Trump-Putin, ‘grandi progressi’ ma sull’Ucraina ancora nessun accordo. Il presidente Usa: «presto il trilaterale con Putin e Zelensky. Pochissimi problemi irrisolti con Mosca. A breve chiamerò la Nato e Zelensky. Ora spetta a Zelensky e agli europei». Il leader del Cremlino: «D’accordo sul garantire la sicurezza in Ucraina. Poi invita il tycoon: Il prossimo incontro a Mosca».
Realpolitik e calci all’Europa
Un distillato di “realpolitik” e una pedata nel sedere all’Europa. Lasciata in mezzo a una strada a leccarsi le ferite. Questo potrebbe essere il resoconto stringato del vertice Usa-Russia sull’Ucraina, svoltosi in Alaska, senza arrampicarsi troppo sugli specchi dell’analisi geopolitica ‘à la page’. Trump l’ha definito «fantastico e produttivo», mentre Putin non ha fatto altro che lodare il Presidente americano, dicendo che se ci fosse stato lui, al posto di Biden, la guerra non sarebbe mai scoppiata.
I due a tu per tu
I due leader si sono incontrati a tu per tu, prima di andare al pranzo ufficiale con le rispettive e imponenti delegazioni. Ma prima hanno chiuso il loro storico vertice con una conferenza stampa congiunta, che già i ‘banner’ Usa reclamizzavano trionfalisticamente: ‘Ricerchiamo la pace”. In effetti, gli sherpa della diplomazia hanno preparato tutto a puntino, copione e scenografia di una recita ben programmata. E già lo stesso protocollo seguito è stato una prima eclatante vittoria, indiscutibile, per il Cremlino.
Putin sdoganato
Solo in un anno, Putin è passato da ‘bloody butcher’, sanguinario macellaio, da scansare come un lebbroso (così lo definiva Joe Biden), a essere trattato da capo di Stato. Discutibile, discusso e autocratico quanto si vuole, ma pur sempre leader della prima (per numero di testate) potenza nucleare del mondo. Trump, insomma, lo ha sdoganato. Parlarci è obbligatorio, dargli ragione, però, è tutto un altro discorso.
Alaska prima russo poi americano
L’incontro si è tenuto nella base militare congiunta Elmendorf-Richardson di Anchorage, ed è durato circa tre ore, durante le quali i due hanno discusso anche di ‘affari’, la chiave per ammorbidire qualsiasi eventuale ostruzionismo da parte di Trump. Quindi, non si è parlato solo di Ucraina. Prima di tutto, perché Zelensky non è l’ago della bilancia del pianeta, cioè di un mondo che, per deformazione culturale, noi occidentali continuiamo ancora a vedere con i filtri di un arrogante eurocentrismo. E poi perché gli scenari geopolitici internazionali stanno velocemente mutando e chi ha comandato finora, per secoli, forse dovrebbe accorgersi che alla tavola apparecchiata ha diritto di sedersi tutto il resto della Terra.
Asse Washington Mosca scansando Kiev?
Putin ha lanciato l’offa di una collaborazione redditizia, tra Washington e Mosca, che potrebbe puntare allo sfruttamento delle enormi risorse naturali russe, dall’energia alle ‘terre rare’. Trump ha apprezzato e ha fatto capire che, su queste basi, il dialogo può decollare. Durante la conferenza, non si è affondato il colpo sugli argomenti di più scottante attualità, che riguardano l’Ucraina, ma si è cercato di girare al largo, magari con propositi ‘di buona volontà’. Trump si è giustificato dicendo di non voler entrare nello specifico, perché prima deve consultarsi con Zelensky e con gli ‘alleati’ europei. I quali, vista la sceneggiata e il rapporto intavolato dal Presidente americano (‘ti chiamerò Vladimir’) con l’ex nemico pubblico numero uno dell’Occidente, saranno già sull’orlo di una crisi di nervi.
Chi c’era fa capire il livello del vertice
L’Ucraina era solo la portata principale. Sulla carta. Ma nel menù del vertice, il calibro delle delegazioni presenti fa capire la straordinarietà dell’evento. Trump ha voluto con sé anche il direttore della Cia, John Ratcliffe, per una discussione che ha toccato aspetti top secret della sicurezza internazionale. Tra cui sicuramente un nuovo accordo sul dispiegamento di missili nucleari di ultima generazione, specie quelli più pericolosi: a corto e medio raggio, più difficili da individuare e intercettare. C’erano inoltre il Segretario di Stato Marco Rubio, il Ministro del Tesoro Scott Bessent, il Segretario al Commercio Howard Lutnick, e il consigliere speciale Steve Witkoff. Un vero e proprio ‘parterre de rois’, a cui dall’altro lato rispondevano Sergei Lavrov (Esteri), Andrei Belousov (Difesa), Kirill Dmitriev (Economic Adviser), Juri Ushakov (Foreign Policy Adviser), Anton Siluanov (Finanze).
La situazione sul campo di battaglia
I dati fotografati da “BBC-Verufy”, monitorati da mappe satellitari, sono comparati con le analisi giornalmente effettuate dall’Institute for the Study of War (ISW), un autorevole gruppo di ricerca statunitense. Ebbene, gli specialisti ISW affermano che da quando è iniziata l’offensiva estiva della Russia, a maggio, le sue forze sono avanzate in media di 15-16 kmq al giorno nel territorio ucraino. Ad agosto, però, la penetrazione è accelerata, passando a una velocità media di avanzamento di 23 kmq. al giorno. «Le forze russe hanno lavorato per erodere la capacità dell’Ucraina di difendere le proprie linee logistiche fin dalla primavera del 2025 – spiega ISW – e questi sforzi stanno dando i loro frutti ora». Per il Wall Street Journai, «quest’estate le truppe russe hanno intensificato l’offensiva di terra nella regione di Donetsk, nell’Ucraina orientale, con l’obiettivo di accerchiare le città di Pokrovsk e Myrnohrad. Nel frattempo, le proteste contro i tentativi di limitare le autorità anticorruzione ucraine hanno anche evidenziato un diffuso malcontento nei confronti di Zelensky».
I giganteschi problemi di Kiev
Sempre il giornale americano sottolinea il crescente disagio tra i soldati di Kiev per le tattiche loro imposte. «I soldati ucraini – dice WSJ – affermano che i leader militari sprecano uomini in assalti rischiosi, con scarso valore strategico e minori possibilità di successo. Le richieste di ritirata da unità esauste o circondate vengono spesso respinte, con conseguenti perdite inutili. Le decisioni sono centralizzate, affermano i soldati, il che rende gli ufficiali di grado inferiore riluttanti a prendere misure che potrebbero salvare i propri uomini per paura di essere puniti. Il risultato è una crescente carenza di uomini, soprattutto di fanteria, di cui la Russia sta ora approfittando».
L’impegno a non colpire i civili
Una delle proposte circolate la settimana scorsa, dopo l’incontro di Steve Witkoff con Putin, è stata quella di congelare gli attacchi ‘a lunga distanza da entrambe le parti’. Si tratterebbe, in effetti, di un deciso passo avanti, capace di tenere al riparo, per quanto è possibile, i civili dai danni collaterali della guerra. Vale per Mosca, ma vale anche per Kiev. I russi hanno costantemente condotto, specie negli ultimi mesi, bombardamenti sui centri abitati, giustificandoli con la presunta ricerca di precisi obiettivi militari. Queste azioni, chiaramente, hanno l’obiettivo di spezzare la resistenza psicologica della popolazione ucraina, il cosiddetto ‘fronte interno’. Ma anche le forze di Zelensky hanno condotto raid mirati in profondità nel territorio russo, con le stesse finalità.
BBC-Verify
‘BBC-Verify’ ha dedicato un report a queste strategie d’attacco, valutandone la portata. «Delle 27 azioni finora esaminate – dice la Tv britannica – gli obiettivi includevano raffinerie e depositi di petrolio, stazioni ferroviarie, aeroporti, depositi di droni e siti industriali». Secondo Charles Kupchan, membro senior del Council on Foreign Relations Usa, «la campagna aerea dell’Ucraina ha due obiettivi: uno è colpire bersagli, come depositi di petrolio e installazioni militari, che possono compromettere lo sforzo bellico della Russia e ridurre le entrate che confluiscono nell’economia bellica. L’altro, invece, è quello di portare la guerra alla Russia e al suo popolo. Nel complesso, la strategia dell’Ucraina è quella di aumentare i costi della guerra per la Russia, sperando che ciò convinca Putin a fermare la sua aggressione e ad accettare un cessate il fuoco duraturo».
Chi paga cosa?
- Il lato debole di questo ragionamento è che la guerra ha un costo stratosferico anche per l’Ucraina. Pagato sostanzialmente dall’Occidente. Ebbene, ora Trump e l’America si sono tirati indietro, come abbiamo già spiegato nei giorni scorsi. La priorità strategica (e di impiego delle risorse) della Casa Bianca oggi è l’Indo-Pacifico. Per cui, sentenzia Trump, nelle segrete stanze, o si trova una soluzione (qualunque essa sia) per chiudere la guerra, oppure l’Europa se ne dovrà fare totalmente carico. Innanzitutto in termini finanziari.
Il che significa, guardando al futuro con un occhio più lungo, sobbarcarsi anche gli oneri della ricostruzione, che costerà più del conflitto. E in cauda venenum, presentarsi di fronte ai propri elettori, per spiegare che i soldi dei servizi sociali dovranno essere spesi per tenere aperta questa stramaledetta guerra. Auguri.