Nel 1997 a Ottawa, 122 Paesi decidevano la messa al bando delle mine antiuomo. Pochi giorni dopo, a Stoccolma, il premio Nobel per la pace a Jody Williams per suo impegno nell’abolizione di un‘arma che ha provocato centinaia di migliaia di vittime e di mutilati. Dall’Afghanistan alla ex Jugoslavia, dal Vietnam alla Cambogia, campi minati e migliaia di ordigni inesplosi che avrebbero fatto migliaia vittime anche oltre la guerra.
Nella più sporca attualità, le mine ritornano
Oggi, mentre si discute dell’immane impresa che comporterà la bonifica dell‘Ucraina (quando mai la guerra finirà), diversi Paesi europei si preparano a cancellare quello storico accordo, a riprendere la produzione di mine antiuomo e a rifornire questo mercato di morte. La regressione morale e politica è evidente, di pari passo con i propositi di alcuni Paesi di dotarsi della bomba atomica. E di pari passo con una tendenza che si va consolidando in diversi fronti di guerra. Droni e mine antiuomo provocano più vittime civili che militari. Gli attacchi russi sull’Ucraina prendono di mira le città, la vita quotidiana, le infrastrutture civili con il chiaro proposito di fiaccare la resistenza morale della popolazione. A Gaza, l‘esercito d‘Israele bombarda case e ospedali e impone fame e carestia con l‘obiettivo di espellere il maggior numero possibile di palestinesi. Di fatto, lo spettro di un’aggressione russa all’Europa e la lunga controversia sull‘atomica iraniana fanno da sfondo questa storica inversione di tendenza: aumento generale delle spese in armamenti, progetti nucleari e come si è detto nuova produzione di mine anti uomo.
‘Minato’ il diritto internazionale
Del resto, il Trattato di Ottawa non era stato sottoscritto da Usa, Russia e Cina, le tre potenze la cui politica oggi preoccupa il mondo intero: nazionalismo, protezionismo, espansionismo a spese dei vicini stanno infatti «minando» (è il caso di usare questo verbo) il diritto internazionale, le relazioni commerciali, gli ideali di una governance globale. Il tutto a spese dei più deboli, mentre le medie potenze e la stessa Europa non sembrano in grado di prendere le contromisure e fermare questa tragica deriva. Anche Israele e le due Coree non hanno firmato la Convenzione che, fra l‘altro, prevedeva alcuni impegni specifici, probabilmente disattesi domani.
Distruzione degli stock: gli Stati si sono impegnati a distruggere tutte le mine antiuomo entro quattro anni dall’entrata in vigore del Trattato. A oggi, 157 Stati hanno eliminato le loro scorte, 47 milioni di ordigni.
Bonifica delle aree minate: il Trattato impone la bonifica delle aree contaminate entro dieci anni. Inoltre il Trattato prevede l’assistenza per la cura, la riabilitazione e la reintegrazione socio-economica delle vittime. Infine si prevede uno scambio costante di informazioni, inclusi dettagli su stock, aree contaminate e sforzi di bonifica.
Tornano i giganteschi campi minati
Torneremo quindi a parlare di giganteschi campi minati, di costose e lunghissime operazioni di bonifica, di terribili mutilazioni, con la sola speranza che uomini e donne di buona volontà — come fu a suo tempo il fondatore di Emergency Gino Strada — riprendano la battaglia. Ricorderemo che anche la principessa Diana fu testimonial in Angola della campagna contro questi terribili ordigni di morte.
Ma proprio l’Ucraina ha deciso recentemente di uscire dalla Convenzione. Secondo il presidente Volodymyr Zelensky, il largo impiego di mine anti uomo da parte delle forze armate russe ha creato una situazione totalmente asimmetrica. Ed è di queste settimane la notizia che Finlandia, Polonia, Lituania, Estonia e Lettonia hanno annunciato il proprio ritiro dalla Convenzione sulla messa al bando delle mine antiuomo. Dobbiamo quindi immaginare campi minati a difesa del confine orientale dell’Europa. Come ha detto la ministra della Difesa lituana, Dovile Sakaliene: «Il ritiro dei Paesi del confine nordorientale della Nato dalla convenzione di Ottawa rappresenta una soluzione regionale senza precedenti. La nostra decisione invia un messaggio inequivocabile, che il confine della Nato è uno e indivisibile e lo difenderemo insieme con tutti i mezzi necessari».
Lituania e Finlandia produrranno in proprio
La Reuters ha anche riportato la notizia che Lituania e la Finlandia dovrebbero avviare una produzione nazionale di mine antiuomo l’anno prossimo per rifornire se stesse e l’Ucraina. Anche Polonia, Lettonia ed Estonia potrebbero avviare la produzione in tempi molto rapidi. «Spenderemo centinaia di milioni di euro per le mine anticarro, ma anche per le mine antiuomo. Sarà una cifra significativa», ha dichiarato alla Reuters il vice ministro della Difesa lituano Karolis Aleksa. La spesa sarebbe anche in linea con gli impegni assunti dai Ventisette nel corso dell‘ultimo vertice Nato. «La Finlandia deve avere una propria produzione (di mine antiuomo, ndr) per garantire la sicurezza delle forniture», ha dichiarato alla Reuters il presidente della commissione Difesa del Parlamento finlandese, Heikki Autto: «Sono un sistema d’arma altamente efficace e molto efficiente dal punto di vista dei costi». La Finlandia potrebbe anche fornire mine all’Ucraina. Non solo è giusto e doveroso sostenere l’Ucraina, ma è anche importante per la sicurezza della Finlandia, ha aggiunto Autto.
Ammazzano bene e costano poco
Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Finlandia – tutti membri dell’Alleanza atlantica (Nato) e vicini diretti della Russia o del suo alleato Bielorussia – hanno citato la minaccia militare russa come ragione principale per ritirarsi dalla Convenzione sul bando delle mine antiuomo. Di fronte a un contesto di sicurezza deteriorato in Europa, hanno indicato di non volersi privare di quello che considerano uno strumento di dissuasione militare. I Paesi baltici e la Polonia hanno dichiarato che si tratta di «un messaggio chiaro»: sono «pronti a utilizzare tutti i mezzi necessari» per la loro difesa.
Ad oggi, 165 Stati sui 193 riconosciuti dall’Onu hanno firmato il trattato. La Russia si serve di mine antiuomo nel quadro della sua invasione in Ucraina, che è diventata il Paese più minato al mondo, secondo l’Onu. L’esercito ucraino avrebbe anch’esso utilizzato questi ordigni, secondo l’organizzazione non governativa (ong) Human Rights Watch.
Stati baltici in stato di guerra
La decisione presa da Polonia e Stati baltici ha suscitato grande preoccupazione tra chi difende il diritto internazionale e le ong che hanno militato per anni per la creazione della Convenzione di Ottawa. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, si è detto «gravemente preoccupato» dalla decisione di questi Stati che rischia «d’indebolire la protezione dei civili e di compromettere due decenni di un quadro normativo che ha permesso di salvare innumerevoli vite».
Da parte sua, la presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr), Mirjana Spoljaric, ha parlato di un «cambiamento di rotta pericoloso», constatando che «il consenso mondiale che faceva delle mine antiuomo un simbolo di disumanità comincia a incrinarsi».
Rischio ‘effetto domino’
Questo trattato ha un forte valore simbolico, poiché è stato il primo a vietare un’intera classe di armi per ragioni umanitarie. Ora si teme un effetto domino. Gli esperti e le ong mettono in evidenza il pesante tributo pagato dalle popolazioni. Oltre l’80% delle vittime di mine antiuomo sono civili, di cui circa il 40% bambini, secondo il Cicr. Sepolte nel terreno, queste armi continuano a fare vittime decenni dopo la fine delle ostilità. Ancora oggi, innocenti vengono uccisi o mutilati da mine antiuomo in Cambogia, Bosnia-Erzegovina, o in Afghanistan. Questo perché le operazioni di sminamento sono tanto delicate quanto costose e richiedono molto tempo.
Prossime migliaia di morti e mutilati
- Come riporta Swissinfo, in seguito alla creazione della Convenzione di Ottawa, il numero annuale di vittime – decessi e feriti – delle mine antiuomo è fortemente diminuito, passando da 25 mila 1997 a poco più di tremila nel 2013. Nel 2023, era salito a 5.700, con numerose vittime registrate in Ucraina e in Myanmar. Parallelamente, scorte che rappresentano circa 55 milioni di mine sono state distrutte, mentre il numero di Paesi produttori è passato da diverse decine a soltanto pochi. Intervistato da Swissinfo, il professor Keith Krause, del Geneva Graduate Institute, rileva ora un’«erosione incontestabile dell’impegno a favore del disarmo umanitario e dell’architettura del disarmo mondiale», citando il ritiro degli Stati Uniti e della Russia dai trattati sulle forze nucleari a raggio intermedio e sul divieto completo degli esperimenti nucleari, rispettivamente nel 2019 e nel 2023.
12/07/2025
da Remocontro