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Tornano le armi Usa alla ‘cattiva’ Arabia Saudita. Che accade a Riad?

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Il nemico del mio nemico torna mio amico. Ordine esecutivo del presidente Biden che revoca il divieto di vendita di armi offensive all’Arabia Saudita.
Politica estera Usa tutta armi. Gli Stati Uniti hanno approvato altri 20 miliardi di aiuti ad Israele per altre armi, ovviamente Usa.
Teheran: ‘L’Iran non colpirà solo se i colloqui porteranno alla tregua a Gaza’. Ma Netanyahu lo permetterà mai? E cosa accade nel regno petrolifero dei Saud dove qualche segnale di simpatia popolare per la causa palestinese potrebbe far riflettere?

I sauditi sino a ieri defilati e silenti

Il regno petrolifero silente ma inquieto. A Riad sanno che un’eventuale rappresaglia iraniana, contro lo Stato ebraico, potrebbe coinvolgerli indirettamente in un vero e proprio gioco al massacro. Certo, la promessa di Teheran sul cessate il fuoco a Gaza, ma Netanyahu cos’altro si inventerà per far saltare tutto? Ed ecco che le notizie importanti in arrivo da Washington sono militari, oltre balla armi per tutti, e non promettono nulla di buono. L’Intelligence Usa ha rilevato significativi spostamenti di unità militari di Teheran (missilistiche?), e ha avvisato subito Israele e gli alleati. Le forze armate di Tel Aviv, in questo momento, sono state allertate al massimo grado di emergenza, quello che precede l’utilizzo in battaglia.

Il Regno senza popolo. Salvo errori

Il timore, a Riad, è che l’Asse di resistenza, il blocco delle milizie islamiche sostenute dagli ayatollah (ma anche un sostegno popolare alla causa palestinese), si muova e coinvolga massicciamente anche gli Houthi yeneniti. In quel caso, potrebbe essere a rischio la navigazione nel Mar Rosso e la rete di oleodotti che attraversa tutta la Penisola arabica. Non solo. Bisognerà vedere se il governo di Riad offrirà assistenza logistica di qualche tipo agli americani, che in zona si accingono a schierare due squadre navali, con le portaerei Roosevelt e Lincoln (in arrivo dall’Indo-Pacifico).

L’Arabia americana

Senza dimenticare che l’US Air Force controlla già la grande base aerea saudita Prince Sultan, da dove potrebbero decollare i suoi aerei d’attacco. Rendendo l’Arabia “cobelligerante” e possibile bersaglio degli iraniani. Gli Usa hanno già solide basi anche in Bahrein, Oman e negli Emirati, ma tutto può succedere. Al limite gli ayatollah, messi alle strette, potrebbero anche cercare di “sigillare” (minandolo) lo Stretto di Hormuz. E già questo, per la regione e per il resto del pianeta che importa petrolio, sarebbe una catastrofe. La crisi, in un certo senso, arriva troppo presto per i sauditi, che dopo tre anni tempestosi con la diplomazia Usa, guastati dalla luna storta di Biden, stavano recuperando terreno. O, almeno, era stata forse la Casa Bianca a mettere sottosopra la sua “foreign policy” nel Golfo, riavvicinandosi agli sceicchi dopo un veloce calcolo geopolitico.

La politica ‘alta’ della convenienza

In sostanza, al Dipartimento di Stato hanno capito che l’Arabia Saudita è, per vocazione e per necessità, la “grande mediatrice” del Medio Oriente. Un Paese cruciale, indispensabile come “sponda”, nel complesso gioco diplomatico che regge le fragili (e turbolente) relazioni internazionali col Golfo Persico. Di più. Secondo molti analisti, per il peso economico e culturale che ha nell’universo islamico, il Regno saudita può diventare una delle chiavi di volta, per stabilizzare la regione. Il problema, però, è che negli ultimi anni, i rapporti con gli Stati Uniti (che prima puntavano forte su Riad) si sono progressivamente sfilacciati. Spingendo (quasi) i sauditi a cercare sostegni e fortune tra le braccia, sempre pronte, di russi e cinesi.

Multipolarismo arabo

Su Gaza e la Palestina, finora, gli sceicchi si sono limitati a fare il minimo indispensabile. Agendo di malavoglia, perché l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ha fatto saltare (per ora) un patto di “reciproco riconoscimento” con Israele. Una gigantesca operazione diplomatica, messa in piedi da Trump, ai tempi degli Accordi di Abramo, che coinvolgeva altri regimi arabi “moderati”. Attenzione: si trattava di una politica essenzialmente rivolta contro l’Iran, cioè la nazione che, come abbiamo visto, Stati, staterelli ed emirati della grande Penisola temono di più. Insomma, per capirci, l’Arabia sunnita, terra natale del Profeta, stava per sottoscrivere una forma (annacquata) d’intesa con Israele. Con la benedizione interessata della Casa Bianca.

Oltre l’Iran sciita gli errori Usa

Tutto questo per guardarsi le spalle dal suo nemico pubblico numero uno: l’Iran sciita degli ayatollah. Per la verità, i rapporti con Washington erano stati faticosamente riallacciati dopo oltre due anni di gelo. Appena arrivato alla Casa Bianca, Joe Biden aveva attaccato l’Arabia Saudita sulla questione dei diritti umani. Eaveva promesso di trasformarla in una “nazione- paria”, cioè di ridurla in un angolo. Risultato: gli arabi, che hanno buona memoria, gliel’hanno giurata. E così, grazie alla loro posizione dominante nell’Opec, si sono messi d’accordo con Putin per cercare di influenzare il prezzo del petrolio. Hanno aiutato i russi a fare contrabbando di greggio e, infine, si sono messi d’accordo anche coi cinesi su tutto, a cominciare dall’acciaio.

La Pax cinese tra sauditi e iraniani

Poi il colpo di teatro: Pechino ha addirittura mediato uno strabiliante accordo diplomatico, tra sauditi e iraniani, scavalcando gli americani. Dopo questo macello e di fronte a un’inflazione galoppante (per colpa soprattutto dell’energia) Biden ha fatto dietrofront. Prima si è visto sbattere il telefono in faccia da bin Salman, l’uomo forte del regime saudita, e poi si è recato addirittura in “pellegrinaggio” fino a Riad. Il viaggio riparatorio di Biden ha avuto l’effetto di fare ripartire le discussioni, intanto, su un trattato di difesa con l’America. Perché, siccome tutti i colloqui di Vienna sul nucleare di Teheran sono stati un buco nell’acqua, a Riad cominciano a temere che gli ‘spifferi’ che arrivano dall’Intelligence Usa siano veri: gli ayatollah avranno presto l’uranio arricchito sufficiente a costruirsi la Bomba.

Minaccia atomica e questione palestinese

Ora l’Arabia Saudita vuole un patto di difesa e sicurezza con gli Stati Uniti. Deve però pagare un biglietto: normalizzare i rapporti con Israele. Anche Tel Aviv deve, a sua volta, soddisfare una condizione, indispensabile per non fare perdere la faccia agli sceicchi di Riad. E cioè, risolvere il problema palestinese. Ma, dato che Netanyahu le cose le sta risolvendo a modo suo, niente accordo in vista. Così, come nel Gioco dell’oca, si torna alla casella di partenza: nessuna sicurezza garantita da Washington, ayatollah sul piede di guerra e sudori freddi in Arabia Saudita.

14/08/2024

da Remocontro

Piero Orteca

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