Trump è arrivato ieri in Arabia Saudita con una convinzione: i dollari aprono tutte le porte. E così, si è portato mezzo governo appresso, per firmare una montagna di accordi commerciali. Sullo sfondo di cotanto sforzo diplomatico, ballano miliardi e miliardi di dollari, che faranno anche da architrave per il prosieguo della visita, in Qatar e negli Emirati.
Trump e l’amico principe
Trump è stato ricevuto con tutti gli onori dal principe bin Salman, l’uomo forte del regime saudita, architetto del faraonico piano di sviluppo chiamato ‘Vision 2030’. E i primi ‘frutti’ della missione trumpiana nel Golfo Persico sembrano copiosi. Il Wall Street Journal parla di contratti per l’astronomica cifra di 600 miliardi di dollari in quattro anni (di cui 300 subito), solo con Riad. Tra cui, quello che viene considerato «il record mondiale» nell’export di armi (americane), con impegni fino a 142 miliardi di dollari. Trump ha anche annunciato la fine delle sanzioni alla Siria, mentre è tornato a minacciare l’Iran, per la storia del nucleare.
‘Inizio sfarzoso’
«È stato un inizio sfarzoso per questo viaggio di negoziazione – scrive il Journal – la prima visita importante all’estero di Trump nel suo secondo mandato. Le tre nazioni mediorientali che il presidente visiterà questa settimana – Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti – hanno in programma di annunciare decine di intese commerciali con gli Stati Uniti, che vanno dalla vendita di armi ad accordi su intelligenza artificiale, energia e spazio». Trump è accompagnato, tra gli altri, dal Segretario di Stato Marco Rubio e dal Ministro della Difesa, Pete Hegseth, un segnale chiarissimo dell’importanza che la Casa Bianca attribuisce all’iniziativa. Una mossa che vuole utilizzare le cointeressenze economiche, per approfondire le partnership politiche e militari. E il pensiero corre subito a quei Patti di Abramo che, nella prima presidenza Trump, consentirono di siglare un accordo storico tra Israele e alcuni Paesi arabi (Marocco, Bahrein, Sudan ed Emirati). Mancava proprio l’Arabia Saudita. I tempi non erano maturi, per diversi motivi, a cominciare dal contenzioso palestinese.
Mondo arabo e Israele
Oggi, dopo i massacri di Gaza, sembra difficile che qualsiasi Paese arabo voglia scendere a patti con Israele. Anche se lo volessero i vertici, probabilmente lo rifiuterebbe la maggior parte della popolazione. Col rischio di reazioni imprevedibili: molto meglio ragionare in un’ottica bilaterale, ed è quello che i suoi ‘advisor’ stanno suggerendo a Trump. La sua strategia finale è quella di spostare il focus degli interessi strategici Usa nell’Indo-Pacifico, rischierando forze e risorse americane dall’Europa e dal Medio Oriente. Non è dunque ‘isolazionismo’ tout court, quello dell’attuale Casa Bianca. Ma un calcolo preciso, e cioè quello di concentrare l’attenzione e la conseguente dottrina del ‘containment’, verso l’avversario ritenuto più pericoloso: la Cina. Però, non tutte le ciambelle riescono col buco e Trump deve fare i conti con un convitato di pietra come l’Iran, il nemico storico dei sauditi, che controlla l’imboccatura del Golfo Persico (lo Stretto di Hormuz).
Golfo persico e Iran
Le ambizioni nucleari di Teheran, in questa fase, sono la discriminante che modella tutta la politica del Golfo Persico, in prima battuta. E dell’intero Medio Oriente, se allarghiamo il grandangolo dell’analisi strategica. Per venire al dunque, il principe bin Salman chiede fondamentalmente due cose all’America: lo sviluppo di un programma nucleare (‘a scopi pacifici’) e un patto di difesa con Washington. Due richieste complicate. Sostenere la prima, significa che diventa più difficile negare le ragioni dell’Iran di ‘nuclearizzarsi’, Mentre, per la seconda, è il Congresso Usa a mettersi di traverso, perché pretende la normalizzazione anticipata delle relazioni diplomatiche con Israele. E così torniamo al punto di partenza, con l’offa di miliardi di dollari gettati sul tavolo delle trattative. Che probabilmente non basteranno mai a uscire dall’impasse. Perché non è solo un problema di quantità di risorse messe a disposizione. No, è anche una questione legata a un’inimicizia tra arabi ed israeliani che, anziché placarsi, purtroppo va aumentando in modo esponenziale, ogni giorno che passa.
Mondo sunnita e Iran sciita
D’altro canto, il mondo sunnita deve guardarsi da un’evoluzione particolare del confronto in Medio Oriente. A ben vedere, gli unici pronti a scendere in battaglia contro l’esercito di Netanyahu, paradossalmente, sono stati gli sciiti iraniani, assieme a tutta la loro galassia, da Hezbollah agli Houthi yemeniti, fino all’Asse della resistenza, che opera in Siria e Irak. Certo, ora l’obiettivo che Trump si è sempre posto, cioè quello di costruire una specie di «Nato araba in Medio Oriente», non sembra affatto facile. Si parla di un rafforzamento dei legami col Qatar, che già funge da ‘hub’ fondamentale per le forze aeree degli Stati Uniti in tutta la regione. La base di al-Udeid ospita il Centro operativo aereo Usa che coordina tutte le loro operazioni in Medio Oriente. «Durante la campagna di guerra israeliana a Gaza – scrive il think tank al Monitor – gli aerei da trasporto militari statunitensi hanno silenziosamente convogliato rifornimenti in Israele, attraverso la base aerea, un dettaglio potenzialmente scandaloso per i leader del Qatar, che rimangono convinti sostenitori pubblici dell’autodeterminazione palestinese».
Le bombe americane su Gaza via Qatar
Quindi, pare di capire che le bombe utilizzate dagli israeliani per spianare la Striscia, siano transitate dal Qatar, con la silenziosa complicità di quegli emiri. Ad Abu Dahbi, negli Emirati Arabi, invece, il ‘core business’ della visita di Trump riguarderà la collaborazione nel campo della tecnologia e, in particolare, in quello dei semiconduttori.
L’ultimo affaire che bisognerà risolvere, sarà quello della linea strategica di rifornimento petrolifero tra l’Arabia e l’Oceano Indiano. Gli Usa vorrebbero un accordo che impedisca, in caso di guerra con Pechino, di continuare a esportare greggio verso la Cina. Insomma, sotto la vernice del business, spuntano problemi politici che non si possono risolvere, sempre e comunque, solo mettendo mano al portafoglio.
14/05/2025
da Remocontro