Il Giudice per le indagini preliminari impone alla Procura di Roma di chiedere il rinvio a giudizio del sottosegretario alla Giustizia. Le opposizioni ne invocano le dimissioni. E «spiegazioni» da parte del ministro Nordio
Nessuna archiviazione, per il fascicolo riguardante il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro delle Vedove, ma anzi per l’esponente di Fd’I è stata predisposta l’«imputazione coatta». Dopo un approfondimento durato un mese e mezzo, il Giudice per le indagini preliminari di Roma ha rifiutato la richiesta depositata a maggio dal pm Paolo Ielo che avrebbe messo troppo velocemente la parola fine sull’inchiesta per violazione del segreto d’ufficio relativa alla cessione dei tabulati delle intercettazioni tra l’anarchico Alfredo Cospito e altri detenuti mafiosi, durante l’ora d’aria nel carcere di Sassari. Conversazioni sottoposte a «segreto amministrativo», come hanno riconosciuto gli stessi magistrati requirenti, che il sottosegretario passò invece nelle mani del suo coinquilino Giovanni Donzelli, vicepresidente del Copasir e fratello di partito, il quale le comunicò urbi et orbi in Aula alla Camera con lo scopo di attaccare alcuni parlamentari dem che si erano recati a visitare Cospito, giunto allora al 75° giorno di sciopero della fame contro il 41bis cui è sottoposto.
PER LA PROCURA PIÙ CHE DI REATO – cui mancherebbe l’«elemento soggettivo», cioè il profitto personale da parte di Delmastro – si trattò di «errore su legge extrapenale». Sulla quale è concessa, evidentemente, l’ignoranza, perfino da parte di un sottosegretario alla Giustizia. Una tesi che non ha convito affatto il Gip, che invece è convinto della consapevolezza dell’esponente di Fd’I riguardo la segretezza di quegli atti, e ha perciò disposto che la procura chieda il rinvio a giudizio del sottosegretario al Giudice per le udienze preliminari. In quell’udienza, dove l’esponente di governo comparirà come imputato, Delmastro si è detto «fiducioso» di riuscire a convincere il Gup «che alcun segreto sia stato violato, sia sotto il profilo oggettivo che sotto il profilo soggettivo», come aveva sostenuto più volte anche il ministro Nordio.
IN OGNI CASO, se si dovesse arrivare al rinvio a giudizio, toccherà poi al giudice del dibattimento – qualora ritenesse che l’ipotetico reato sia da collocare nell’ambito dell’attività parlamentare dell’onorevole Delmastro – presentare la richiesta alla Giunta per le autorizzazioni della Camera. Lì, i rapporti di forza politici sono tutti a favore del centrodestra (11 membri su 21) ma, assicura il dem Marco Lacarra, segretario di Giunta, l’eventuale disamina (per stabilire se le azioni da giudicare in processo siano o no esorbitanti rispetto alle competenze e ai compiti del parlamentare) «sarebbe tutta in punta di diritto».
L’INCHIESTA DELLA PROCURA di Roma venne avviata in seguito all’esposto del deputato Avs, Angelo Bonelli, che ieri ha chiesto chiarimenti alla presidente Meloni e al ministro Nordio – da subito ingaggiati «in un’incredibile e inaccettabile difesa del sottosegretario di Stato» – riguardo i motivi che li hanno indotti a piegare «le ragioni del diritto» alla difesa del «proprio rappresentante politico di riferimento con dichiarazioni e lettere inqualificabili». Il co-portavoce nazionale di Europa Verde ha chiesto, come molti altri, anche che, «a prescindere dall’esito giudiziario, Delmastro rassegni immediatamente le proprie dimissioni».
Al momento però in via Arenula, assicurano vari fratelli e sorelle d’Italia, le dimissioni di Delmastro non sono un’opzione, neppure remota. E tra i banchi di Montecitorio riservati alla destra è tutto un invito alla calma e alla serenità perché «per il collega Delmastro l’epilogo della vicenda sarà senza dubbio positiva».
LA FACCENDA È TUTTA POLITICA, in effetti, come fanno notare Debora Serracchiani, responsabile Giustizia Pd, Silvio Lai, Andrea Orlando e Walter Verini, i parlamentari dem che nel gennaio scorso furono accusati pubblicamente da Donzelli di stare dalla parte dei detenuti mafiosi che, nelle intercettazioni, incitavano Cospito a non smettere lo sciopero della fame contro il 41bis. «Mentre attendiamo ormai da mesi le scuse» per «un affare che si configura come un gravissimo e illecito utilizzo delle prerogative istituzionali per colpire un avversario politico, un grave precedente», scrivono i dem in una nota, «ne traggano le dovute conseguenze, tutte politiche prima ancora che giudiziarie, sia il ministro Nordio che la presidente del consiglio Meloni, e magari lo stesso sottosegretario Delmastro». Richiesta che, c’è da scommettersi, cadrà nel nulla.
07/07/2023
Abbiamo ripreso l'articolo
da Il Manifesto