07/12/2025
da Il manifesto
Palestina L'allarme dei negoziato al Doha Forum e l'appello agli Stati uniti. Ma Washington è parte in causa nelle violazioni dell'accordo. Ieri tre palestinesi ammazzati, Israele continua a demolire case e infrastrutture
Per il cessate il fuoco a Gaza è «un momento critico». Così lo definisce il primo ministro del Qatar, Al Thani, durante il Doha Forum che ieri ha visto riuniti nella petromonarchia i paesi della regione che più di altri hanno svolto il ruolo di mediatori.
Senza un accordo definitivo e permanente, ha aggiunto Al Thani, il processo può deragliare in qualsiasi momento. Parole quasi soft di fronte alle centinaia di violazioni commesse da Israele da metà ottobre, entrata in vigore della tregua e della fase 1, di cui alcune tanto gravi da impedire non solo la fase 2 ma la ripresa di un forma minima di vita a Gaza: uccisioni quotidiane; mancato ingresso degli aiuti in quantità consistenti ed efficaci (poco cibo, pochissimo, quasi nessuna tenda, nessun mezzo da lavoro); un orizzonte di ricostruzione parziale e punitivo; il ritiro dell’esercito israeliano.
A DOHA il ministro degli esteri turco, il falco Hakan Fidan, si è “affidato” agli Stati uniti perché «intervengano per avviare la seconda fase», ma il problema sta proprio là, a Washington: il presidente Trump è il principale fautore di un piano che nulla riconosce ai palestinesi e dà forma all’ennesimo mandato coloniale in una terra vista come mera occasione di profitto e sfruttamento.
La ricostruzione solo oltre la linea gialla non è altro che il regalo ad aziende statunitensi, i cui amministratori delegati fanno da settimane la spola tra Stati uniti e Tel Aviv in vista del lancio della costruzione di «safe communities» per garantire una sopravvivenza sotto ogni standard internazionale a una manciata di palestinesi.
Resta anche lo scoglio della International Stabilization Force, missione militare multinazionale di cui a oggi non si conoscono i membri, con la Turchia protagonista indiretta dello stallo: «Il signor Netanyahu non lo nasconde – ha riassunto Fidan – Non vuole vedere truppe turche laggiù».
Il Forum segue l’appello congiunto di otto paesi a maggioranza musulmana, guidati dall’Egitto, che condanna la decisione (anche questa unilaterale) di Israele di mantenere il valico di Rafah sigillato. Lo è dal maggio 2024, occupato e distrutto dalle forze di occupazione e mai rimesso in funzione, nonostante sia il principale ingresso di camion umanitari e l’unica porta per i palestinesi che vogliano tornare. Agli occhi di Israele, quando riaprirà, sarà un valico solo in uscita: biglietto di solo andata, nessun ritorno.
INTANTO ANCHE ieri Gaza ha visto crescere il bilancio delle vittime dal 7 ottobre 2023, ormai ampiamente sopra le 70mila ufficiali (sottostimate). Tre palestinesi sono stati uccisi da un drone a Beit Lahiya durante un’operazione di demolizione dell’esercito israeliano, che non ha mai interrotto la distruzione di case e infrastrutture.
I tre, riporta il giornalista palestinese Hani Mahmoud, tentavano – insieme al resto della famiglia – di raggiungere la loro fattoria. Avrebbero attraversato inconsapevolmente la linea gialla, confine invisibile e unilaterale dettato da Tel Aviv. E invalicabile: i cecchini fanno strage. Intanto i bulldozer superavano di mezzo chilometro la linea gialla per le demolizioni, accompagnati da artiglieria e droni.
Proseguono anche i raid aerei, almeno 20 tra Gaza City e Rafah, e gli spari sui barchini dei pescatori lungo la costa di Khan Younis. In due mesi di «tregua» Israele ha ucciso 367 palestinesi.

