdI Fabio Rampelli: «Minacce inaccettabili, ma non dipendono dalla destra». I presidenti di Camera e Senato, Luciano Fontana e Ignazio La Russa, esprimono «solidarietà» e «condannano fermamente». «Ora basta attacchi personali», avvisa però il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia.
Nei giorni scorsi esponenti di governo e maggioranza, insieme alle testate d’area, hanno puntato ripetutamente il dito contro Albano. La ragione ufficiale è che in passato aveva criticato, dal punto di vista giuridico, i trattenimenti in Albania senza poi «astenersi dai procedimenti». Un’accusa tutta incentrata sulla persona, anche in virtù del ruolo ricoperto in una corrente di giudici sgradita a chi comanda, e per questo strumentale. I provvedimenti di non convalida, infatti, sono stati firmati da ben cinque magistrati del tribunale capitolino, tra cui la presidente Luciana Sangiovanni.
Non solo: dopo tre mesi il governo è riuscito a nominare i centri di Porto Empedocle e Modica, dove valgono le stesse procedure di Gjader, ma da lì i No alla detenzione dei richiedenti erano arrivati copiosi e molto prima.
Per non parlare della sentenza della Corte di giustizia Ue che alcuni ministri dicono sia stata travisata dalle toghe capitoline: già il 17 ottobre era stata recepita dal tribunale di Catania nell’ambito di una decisione sulla richiesta d’asilo avanzata da un cittadino del Bangladesh con la stessa logica dei giudici romani. Insomma il governo può dare tutte le colpe che vuole ad Albano, ma i problemi della detenzione di massa dei richiedenti asilo, in Sicilia o in Albania, non dipendono da una toga. Dipendono dalle norme sovraordinate.
«Mettere in discussione il ruolo dei giudici nazionali nell’applicare il diritto Ue e farne valere il primato rappresenta un grave rischio per la tenuta di tutto il sistema legale e di tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali su cui si fonda l’Unione», scrive l’associazione europea di magistrati Medel, che per parlare di quanto sta avvenendo in Italia cita la «regressione dello Stato di diritto» in Polonia.
25/10/2024
da Il Manifesto