08/11/2025
da Remocontro
Si aggrava la crisi umanitaria nella città di El Fasher, nel Darfur, assediata dai paramilitari in guerra con l’esercito dall’aprile del 2023. Un conflitto sanguinoso che ha già prodotto 14 milioni di sfollati oltre le centomila vittime per guerra, fame ed epidemie. Senza soluzioni diplomatiche credibili all’orizzonte

‘Rischio annientamento popolazione’
«L’assedio attorno alla città di El Fasher, ultima roccaforte dell’esercito sudanese nel Darfur, rischia di portare all’annientamento della sua popolazione», la denuncia appello di ‘Vatican News’. Medici Senza Frontiere: «Denunciamo le orrende atrocità e le uccisioni di massa, sia indiscriminate sia mirate a determinati gruppi etnici, che hanno raggiunto l’apice questa settimana all’interno e nei dintorni di El Fasher». Anche l’Onu ha lanciato l’allarme: «La maggior parte degli alimenti di base, come miglio e sorgo, non sono più disponibili e negli ultimi mesi i sopravvissuti fanno affidamento sull’ambaz, il residuo di arachidi e sesamo dopo l’estrazione dell’olio. Un alimento che normalmente veniva usato come cibo per gli animali». Non mangi e non bevi. Le milizie Rsf, hanno distrutto la maggior parte delle fonti d’acqua, dei mercati e degli ospedali, provocando una catastrofe per gli oltre 300.000 civili intrappolati nella città. Mentre è in corso una epidemia di colera.
Massacri e tragedia senza riflettori
Il conflitto che sta spaccando in due il Sudan tra migliaia e migliaia di morti e atrocità orrende. Da una parte l’esercito regolare che dalla capitale, spostata per il periodo di guerra a Port Sudan, sulle coste del Mar Rosso controlla gran parte del nord, dell’est e del centro del Paese dopo la riconquista di Khartoum; dall’altra i Ribelli delle Forze di Supporto Rapido (Rsf) che controllano ampie parti dell’ovest, quasi tutti il Darfur, dove sono in corso sanguinosi combattimenti. Regioni ricche di minerali e petrolio, risorse che permettono alle Rsf di alimentare una guerra di cui si fatica a intravedere una soluzione diplomatica.
Sfollati nel deserto libico
I paramilitari stanno inoltre occupando porzioni di territorio anche a nord-ovest, nell’area tra Sudan, Libia ed Egitto. Una regione desertica dove si consumano nuovi drammi alimentati da questa terribile guerra: le autorità del Dipartimento libico di Kufra hanno comunicato ieri il ritrovamento di circa 50 rifugiati sudanesi, tra cui donne e bambini, abbandonati nella zona di Syouf Bou Fatima. Simili episodi si verificano frequentemente nel deserto libico, dove gruppi di migranti restano intrappolati senza acqua né cibo, spesso a causa dell’abbandono da parte dei trafficanti di esseri umani.
I numeri parziali dell’orrore
La guerra in Sudan, secondo l’Onu, ha causato oltre 20.000 morti e 14 milioni di sfollati. Alcune ricerche, condotte da università statunitensi, valutano che il numero dei decessi effettivi si aggiri addirittura a 130.000. Le Rsf intanto hanno formato un ‘governo parallelo’ nella aree sotto il loro controllo. In una conferenza stampa a Nyala, capoluogo del Darfur meridionale, l’annunciato ‘Consiglio presidenziale’. L’Unione africana ha chiarito che non riconoscerà il ‘così detto governo parallelo’. La divisione de facto in cui sta scivolando il Sudan a causa dello scontro di potere che nel 2023 ha interrotto il processo/illusione di transizione democratica apertosi nel 2019 con la fine della trentennale dittatura di Omar al Bashir.
Tregua, speranza o illusione?
I Ribelli delle Forze di Supporto Rapido (Rsf) hanno annunciato di aver accettato i termini di un cessate il fuoco proposto da Stati Uniti, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Poche ore prima della notizia del cessate il fuoco, alcune immagini satellitari mostravano uomini delle Rsf nascondere corpi in quelle che sembrano essere fosse comuni. Come sottolinea il quotidiano The Guardian «la svolta potrebbe essere un tentativo da parte dei ribelli di distogliere l’attenzione dalle accuse nei loro confronti». In particolare, la caduta di El-Fasher lo scorso 26 ottobre, dopo un assedio durato quasi un anno e mezzo da parte delle Rsf, avrebbe dato il via a uccisioni sistematiche di migliaia di civili e massacri a sfondo etnico
La nona pace americana di Trump?
Il Dipartimento di stato americano stava lavorando con delegazioni delle due parti, e prevade una tregua umanitaria di tre mesi, seguita da un cessate il fuoco e dall’avvio di un processo politico per una transizione, i cui contorni tuttavia paiono ancora tutti da delineare. L’urgenza primaria è quella di permettere l’ingresso di aiuti umanitari alla popolazione stremata da quasi 31 mesi di guerra. Lunedì scorso, i procuratori della Corte penale internazionale hanno dichiarato di aver raccolto prove di presunte uccisioni di massa, stupri e altri crimini a El-Fasher. Testimoni hanno riferito che i combattenti di Rsf sono andati casa per casa, uccidendo civili e commettendo violenze sessuali.
Nazioni Unite e studio ISPI
Secondo le Nazioni Unite, più di 70 mila persone sono fuggite dalla città e dalle zone circostanti da quando i ribelli hanno preso il potere; testimoni e gruppi per i diritti umani hanno segnalato casi di esecuzioni sommarie e la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha denunciato la “tragica uccisione di oltre 460 pazienti e personale medico” in un ex ospedale pediatrico. Ma è l’intero Sudan al centro della crisi umanitaria e di sfollamento più grave al mondo. Circa 30 milioni di persone – oltre metà della popolazione – necessitano di assistenza umanitaria. Le capacità di accoglienza di paesi vicini, messe a dura prova e ulteriormente indebolite dalla sospensione degli aiuti statunitensi, faticano a soddisfare i crescenti bisogni di civili abbandonati a sé stessi in campi profughi sorti spesso spontaneamente a ridosso delle frontiere.
Chi decide il destino del Sudan?
Da tempo, ormai, quella che si combatte in Sudan è diventata una guerra per procura, con attori regionali in competizione per le risorse di un Paese ricco d’oro. Negli ultimi 15 anni, come fa notare Foreign Affairs «l’influenza degli Stati Uniti nel Corno d’Africa è diminuita. Allo stesso tempo, le potenze regionali emergenti hanno individuato opportunità commerciali e diplomatiche e procurato alla regione gli investimenti necessari e alcune di queste potenze si sono dimostrate agili mediatori. Tuttavia, il sostegno alle parti in guerra da parte dei Paesi del Golfo, ciascuno con i propri interessi inconciliabili, ha reso i conflitti molto più difficili da risolvere. Questo intreccio di influenze esterne fa sì che nessuna potenza, da sola, abbia oggi la forza di costringere i belligeranti a negoziare.

