Alla fine. Fuori anche 200 prigionieri palestinesi. Intanto bombe, ruspe, case date alle fiamme: è strage a Jenin. E Tel Aviv vuole restare in Libano
Quando Hamas ha comunicato i nomi delle quattro soldatesse che avrebbe liberato nello scambio di oggi, Netanyahu ha immediatamente convocato i vertici dell’esercito per discutere su quello che considera una violazione ai termini dell’accordo sottoscritto in Qatar. Tel Aviv si attendeva quattro nomi femminili, ma tra di loro doveva esserci almeno una civile: Arbel Yehud. Invece, il portavoce delle Brigate Al-Qassam, Abu Obeida, ha fatto sapere che sabato 25 gennaio avrebbe liberato le soldatesse Karina Arif, Danielle Giboa, Naama Levy, Liri Elbag.
LE FAMIGLIE DEGLI OSTAGGI hanno occupato, ieri, l’autostrada all’altezza di Tel Aviv, chiedendo che Netanyahu porti a termine l’accordo completo di scambio. Quello che sembrava un nuovo, ennesimo stallo nella già fragile tregua, è stato superato in serata e i media israeliani hanno comunicato che ci si prepara ad accogliere le quattro donne. Il servizio carcerario ha ricevuto, intanto, l’elenco dei circa 200 prigionieri palestinesi (non ancora reso pubblico mentre scriviamo) che verranno rilasciati oggi.
Secondo l’agenzia di stampa turca Anadolu, i militari hanno fatto irruzione, a Jenin, nella casa di Zakaria Zubeidi, uno dei prigionieri che si attende vengano liberati, ammanettando la moglie e il figlio 14enne.
NON È SOLO L’ACCORDO con Hamas ad essere in gioco in queste ore ma anche il cessate il fuoco in Libano. Netanyahu ha fatto sapere ciò che in effetti si sospettava: non intende liberare il sud del Paese entro i 60 giorni, come previsto dall’intesa siglata a fine novembre. «Poiché l’accordo di cessate il fuoco non è ancora stato pienamente applicato dal Libano, il processo di ritiro graduale continuerà in piena collaborazione con gli Stati Uniti», hanno comunicato ieri dall’ufficio del primo ministro.
IN SERATA, BRIAN HUGHES, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa, ha confermato che l’accordo non sarà rispettato: «È urgentemente necessaria una breve estensione temporanea del cessate il fuoco». Hezbollah, che ha denunciato nelle scorse settimane decine di violazioni israeliane del cessate il fuoco, non ha immediatamente commentato.
Intanto, si alzano le fiamme dal campo profughi palestinese di Jenin, nel quarto giorno dell’invasione militare israeliana che ha già causato 14 morti e decine di feriti. Il fuoco è stato appiccato in diverse abitazioni, altre sono state bombardate e poi appianate dalle ruspe. I militari stanno facendo irruzione nelle case, perquisendo e requisendo proprietà. I droni che volano a bassa quota ordinano di abbandonare le proprie abitazioni sotto la minaccia di violenti attacchi. Il sindaco di Jenin, Mohammad Jarrar, ha dichiarato che le demolizioni e gli incendi effettuati dall’esercito fanno parte di «un piano» che mira a «trasformare il campo in un luogo inabitabile». Secondo le forze armate israeliane, sono circa 1.800 i palestinesi allontanati dall’inizio dell’operazione militare, lo scorso martedì. Fonti vicine ai gruppi armati dichiarano che mentre l’esercito di Tel Aviv dà la caccia ai combattenti, l’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha il compito di mantenere il controllo su alcune zone della città che comprendono centri medici, periferie, moschee. Delle 7.000 persone che vivono nel campo dovrebbero ora rimanerne circa 2.500.
L’ESERCITO ISRAELIANO ha comunicato che il numero di sfollati è superiore ai precedenti raid per due ragioni: la violenza dell’operazione e i rastrellamenti dell’Anp. I combattenti hanno utilizzato esplosivi contro i carri armati e dichiarato di aver ferito diversi militari in un’imboscata.
Anche la città di Qabatiyah, poco a sud di Jenin, è stata presa di mira da Israele: dopo una giornata di raid e arresti, un razzo ha colpito un’automobile, uccidendo due persone. Nella città di Anata, nei pressi di Gerusalemme, nella notte tra mercoledì e giovedì l’esercito di Tel Aviv ha arrestato almeno 15 palestinesi.
L’ONU FA SAPERE che sono 34 le persone uccise in Cisgiordania dall’inizio dell’anno. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) ha condannato le operazioni militari israeliane in Cisgiordania degli ultimi giorni, dichiarando che «sollevano serie preoccupazioni sull’uso non necessario o sproporzionato della forza in violazione del diritto internazionale sui diritti umani».
Allo stesso tempo, come voluto dal neopresidente Trump, il Dipartimento del Tesoro Usa ha formalmente revocato le sanzioni contro i coloni e le organizzazioni israeliane più violente.
25/01/2025
da Il Manifesto