La morte di Papa Francesco, “credibile visionario”, lascia un grande vuoto nel mondo intero.
Per credenti e non credenti. Un riformatore controcorrente e disallineato rispetto ad ogni forma di asfittico clericalismo che rischia di soffocare in modo irreversibile la Chiesa impoverendola dei messaggi con cui dovrebbe proporsi come guida spirituale in una società sempre più secolarizzata.
Non a caso il primo viaggio del suo Pontificato fu a Lampedusa (2013), luogo di ultimi e disperati carichi di speranza ed in cerca di dignità. E poi le sue attenzioni al mondo del lavoro che genera sempre più povertà intellettuale e materiale in luogo di ricchezza e serenità, all’ambiente (Laudato si’ – 2015), ai carcerati che spesso ha voluto incontrare, allo scoperchiamento del dramma troppo a lungo sottaciuto della pedofilia, all’incontro con donne uscite da contesti mafiosi. Le donne, in una chiesa che va “demaschilizzata”, come diceva lui che fu il primo a nominare una donna a capo del Governatorato vaticano.
Primo Papa gesuita e sudamericano, persona di comunicazione diretta, lontano anni luce da ogni formalismo, pronto a ignorare protocolli che nulla aggiungevano alla sostanza della testimonianza: niente scarpe rosse papali, croce d’argento e non d’oro, la residenza a Casa Marta, i trasferimenti con utilitarie o poco più, gli incontri informali ed inattesi con persone “normali” nella vita di tutti i giorni, le attenzioni speciali per le persone con disabilità e con fragilità in genere.
E come dimenticare la tenacia con cui si è ostinatamente espresso contro ogni forma di riarmo, illusoria scorciatoia per garantire apparenti processi di pace dove invece idee, dialogo, disponibilità e capacità di tessere rapporti complessi atti a favorire incontri fra attori in campo che privilegiano scontri dovrebbero essere il filo conduttore di una Politica ispirata ed autorevole.
Tutto questo è stato Papa Francesco dentro una Chiesa dove frange tutt’altro che trascurabili hanno talvolta dato l’impressione più di sopportarlo che di supportarlo.
In queste ore si ascoltano indistinti messaggi di cordoglio. Ma il miglior modo per rendergli omaggio sarebbe quello di mettere in pratica, seppur tardivamente, il suo insegnamento senza risparmio di energia e con autentico spirito inclusivo. “Viviamo in una terza guerra mondiale combattuta a pezzi” ebbe a più riprese a dire. La sua disperazione per Gaza “situazione ignobile” con l’uccisione di decine di migliaia di donne e bambini, i costanti richiami alle tante guerre in corso nel mondo. Impotente e sofferente, di fronte all’indifferenza della Politica, dominata da visioni distinte e distanti e addirittura dilaniata, come siamo spesso stati chiamati a constatare, da posizioni antitetiche all’interno di singoli partiti che per primi per loro “conclamati” valori dovrebbero rappresentare un baluardo a difesa di quei principi di umanità e solidarietà spesso sbandierati ma nella sostanza disattesi.
Papa Francesco, un Papa “potente” che espose all’ingresso del Palazzo Apostolico in Vaticano il crocifisso che “indossa” il giubbotto salvagente – recuperato alla deriva nel Mediterraneo centrale il 3 luglio 2019 – donatogli da Mediterranea Saving Humans. “Gesù era un migrante” ripeteva di fronte a un mondo che spesso preferisce ignorare. Un Papa “potente” anche quando, in piena pandemia ed in una piazza San Pietro deserta, sotto una pioggia battente 5 anni fa diffondeva un messaggio di resistenza e speranza. Un simbolo che resterà nel cuore.
“La nostra ignavia è peccato” diceva. Papa Francesco ha tracciato percorsi di autentico rinnovamento dentro la Chiesa e non solo. Con visione alta e umile in un mondo che sembra aver perso il coraggio del dialogo per fermare una preoccupante deriva. E c’è da augurarsi che il suo successore possa proseguire nel solco di un cammino tracciato ormai irreversibile. Per il bene dell’umanità.
22/04/2025
da Il Fatto Quotidiano
di Claudio Pirola