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Uccisi o sfollati, il 2025 dei palestinesi

Uccisi o sfollati, il 2025 dei palestinesi

Politica estera 

31/12/2025

da Il Manifesto

Michele Giorgio

Fuori tutti A causarli in Cisgiordania sono stati anche i coloni israeliani. Per oltre 30mila profughi il ritorno a Jenin e Tulkarem appare escluso. Mentre Netanyahu incontrava Trump, un ordine militare ha rafforzato l’espansione delle colonie

I media israeliani hanno letto l’incontro di lunedì a Mar-a-Lago tra Netanyahu e Trump come un vertice con molte convergenze, ma segnato anche da alcune divergenze sostanziali. Nahum Barnea, analista di Yediot Aharonot, ha descritto il faccia a faccia come «un incrocio di interessi», con la Casa Bianca che punta a risultati rapidi e alla stabilità, mentre Israele resta focalizzato sull’uso della forza, la minaccia di guerra all’Iran e l’imposizione delle proprie condizioni a Siria e Libano. Secondo il quotidiano Maariv, Trump è apparso determinato a far avanzare il dossier Gaza «a tutti i costi», aperto a un possibile ruolo turco nella Striscia e intenzionato a provare a evitare uno scontro diretto con Teheran. Malgrado ciò, ha aggiunto, Netanyahu ha ottenuto che il disarmo di Hamas resti prioritario, mentre sul fronte iraniano ha conservato il sostegno del presidente americano a un possibile nuovo attacco all’Iran. Per Haaretz, il rifiuto di Trump di rispondere alle domande sulla seconda fase dell’accordo di tregua a Gaza, su un eventuale dispiegamento di forze turche e sull’accordo di sicurezza in Siria conferma una divergenza di vedute su nodi cruciali.

Altre differenze, scriveva ieri il sito Axios, sono emerse sulla Cisgiordania palestinese sotto occupazione israeliana. La Casa Bianca ritiene che un’escalation violenta in quel territorio comprometterebbe gli sforzi per attuare il piano di Trump per Gaza e l’espansione degli Accordi di Abramo. Trump, pertanto, avrebbe chiesto a Israele di evitare provocazioni. Lo scetticismo avvolge il peso che Netanyahu darà a questa sollecitazione. Mentre il primo ministro israeliano era in Florida, i palestinesi hanno dovuto fare i conti con l’ultimo ordine militare firmato dal generale Avi Bluth, che raddoppia l’area della colonia di Homesh, già in via di ricostruzione, e rafforza l’espansione di una serie di insediamenti promossa dal ministro delle Finanze Bezalel Smotrich. Alcune comunità palestinesi, infatti, rimarranno intrappolate nell’area ampliata. I coloni inoltre dovrebbero tornare già durante la prossima festa ebraica di Purim nell’ex insediamento di Sa-Nur, dove è stato approvato un piano edilizio per 126 alloggi. Due settimane fa il governo aveva anche approvato la ricostituzione delle colonie distrutte nel 2005 di Ganim e Kadim. Le gare d’appalto per le costruzioni coloniali in Cisgiordania hanno raggiunto nel 2025 il record di 5.667 case, rispetto alle 3.808 unità del 2018. Questi alloggi, avverte Peace Now, ospiteranno circa 25.000 coloni una volta completata la costruzione.

Se la situazione catastrofica di Gaza dopo due anni di offensiva israeliana è nelle cronache giornalistiche quotidiane – anche per le continue decisioni del governo Netanyahu, l’ultima è la revoca dei permessi a decine di Ong internazionali che operano nella Striscia – quella in rapido peggioramento della Cisgiordania resta ai margini. Per i palestinesi cisgiordani, l’anno che si chiude è stato segnato a gennaio dall’inizio dell’offensiva israeliana Muro di Ferro nelle regioni di Jenin, Tulkarem e Nablus e dal continuo sfollamento attraverso vari mezzi, tra cui ordini di demolizione e confisca di terreni. Le scorribande dei coloni inoltre sono diventate uno strumento efficace per imporre nuove realtà sul terreno. Per chi è stato cacciato dai campi profughi di Jenin, Tulkarem, Nur Shams e Faraa, la prospettiva di un ritorno resta lontana. Secondo le ultime statistiche dell’Unrwa, 32.449 rifugiati, tra cui 12.000 bambini, sono stati costretti a lasciare i loro campi, dove scuole e centri sanitari dell’agenzia dell’Onu per i profughi restano chiusi. L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha riferito che recenti immagini satellitari mostrano che circa 1.460 edifici sono stati distrutti o gravemente o moderatamente danneggiati nei campi di Jenin (52% del totale), Nur Shams (48%) e Tulkarem (36%).

Faisal Salameh, capo del Comitato popolare di Tulkarem, ha detto a un giornale locale che migliaia di edifici nei campi di Tulkarem e Nur Shams sono stati danneggiati, assieme alle infrastrutture. Le acque reflue hanno inondato la maggior parte delle case rimaste in piedi, causando ingenti danni e interrompendo le reti idriche, trasformando i campi in un ambiente invivibile. «Il ritorno degli abitanti richiederà anni», ha previsto, sottolineando che l’esercito israeliano «ha costruito strade sulle rovine delle case distrutte per imporre una realtà irreversibile». Il 2025 ha visto anche un numero record di demolizioni. Più di 1.500 palestinesi hanno perduto la casa per la mancanza di permessi di costruzione, in maggioranza nell’Area C, il 60% della Cisgiordania. Nel Governatorato palestinese di Gerusalemme, nell’anno in corso, sono stati emessi 449 ordini di demolizione e, riferiscono i palestinesi, centinaia di altri saranno recapitati nei prossimi giorni. Tra gli avvisi più gravi vi sono quelli giunti lo scorso luglio a 17 famiglie nel quartiere di Al-Sawana e la demolizione, il 22 dicembre, del palazzo Al Waad a Silwan, dove 90 persone sono rimaste senza casa.

Colpite anche le comunità beduine, che hanno affrontato uno sfollamento senza precedenti nel corso dell’anno a causa dei continui raid dei coloni israeliani. Hassan Mleihat, direttore dell’ong Al-Baydar, spiega che «gli attacchi dei coloni sono iniziati con aggressioni e furti di bestiame, poi con incendi dolosi, quindi sono culminati con l’arrivo di centinaia di coloni a ridosso delle comunità beduine». Nel 2025, aggiunge, «circa 800 strutture beduine sono state demolite e più di 200 comunità sono state sfollate nella valle del Giordano, a Ramallah, Nablus e Hebron, lungo la strada degli insediamenti di Alon». Cifre che non includono l’area di Masafer Yatta, dove dozzine di palestinesi sono stati costretti ad abbandonare le loro terre.

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