Esibizione di forza nello Stretto di Taiwan e Cina osservata con preoccupazione dagli americani. Un terzo della flotta da guerra di Pechino ha circondato l’isola, simulando un blocco navale che, se non si fosse trattato di un’esercitazione ‘a tempo’, avrebbe impedito l’arrivo di tutti quegli aiuti (armi, munizioni, carburante, soldati e rifornimenti) promessi dagli alleati per resistere a qualsiasi riunificazione forzata.
Non la solita parata militare
Questa volta, per come la racconta un quotidiano di area solitamente informatissimo, il South China Morning Post di Hong Kong, quella cinese non è stata la solita parata militare per “mostrare la bandiera” e tenere il punto. Sembra proprio che si sia trattato di una “simulazione sul campo”, di tutte quelle mosse logistiche indispensabili per ottimizzare l’invasione di Taiwan. Attenzione: non solo per l’approccio che sarebbe utilizzato in un eventuale attacco, ma anche per la “finestra di opportunità” scelta: cioè la concomitanza con altre crisi mondiali, che distraggono gli Usa e, soprattutto, ne rallentano i tempi di reazione.
Dalla Difesa dell’isola
Secondo il Ministero della Difesa di Taipei, tanto per dare un’idea dello sforzo delle forze armate di Pechino, nella giornata clou dell’esercitazione, cioè ieri, sono state monitorate intorno all’isola ben 34 navi da guerra cinesi, compresa la portaerei d’attacco Liaoning. I caccia da combattimento e i bombardieri hanno invece effettuato 125 sortite, senza violare lo spazio aereo, ma entrando però nella cosiddetta “zona di identificazione”. Secondo gli analisti del China Post, questa esercitazione deve fare riflettere: gli obiettivi simulati sono chiaramente connessi a un’invasione dell’isola. Cioè, la dislocazione delle navi e le rotte di pattugliamento assegnate agli aerei dimostrano la volontà di arrivare a un blocco navale di Taiwan.
‘Operazione Spade 24’
L’operazione (denominata “Spade 24”) ha coinvolto due basi continentali presenti sul Mar cinese meridionale: Xiamen e Fuzhou. Il Comando supremo dell’Esercito popolare, ha poi elaborato la sua strategia che prevedeva il blocco sistematico dei porti taiwanesi di Keelung (che dà accesso alla capitale Taipei), Hualien, Taitung, Kaohsiung e Taichung. Uno stratega della National Defense University di Pechino, il professor Zhang Chi, ha spiegato al China Post che “le esercitazioni hanno lo scopo di dimostrare che la Cina può bloccare le importazioni di energia da Taiwan e avere un impatto significativo sull’economia e sulla società dell’isola. Perché Taiwan dipende fortemente dall’energia importata, in particolare dal gas naturale liquefatto. I porti presi di mira nell’operazione sono i principali canali di questa importazione”. Ma il problema non è solo questo.
Armi e rifornimenti americani
L’isola dipende soprattutto dalle armi e dai rifornimenti americani e le cose non è detto che vadano sempre lisce. È di questi giorni una furibonda polemica politica, che coinvolge il governo “indipendentista” e pro-Usa. Pare (anzi è confermato) che una società americana abbia venduto le sue armi a prezzi… stratosferici (d’altronde ci sono missili). L’azienda è già stata sanzionata negli Stati Uniti (si parla di 1,24 miliardi di dollari, secondo il Wall Street Journal). Solo che a Taiwan il governo filo-americano ha insabbiato tutto e messo alle strette ha dovuto ammettere che sì, forse c’era stato l’imbroglio. Nel senso che (dicono loro) Taiwan non c’entra, è solo colpa degli americani. “E se ci hanno venduto armi a prezzo gonfiato chiederemo un risarcimento alla Casa Bianca”.
‘Pregiudizio contro gli Stati Uniti’
Ma quelli che protestano e si lamentano, aggiungono i parlamentari del partito al governo, lo fanno solo per un pregiudizio contro l’amicizia di Washington per Taiwan. È il cosiddetto “pregiudizio contro gli Stati Uniti”. Il lato paradossale della vicenda è che, in punta di diritto Internazionale che, gli Usa (a chiacchiere) sono d’accordo con Pechino. Cioè, riconoscono una sola Cina (quella comunista), ma difendono l’autonomia di Taiwan “per empatia”. Che vuol dire? Beh, la solita storia delle “regole” a geometria variabile. Le applico quando mi conviene e mi giro dall’altro lato se non ho interessi. In questo caso, ballano trilioni di microchip (di fascia alta) e paraphernalia microelettronici assortiti. Questo tipo di geopolitica, però, non funziona più in un mondo così complesso.
Boccone troppo grosso anche per l’America
Ciò che succede oggi nel Mar cinese meridionale, la Casa Bianca avrebbe dovuto aspettarselo: non puoi gestire il mondo da sola. È un boccone troppo grosso, anche per una superpotenza ricca e ipermilitarizzata come gli Stati Uniti. Per cui, se contribuisci a tenere aperta una guerra di logoramento nel cuore dell’Europa, se fingi di mediare la sanguinosa crisi mediorientale e invece ne diventi parte in causa, se imponi il tuo modello politico, sociale ed economico, al resto del pianeta, allora aspettati che, prima o dopo, scoppi veramente una guerra devastante nel Mar cinese meridionale. Con l’invasione di Taiwan.
16/10/2024
da Remocontro