Politica estera Israele-Palestina
Strage in coda per il pane a sud di Gaza. 104 palestinesi uccisi e 760 feriti mentre aspettavano in coda li aiuti alimentari a sud di Gaza City questa mattina. Oltre l’immaginabile. ‘Stallo nella trattativa’.
«Al momento c’è una sola cosa sicura per i pelestinesi tra Gaza e Cisgiordania: i palestinesi, bambini, donne e uomini, continuano a morire». Eric Salerno racconta questo anche per ‘La Voce di New York’, (The First Italian English Digital Daily in the US), parlando quindi ad pubblico americano.
Oltre ad offrirci una lettura di parte ebraica che conserva tutta la sua originalità democratica senza farsi corrompere da troppi falsi profeti rispetto agli eventi tragici della attualità.
Cronaca ANSA
104 morti per attacco israeliano su persone in fila e 760 feriti, a sud Gaza City. Stavano aspettando aiuti alimentari vicino ad al-Rashid Street, a sud di Gaza City questa mattina. «Durante l’ingresso dei camion degli aiuti nel nord di Gaza, residenti hanno circondato i camion, di cui i soldati israeliani assicuravano il transito». «Fonti militari riferiscono che i soldati hanno sparato contro chi aveva accerchiato i camion e che la folla si è accalcata in maniera da porre una minaccia per le truppe». Secondo fonti palestinesi il drammatico episodio porta al fallimento dei colloqui per la tregua e per la liberazione degli ostaggi, riporta Reuters sul suo sito.
Studiano, sperano, sono vicini, ma non c’è una svolta
Quattro parole che in italiano hanno comune la s iniziale e che descrivono lo stato – altra ‘s’ – dei negoziati tra Hamas e Israele con la mediazione del Qatar. Gli attori esterni si dicono ottimisti, invocano pazienza; il presidente americano, alla ricerca di consensi e voti, si fa fotografare rilassato, con un gelato in mano, mentre indica lunedì prossimo, ossia il 4 marzo, come data in cui ci sarà quasi sicuramente una breve pausa nell’assalto di Tel Aviv a Gaza e inizierà uno scambio ostaggi – prigionieri.
Sola certezza, nella Striscia si continua a morire
Al momento, purtroppo, c’è una sola cosa sicura: i palestinesi di Gaza, bambini, donne, uomini, continuano a morire (quasi 30mila dal 7 ottobre); continuano a morire i loro fratelli nella Cisgiordania occupata; migliaia di israeliani manifestano ogni giorno solo per chiedere il rilascio dei loro famigliari prigionieri dei militanti islamisti nella striscia, non per fermare le armi; le notizie raccontano di morte e distruzione nel nord d’Israele e in Libano dove ogni giorno che passa aumenta il rischio di un allargamento del conflitto.
E il premier Netanyahu si è detto ‘sorpreso’ quando Biden ha detto di sperare, di credere possibile, un cessate-il-fuoco entro l’inizio della prossima settimana. Ossia una settimana prima dell’inizio del mese del Ramadan, una delle feste più importanti del calendario islamico.
Israele e Palestina, realtà complessa
Gli interessi dei mediatori non necessariamente corrispondono a quelli dei due giocatori principali. Israele è un governo eletto guidato da Netanyahu e la sua coalizione è da sempre contraria alla creazione di uno stato palestinese accanto a Israele; Hamas fu eletto solo nella striscia di Gaza ma oggi, rappresenta il legittimo desiderio dell’intero popolo palestinese – ossia anche quella parte che vive a Gerusalemme Est e in Cisgiordania – di avere uno stato.
L’Autorità Nazionale palestinese a Ramallah
Il governo palestinese siede a Ramallah, nella terra che va dalla città santa al fiume giordano, e ieri ha offerto le dimissioni al presidente Mahmoud Abbas perché venga formato un gabinetto tecnico capace di ricostruire Gaza e lavorare – un’idea di Biden – per far nascere uno stato palestinese indipendente accanto a Israele. Ma è proprio questo che non vuole Netanyahu, e che non vuole una maggioranza degli ebrei d’Israele.
Nessun negoziato e guerra ad oltranza
Molti dei ministri e anche il premier farebbero a meno di negoziare con Hamas. Mettono in secondo piano la salvezza degli ostaggi. Vorrebbero andare avanti con la caccia, (legittima e comprensibile, agli organizzatori della orribile strage di ottobre nel sud di Israele), ma vorrebbero anche cacciare tutti i palestinesi dalla striscia. E dopo, fosse possibile, dalla Cisgiordania per far posto alle colonie, gli insediamenti ebraici-israeliani che ormai controllano buona parte dei territori occupati.
Ramadan a spinta americana e Rafah
Sono soprattutto le pressioni della Casa Bianca e del mondo arabo a voler spingere Israele a fermare le armi durante il Ramadan. E soprattutto a non lanciare un attacco contro la città di Rafah, nel sud estremo di Gaza. La città e ormai una specie di enorme campo profughi creato per accogliere la popolazione che le forze armate israeliane hanno cacciato dal nord della striscia. In mezzo alle tendopoli e nella vasta rete di tunnel sotto di loro, si nascondono i leader di Hamas e parte importante dei combattenti. Una tregua, insistono a Tel Aviv, può essere al massimo una sosta, non lunga, della guerra. I profughi palestinesi dal nord verrebbero costretti a tornare ai loro villaggi e città d’origine dove, ammettono anche in Israele, le bombe hanno distrutto case e infrastrutture.
Tregua o no, la situazione resta esplosiva
Denunciando alcune parole provocatorie di esponenti dell’estrema destra israeliana, il ministro della difesa Gallant si è detto preoccupato. «C’è da parte di Iran, Hezbollah e Hamas un crescente interesse a trasformare il Ramadan nella seconda fase del 7 ottobre. Evitate parole e azioni sbagliate». Parole per mettere in guardia, per preparare nuove azioni militari contro i palestinesi a Gerusalemme e in Cisgiordania o per far capire alla Casa bianca che devono arrivare presto i miliardi di dollari e i massicci rifornimenti di armi – sofisticati e non – promessi dal Congresso?
29/02/2024
da Remocontro