27/08/2025
da Remocontro
Donald Trump ha una maledetta fretta. Deve a tutti i costi costringere la Banca centrale americana, la Federal Reserve, ad abbassare i tassi d’interesse. E, per ora, ha cominciato cercando di demolirne il Consiglio d’Amministrazione, licenziando Lisa Cook, che era stata nominata da Joe Biden.
Ennesima forzatura costituzionale
In realtà, il vero bersaglio della Casa Bianca è lo stesso Presidente dell’istituto finanziario, Jerome Powell, il quale non è per niente d’accordo col taglio dei tassi, perché pensa che i tempi ancora non siano maturi. Teme una ripresa dell’inflazione. Una situazione che da ‘feuilleton’ nazionale potrebbe presto diventare dramma per l’economia planetaria: lo scontro tra la politica e le autorità monetarie americane, infatti, non fa altro che introdurre instabilità nei mercati, che si parametrano sul dollaro. Insomma, è una vera e propria guerra, con delicati risvolti costituzionali, perché in una democrazia che si rispetti le Banche centrali devono essere autonome e libere di fissare la politica monetaria più utile al bene del Paese. E non del governo in carica.
Il Paese e non il governo
Ecco spiegato perché Trump e Powell (che scadrà solo nel maggio del 2026) sono su fronti contrapposti. La Casa Bianca vuole tassi bassi, che rilancino l’economia in un paio di mesi, dando un’impressione di crescita accelerata e di boom economico. La percezione positiva di ‘buona politica’, tradurrebbe in consenso, da spendere alle prossime elezioni di Medio termine, nel 2026. La ‘Fed’, invece, ragiona in modo diverso, e tiene d’occhio il rischio-inflazione che è una minaccia incombente. Specie alla luce delle strategie commerciali protezionistiche di Trump e del peso che le tariffe doganali avranno.
Costi dei prodotti importati
Ciò avverrà, sicuramente, quando si scaricheranno in gran parte sui consumatori, i costi per i prodotti importati o fabbricati con materie prime e semilavorati in arrivo da oltre confine. Naturalmente, tutti gli osservatori hanno visto nella rimozione di Lisa Cook (che farà appello ai tribunali contro questa decisione che reputa arbitraria e illegale) un attacco ‘a tenaglia’ contro Powell. «Il tentativo del Presidente Trump di licenziare il governatore della Federal Reserve, Lisa Cook – scrive il Wall Street Journal – è il passo più drammatico compiuto finora nel suo tentativo di prendere il controllo della Banca centrale indipendente e della sua vasta autorità sui tassi di interesse».
Casa Bianca ‘prenditutto’
«Per mesi Trump – aggiunge il WSJ – ha chiesto alla Federal Reserve di abbassare i tassi per rilanciare l’economia, rendere gli alloggi più accessibili e ridurre il costo del servizio del debito nazionale. Ha criticato aspramente il Presidente della Fed, Jerome Powell, per non essersi mosso prima per tagliarli. Sostituendo la Cook, potrebbe aggiungere abbastanza voti al Consiglio di amministrazione di sette membri per mettere in minoranza Powell e spostare i tassi di interesse nella direzione da lui preferita». A questo punto, bisogna chiarire alcuni punti. Il primo è quello relativo ai motivi formali che hanno portato alla rimozione di Lisa Cook.
Casa Bianca fuorilegge
Trump le ha spedito una lettera di licenziamento (in cui la invitava prima a dimettersi) a seguito di un’indagine, condotta dalla Federal Housing Finance Agency, riguardante i mutui per due proprietà, una nel Michigan e l’altra ad Atlanta. Ferma e combattiva la reazione della Cook: «Il Presidente Trump ha dichiarato di volermi licenziare ‘per giusta causa’, quando non esiste alcuna causa prevista dalla legge, non ha l’autorità per farlo – ha detto la governatrice – e non mi dimetterò». Quindi, probabilmente, come ormai capita in tutte le principali vicende istituzionali americane, nelle quali c’è invischiato Trump, si arriverà fino alla Corte Suprema.
Bersaglio Fed
Nel frattempo occorre spiegare, numeri alla mano, come mai Trump stia facendo la guerra alla Cook per colpire, in effetti, il capo della Fed, cioè Jerome Powell. Il ‘Board of Governors’, cioè in pratica il Consiglio d’amministrazione della Fed che decide la politica monetaria, è composto da sette membri, Si tratta del ‘nocciolo duro’, quello che conta di più, perché poi ci sono altri cinque componenti di supervisione ‘a rotazione’. Chi controlla la maggioranza (cioè 4 su7) in pratica decide le strategie finanziarie del Paese, a cominciare dal livello dei tassi.
Situazione attuale
Ecco lo stato dell’arte che fa il WSJ: «Nel frattempo, due attuali governatori della Fed, Michelle Bowman e Christopher Waller, devono il loro posto nel Consiglio alle nomine di Trump durante il suo primo mandato. Questo mese, Trump ha nominato un suo stretto consigliere economico, Stephen Miran, per ricoprire un posto lasciato vacante dalle dimissioni di Adriana Kugler, che era stata nominata da Biden. Miran è in attesa della conferma del Senato. Quindi, la possibilità di ricoprire il posto di Cook darebbe ai nominati da Trump la maggioranza nel Consiglio.
Crisi di sistema
Lo scontro, però, è un altro clamoroso indicatore della pericolosa crisi di sistema che sta attraversando il modello politico-istituzionale americano, che appare fuori equilibrio. Mai, come in questo momento storico, erano stati così profondamente scossi i cardini stessi della dialettica democratica. Un sistema basato sulla ‘common law’, che sente il costante bisogno di rivolgersi alla Corte Suprema, per dirimere controversie sempre più inaspettate, fa capire di vivere una delicata fase di transizione. Nel caso specifico, sin dalla fondazione della Fed, nel 1913, i Presidenti Usa si sono occasionalmente scagliati contro le sue decisioni, ma nessun membro del Consiglio è mai stato proposto per la rimozione da parte della Casa Bianca.
Come andrà a finire?
- «La mossa di Trump – spiega ancora il Wall Street Journal – arriva in un momento delicato. La Fed ha mantenuto i tassi di interesse stabili tra il 4,25% e il 4,5% per cinque riunioni consecutive quest’anno, principalmente per il timore che i dazi avrebbero mantenuto una pressione al rialzo sull’inflazione, attualmente superiore all’obiettivo del 2%. Ma in un discorso della scorsa settimana, Powell, citando i rischi per il mercato del lavoro, ha iniziato a prospettare un possibile taglio dei tassi già il mese prossimo». A questo prezzo, Trump, come al solito, potrebbe cambiare idea, ‘tollerando’ Powell senza passare ad azioni di forza, che potrebbero rivelarsi un boomerang.
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In fondo, a lui (per ora) dell’inflazione importa fino a un certo punto. È convinto che la miscela (esplosiva) di tagli ai tassi e dazi all’import, gli faranno vincere anche le prossime elezioni di ‘Medio termine’.