07/10/2025
da Valori
Le banche coinvolte nel finanziamento allo sterminio di Israele a Gaza si nascondono dietro scuse o smentite. Come l’italiana Bper
Le maggiori banche e assicurazioni occidentali continuano a finanziare lo sterminio dei palestinesi. E, una volta messe con le spalle al muro, si giustificano dietro l’opacità delle normative bancarie e delle linee guida dell’Ocse. Linee guida che in realtà dovrebbero richiedere alle aziende di identificare possibili rischi per i diritti umani o gli impatti negativi nelle loro attività e di prevenirli o ridurli. Ad affermarlo è un rapporto di Profundo di cui avevamo scritto.
Avevamo raccontato come Israel Bonds, l’organismo affiliato al governo di Israele responsabile della commercializzazione delle obbligazioni israeliane agli investitori internazionali, avesse emesso dei “war bond” per un valore di 19,4 miliardi di dollari. E avevamo spiegato come queste obbligazioni di guerra fossero state sottoscritte dai maggiori gruppi bancari e assicurativi occidentali.
A partire da istituti di credito americani come Goldman Sachs (7,2 miliardi di dollari), Bank of America (3,6), Citigroup (2,9) e JPMorgan Chase (0,7). Banche europee come Deutsche Bank (2,5), BNP Paribas (2) e Barclays (0,2). E dalla banca italiana Bper, con 99 milioni di dollari. Oltre a diversi fondi d’investimento e al gigante assicurativo Allianz, con quasi un miliardo. Oggi Follow the Money racconta come, otto mesi dopo essere stati scoperti, gli investimenti continuano. E le banche non ne rispondono.
Israele: da occupazione a sterminio
Il problema è che da febbraio a oggi la “guerra” di Israele alla Palestina si è intensificata. Il New York Times ha stimato che in due anni Israele abbia sganciato sulla Striscia di Gaza oltre 100mila tonnellate di esplosivi. Più di quanti abbiano colpito Londra, Dresda e Amburgo messe insieme durante la Seconda guerra mondiale. Ad agosto l’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc) ha pubblicato un rapporto in cui scrive che nella Striscia di Gaza è in corso una delle peggiori carestie di sempre. E che «questa carestia è interamente causata da Israele».
Dopo che lo avevano già detto diversi esperti, a settembre anche la Commissione internazionale indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Territorio palestinese occupato ha concluso che «le autorità e le forze israeliane hanno commesso e stanno continuando a commettere un genocidio nella Striscia di Gaza occupata». Questo ha fatto in modo che in tutto il montassero le proteste contro i “war bond” emessi da Israele. Oltretutto scoperti e portati alla luce già lo scorso gennaio.
Tanto che alcuni Paesi avevano cominciato a prendere le distanze da quelle che oramai possono essere considerate – alla luce di quanto indicato dalla Commissione Onu – non più solo come obbligazioni di guerra, ma vere e proprie “obbligazioni per il genocidio”. Lo aveva fatto l’Irlanda, la cui Banca centrale era l’autorità designata nell’Unione europea per approvare la vendita delle obbligazioni di Israele, Paese extracomunitario. O il fondo pensioni norvegese, che ha disinvestito. E a settembre si è svegliato perfino il Lussemburgo. Ma tutto ciò non sembra aver minimamente placato la sete di guadagno di molte banche che hanno deciso – di fatto – di chiudere un occhio sullo sterminio.
Ma per le banche non è cambiato nulla
Per questo Follow the Money, dopo aver pubblicato l’inchiesta, ha deciso di chiedere alle banche coinvolte un commento sulla vicenda. Anche perché nel frattempo diversi esperti legali e politici hanno ipotizzato che le parti europee coinvolte abbiano violato le linee guida dell’Ocse sulla responsabilità aziendale. Il problema, però, è che queste linee guida non sono giuridicamente vincolanti per le aziende. Dovrebbero essere i governi europei che le hanno adottate a garantire che queste vengano davvero rispettate.
Proprio questo ha dato modo alle banche e alle assicurazioni europee coinvolte – come Allianz, Barclays, BNP Paribas e Deutsche Bank – di rispondere laconicamente che loro aderiscono a queste linee guida. Anche Altreconomia ha posto la domanda alle maggiori banche italiane. In particolare a Bper che a gennaio, attraverso Arca Sgr, risultava esposta per 99 milioni di dollari sui war bond. E a giugno 2025, secondo Altreconomia, era esposta su «titoli israeliani emessi dopo il 7 ottobre 2023 per 195 milioni».
Un fatto che ha giustamente scatenato proteste sindacali all’interno del gruppo Bper. Eppure, a precisa domanda, l’istituto di credito ha dapprima risposto ad Altreconomia che «nel portafoglio di proprietà di Bper Banca e della Sgr controllata non sono presenti titoli obbligazionari emessi dallo Stato israeliano». Quindi, quando è stato chiesto se allora tutte le obbligazioni collegate allo sterminio dei palestinesi fossero state vendute dopo il 31 luglio 2025, Bper ha replicato: «Sì».
«Se le banche continuano a finanziare Israele sono complici del genocidio»
Speriamo che Bper e le altre banche coinvolte abbiano davvero disinvestito nelle obbligazioni israeliane.. Come spiega Joseph Wilde-Ramsing, direttore advocacy presso la Ong olandese Somo, «se le aziende non lo fanno, o lo fanno senza ottenere risultati, c’è il rischio che le loro attività passino dall’essere “direttamente collegate” alle violazioni dei diritti umani a “contribuire” a queste. Una forma di complicità».
E come aggiunge Tara Van Ho, professoressa associata di Diritto presso la St. Mary’s University in Texas e esperta di linee guida Ocse, «se le aziende a conoscenza di queste violazioni continuano comunque le loro attività, sapendo di non avere alcuna influenza sulle scelte di Israele, si tratta di una flagrante violazione delle loro responsabilità in materia di diritti umani. Chiunque abbia valutato in modo indipendente la situazione in Israele riscontra non solo violazioni dei diritti umani, ma anche crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio».