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Tel Aviv bombarda Damasco e ricalibra la mappa siriana

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L'avvertimento. Tregua a Sweida ma Netanyahu accelera. E dicendo di proteggere i drusi manda l’esercito a creare una zona cuscinetto nel sud.

Un fragile cessate il fuoco è stato raggiunto ieri sera tra le forze armate agli ordini di Ahmad Sharaa e la comunità drusa a Sweida e in altre località della Siria meridionale, teatro di combattimenti, scontri a fuoco e atrocità indicibili in cui sono rimaste uccise 200, forse 300 persone. L’agenzia governativa Sana ha spiegato che «i diritti di tutti i cittadini saranno garantiti sulla base di giustizia e uguaglianza». Sarà istituita una commissione d’inchiesta per indagare su abusi e violenze e per garantire i risarcimenti. Ma le parole servono a poco quando la paura opprime i civili e Israele attua i suoi disegni per il sud della Siria, affermando allo stesso tempo di agire in difesa dei drusi minacciati dalle autorità sunnite e dalle tribù beduine che vivono in quella zona.

MENTRE I SIRIANI cercavano ieri una via d’uscita allo spargimento di sangue settario, l’aviazione israeliana ha bombardato ripetutamente Damasco, prendendo di mira il ministero della Difesa, il quartier generale del capo di Stato maggiore, una postazione davanti al palazzo presidenziale e altri siti nella capitale, causando almeno tre morti e 34 feriti. Per la capitale siriana sono state ore di panico. Dozzine di soldati siriani, inoltre, sono stati uccisi dai raid aerei a Sweida e Deraa. Il governo Netanyahu inoltre ha dato ordine alle forze armate di prepararsi «a giorni di combattimento» in Siria. Oltre alla 210ª Divisione Bashan, già schierata lungo le linee di armistizio e nella zona cuscinetto controllata da Israele, la 98ª Divisione è stata posta in stato di allerta, così come una divisione di riserva. Una brigata di paracadutisti, ieri sera, stava per trasferirsi sul Golan e due basi di addestramento sono pronte. Israele ha più volte avvertito Damasco, fin dalla caduta di Bashar Assad, che vuole il sud della Siria demilitarizzato. Il governo di Sharaa, secondo i media israeliani, ha comunicato a Tel Aviv la volontà di una de-escalation. Non servirà. Israele andrà avanti, perché il fine non è la protezione dei «fratelli drusi». Piuttosto, è il consolidamento di obiettivi politici e militari e la creazione di una ampia zona cuscinetto nel sud della Siria. «Ci sono due metodi: uno è minacciare tutto il giorno, l’altro è agire senza parlare. Noi abbiamo fatto la nostra scelta», ha dichiarato un funzionario governativo israeliano al giornale Maariv.

La costituzione di uno staterello druso nel sud della Siria – la frammentazione del paese arabo in mini-Stati è uno storico obiettivo di Israele – è diventata una possibilità più concreta rispetto a qualche mese fa.

Non pochi drusi siriani, di fronte ai massacri di innocenti compiuti dai governativi e dai beduini, ora fanno sentire la loro voce a sostegno della creazione di un’entità sotto l’ala protettrice di Israele. Inoltre, c’è il canto della sirena che giunge dall’altra parte del confine. La maggior parte delle migliaia di drusi israeliani che ieri hanno superato le barriere per andare a Sweida proviene dalla Galilea. Sono ben integrati e prestano servizio nell’esercito israeliano. Indicativa, tra di loro, la presenza dei deputati drusi dell’ultradestra, Afef Abed (Likud) e Hamad Amar (Israel Beitenu), favorevoli alla «sovranità israeliana» su tutto il sud della Siria.

A TUTTI I DRUSI, non solo a quelli israeliani, si è rivolto con un videomessaggio Benyamin Netanyahu. Ha spiegato quanto sia umano e rassicurante lo Stato di Israele, pronto a salvare i drusi. Ha sorvolato naturalmente sui bombardamenti senza sosta su Gaza che uccidono decine di palestinesi ogni giorno. «La retorica israeliana sull’assistenza ai drusi è strumentale», afferma Sami Nader, direttore del Levant Institute for Strategic Affairs. «Israele – ha aggiunto – intende consolidare una zona cuscinetto nel sud della Siria che funzioni come barriera difensiva e usa la causa drusa per legittimare l’intervento». Concorda Amos Harel, analista di Haaretz: «C’è anche una componente ideologica, come la volontà di estendere la propria influenza oltre il Golan».

AHMAD SHARAA ieri non è uscito allo scoperto: ha parlato solo attraverso comunicati del suo ufficio, promettendo la protezione di tutti i cittadini e il ritorno dell’ordine pubblico. Ma cresce lo scetticismo che lo circonda dallo scorso dicembre. «Non ha mai fatto chiarezza sul massacro degli alawiti (circa 1500 morti) avvenuto a marzo, e ciò pesa molto sulla credibilità delle sue affermazioni e promesse», dice l’analista Lina Khatib. La diffidenza tra drusi, cristiani e alawiti verso il governo islamista di Sharaa, dominato da sunniti radicali, ha però favorito l’emergere di zone di resistenza locale e di autonomismo armato. Anche per questo, ieri sera, lo sceicco druso Yusef Jarbou faticava a farsi ascoltare dalla sua gente, quando in un videomessaggio ha affermato la solidità della nuova tregua. Pesa anche il giudizio del leader spirituale dei drusi in Siria, Hikmat al-Hijri, che sulla sua pagina Facebook ha scritto che non esiste alcun «accordo, negoziato o mandato». Tanti siriani ieri piangevano i morti. Secondo quanto reso noto dall’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), è salito a oltre 300 il bilancio delle vittime. Tra di esse ci sono 69 combattenti e 40 civili drusi (tra cui bambini e donne), inclusi 27 uccisi in esecuzioni sommarie.

MORTI ANCHE 165 soldati, 18 combattenti beduini e 10 membri della sicurezza. L’ospedale di Sweida parla di 100 morti, tra civili e militari. Un giornalista ha riferito di scene di devastazione: case saccheggiate, auto rubate, incendi dolosi e corpi abbandonati. Scomparso il noto cartoonist Fadi Al Halabi.

17/07/2025

da Il Manifesto

Michele Giorgio

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