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Su Gaza verso la rottura tra Turchia e Israele

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Politica Estera

19/09/2025

da Remocontro

Piero Orteca

Il delirio di onnipotenza di Netanyahu, che Trump non vuole arginare, sta provocando danni collaterali geopolitici incalcolabili. L’ultimo, le relazioni tra Israele e la Turchia. I rapporti tra le due potenze regionali del Vicino oriente, brutti negli ultimi anni, ora si sono fatti burrascosi.

Turchia-Israele

Diversi contenziosi tra i due Paesi, a cominciare da quello che li mette praticamente a contatto ‘fisico’ e che rischia di scatenare escalation dalle conseguenze imprevedibili: la Siria. Dunque, la tensione monta e qualsiasi episodio ritenuto ‘sospetto’ può diventare occasione per inasprire i toni dello scontro. La notizia di ieri è che Ankara sta monitorando la possibile acquisizione da parte di Cipro di un sistema di difesa aerea israeliano. Fonti governative turche hanno già fatto sapere di considerare la mossa «destabilizzante per il fragile equilibrio dell’isola». Che, lo ricordiamo, è stata divisa in due, con la parte sud, greca e parte Ue, e quella nord, sotto amministrazione proprio della Turchia.

Le armi israeliane a Cipro

Alti funzionari del Ministero della Difesa di Erdogan hanno rivelato che il sistema in via di acquisizione è il ‘Barak MX’, di fabbricazione israeliana. E che la sua consegna come cliente a Cipro (che fa parte dell’Unione Europea) «minaccia la pace e la stabilità sull’isola e potrebbe portare a conseguenze pericolose». L’avvertimento giunge a poche settimane di distanza da un altro ‘avviso’, che fa comprendere come l’area di contiguità geopolitica tra Israele e Turchia potrebbe presto trasformarsi in una polveriera. Si tratta delle manovre diplomatiche di Netanyahu per ‘agganciare’ il nuovo regime fondamentalista siriano di Ahmed al-Sharaa, cioè l’uomo che è riuscito a cacciare Assad.

Israele-Siria

Il disegno del Premier israeliano è noto: con la scusa di presentarsi come difensore dei Drusi, lui vuole controllare militarmente tutta la fascia di territorio che va dal Golan a Quneitra, fino alla periferia di Damasco. Per questo, alla fine di agosto, il Ministro degli Esteri siriano Asaad Hassan al-Shaibani ha incontrato a Parigi una delegazione israeliana guidata dal Ministro degli Affari Strategici Ron Dermer. «I colloqui – scrive la Syrian Arab News Agency, si sono concentrati sulla de-escalation, sulla non ingerenza negli affari siriani e su accordi volti a sostenere la stabilità regionale». Una formuletta, che copre un baratto in puro stile da kasbah mediorientale: io ti consento di controllare un ‘cuscinetto’ di Siria, faccio contento Trump che ti sostiene e passo all’incasso, a Washington, a prendermi tutti i dollari che mi servono per tirare avanti.

Al Monitor

«Dunque – scrive il think tank Al Monitor – lo stesso Sharaa ha confermato le notizie secondo cui il suo governo era in trattative avanzate con Israele per un accordo di sicurezza basato sulle linee di disimpegno israelo-siriane del 1974. Tuttavia, ha minimizzato le prospettive di un accordo di pace in questo momento. Ha anche incontrato a Damasco l’inviato speciale degli Stati Uniti per la Siria, Tom Barrack, secondo una dichiarazione dell’ufficio del presidente siriano. Barrack era appena tornato da Israele, dove aveva incontrato Netanyahu il giorno prima». Tutta fuffa o, per essere più eleganti, ‘cosmesi diplomatica’. In effetti, l’affare era già deciso, perché Al-Sharaa avrà i suoi dollari e ‘Bibi’ potrà continuare a coltivare le sue foie messianico-napoleoniche di costruire il ‘Grande Israele’.

Siria-Stati Uniti

Ieri a Washington, guarda caso, si è recato in visita (dopo 25 anni) un Ministro degli Esteri siriano: Ashad al-Shibani. Al centro dei colloqui (oggi vedrà Rubio) ci sono l’allentamento delle sanzioni e, a braccetto, la normalizzazione dei rapporti con Israele. Attenzione, perché il senatore Lindsey Graham, una specie di ventriloquo di Trump, ha fatto capire che le sanzioni saranno abbonate più facilmente proprio se si andrà d’accordo con Israele. Insomma, una mano lava l’altra. In discussione ci sarà l’abolizione (o il congelamento) del Caesar Syria Civilian Protection Act del 2019. Una legge che ha imposto sanzioni radicali al governo dell’ex Presidente siriano Assad e a individui ed entità che intrattengono rapporti commerciali con esso.

Turchia-Stati Uniti

Inutile dire che, per molti motivi, tutta questa operazione è andata di traverso ai turchi, molto sensibili a ciò che avviene sul teatro siriano, dove hanno cercato di confinare parte del loro problema curdo. «A questo proposito – rivela Al Monitor – un’importante fonte della sicurezza israeliana ha dichiarato che il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan non avrebbe mai ceduto l’influenza del suo Paese in Siria. La fonte ha aggiunto che Israele considera il Ministro degli Esteri di Erdogan, Hakan Fidan, colui che di fatto ‘gestisce’ Sharaa. Quindi, la triangolazione tra Tel Aviv, Damasco e Washington può funzionare solo a condizione che la Turchia abbia il suo tornaconto e non metta i bastoni tra le ruote.

Ankara e i suoi servizi segreti

Per ora, però, Ankara si premunisce: ieri ha spedito il capo dei suoi servizi segreti, Ibrahim Kalin, a Damasco. Secondo l’agenzia di stampa Anadolu, Ankara vuole avere subito chiarimenti sui negoziati tra Siria e Israele e, in particolare, su un presunto corridoio aereo, che consentirebbe ai jet di Netanyahu il diritto di sorvolo per colpire l’Iran. Il tutto sponsorizzato dagli Stati Uniti. Come si vede, carne al fuoco ce n’è tanta e non solo di tipo ideologico o religioso, ma anche strategico e finanziario. Ecco perché, tutto sommato, per gli israeliani l’islamismo in doppiopetto di Erdogan è preferibile all’ ottuso fondamentalismo sciita dei ‘duri e puri’ di Teheran.

  • Se non altro, col ‘nuovo Sultano’ si può parlare comunque di affari, perché, in fondo, il pedigree è quello del venditore levantino di tappeti. Certo, purché un presunto estremista come Erdogan non ne incontri uno più vero di lui, a 24 carati. Come Netanyahu.
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