Dall'Ucraina al Medio Oriente e fino alla crisi nel Pacifico, come cambia la linea degli Stati Uniti con Trump al potere
Archiviato il voto americano, il mondo intero – l’Unione europea in testa – si chiede se e come cambierà la postura internazionale degli Stati Uniti. Del resto lo scenario mondiale, tra i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente e l’incubo di una crisi nell’Indo-Pacifico, è a dir poco incandescente e quindi tutti si chiedono quali siano le intenzioni di Donald Trump. Come ha spiegato l’esperto di geopolitica Elia Morelli a La Notizia, non c’è da aspettarsi un cambiamento drastico e repentino nella politica estera degli Usa, ma sul lungo medio e periodo le cose potrebbero evolvere.
Dall’Ucraina al Medio Oriente, la posizione di Trump
Se c’è qualcosa di certo è che il tycoon continuerà a fornire il proprio supporto alla crociata del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, per ridefinire gli equilibri del Medio Oriente. Del resto il presidente repubblicano non ha mai fatto mistero di apprezzare la linea muscolare di Tel Aviv, incoraggiandolo più volte a “portare a termine la partita” contro i nemici di Israele, ossia Hamas, Hezbollah e forse pure l’Iran della Guida Suprema Ali Khamenei. Nelle ultime settimane, Trump ha più volte rimarcato che in caso di vittoria avrebbe dato a Netanyahu maggiore libertà decisionale, criticando duramente il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, quest’ultimo reo di aver costretto Israele a condurre operazioni fin troppo blande nella Striscia di Gaza e in Libano ma, soprattutto, di aver limitato i potenziali obiettivi della rappresaglia di Gerusalemme all’attacco missilistico iraniano del primo ottobre.
Sempre Trump, parlando alla Convention nazionale repubblicana di luglio, aveva anche spiegato che coloro che tengono in ostaggio cittadini americani a Gaza “dovranno pagare un prezzo molto alto” se questi non verranno rilasciati prima che assuma l’incarico. Certo qualcuno potrebbe obiettare che il tycoon ha più volte detto che sotto la sua guida i conflitti che stanno sconvolgendo il mondo, incluso quello mediorientale, sarebbero arrivati a “una rapida conclusione” ma, almeno allo stato attuale, c’è da dubitare che possa riuscirci. A lasciarlo intendere è proprio Netanyahu che spesso e volentieri ha tifato per Trump, tanto da essere stato uno dei primi leader esteri a congratularsi per il trionfo su Kamala Harris che avrebbe agito in continuità con l’amministrazione Biden.
Trump punta al disimpegno in Ucraina e terrorizza Zelensky
Ben diverso l’umore di Volodymyr Zelensky che pur congratulandosi con il presidente repubblicano, sa bene che quest’elezione non migliora di certo la sua situazione. Infatti, Trump è notoriamente vicino a Vladimir Putin che lo ha più volte dipinto come “un uomo forte al comando” da cui prendere esempio. Un’amicizia di lunga data che ha fatto capolino anche nel recente libro War, scritto dal giornalista del Watergate, Bob Woodward, in cui si legge che “Trump quando era alla Casa Bianca avrebbe inviato segretamente i test Covid-19 a Putin, malgrado negli Stati Uniti i tamponi scarseggiassero da tempo” e che “nonostante l’invasione russa dell’Ucraina e mentre mirava a tornare alla Casa Bianca” avrebbe continuato a parlare con lo zar in segreto per almeno sette volte dal momento in cui ha lasciato la presidenza nel 2021.
Ma non è tutto. Il tycoon in campagna elettorale ha più volte criticato Zelensky, addirittura sostenendo la tesi che “se c’è stata l’invasione dell’Ucraina la colpa è anche sua”, affermando che farà di tutto per chiudere il conflitto che con lui al potere “non sarebbe nemmeno scoppiato”. Come possa riuscirci non è chiaro e solo il tempo ce lo dirà. Quel che appare chiaro è che in diverse occasioni ha manifestato l’intenzione di disimpegnarsi dal conflitto ucraino, così da destinare quei fondi alla presunta emergenza migratoria dal Sud America, per poi spiegare che la sicurezza dell’Europa è troppo costosa per gli Usa e deve essere presa in carico dall’Unione europea di Ursula von der Leyen.
Come se non bastasse ha aggiunto che gli Stati aderenti alla Nato devono rispettare l’impegno di destinare almeno il 2% del Pil in armi, altrimenti gli Usa non li difenderanno dalle minacce mondiali.
Il silenzio di Pechino
La vittoria di Trump rischia, però, di incendiare definitivamente l’area dell’Indo-Pacifico. Il tycoon ha già detto che “il nemico degli Stati Uniti è la Cina” di Xi Jinping, contro cui già durante il primo mandato ha intrapreso una furiosa guerra commerciale, e per questo ha promesso nuove forniture militari all’isola di Taiwan, che rivendica la propria indipendenza dalla Cina, e il dispiegamento di una forza militare nell’area che possa garantire l’indipendenza di Taipei.
Si tratta di provocazioni preannunciate che si inseriscono all’interno di quella che già oggi può essere descritta come una crisi internazionale in cui basta una minima scintilla per causare lo scoppio di una guerra tra le due principali superpotenze del pianeta.
07/11/2024
da La Notizia