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Ucraina e Gaza, follie parallele di leadership inadeguate

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che a Cernobbio ha detto di avere nel cassetto un piano di pace, citava con attenzione il Corriere della Sera. Guardi meglio -lo fa Massimo Nava-, e scopri solo «un pacchetto di difesa che rappresenti un forte deterrente per la Russia. Insomma, ancora armi, possibilmente missili a lunga gittata». Più o meno come il presidente israeliano Benjamin Netanyahu che parla di tregua un giorno sì e l’altro pure, a condizioni che Hamas non può far altro che respingere.
Intanto, su entrambi i fronti la guerra va avanti, moltiplicando profughi, distruzioni e perdite di vite.

          

Ucraina, Gaza, guerre parallele senza sbocco

Il mondo osserva preoccupato e impotente, appeso all’intransigenza dei contendenti e, in subordine, all’esito delle elezioni americane, sempre che il prossimo inquilino della Casa Bianca sia ancora in grado di dettare le condizioni della pace. Sembrano essere costantemente eluse dalle analisi alcune semplici banalità: che la pace si fa fra nemici e che ogni guerra finisce prima o poi con un armistizio, tranne nel caso in cui una delle parti in causa ottenga una vittoria totale, genere Usa/Europa/Russia contro il Terzo Reich. Difficilmente potrebbero verificarsi la scomparsa dell’Ucraina e del popolo palestinese e sono altrettanto improbabili – data la sproporzione delle forze in campo e il quadro delle alleanze internazionali – la sconfitta della Russia e di Israele. Di conseguenza, le ostilità continuano, alimentate dalla propaganda e dall’impossibilità di presentare un quadro realistico della situazione alle rispettive opinioni pubbliche interne.

Persi per strada gli obiettivi negoziabili

In altre parole, i combattimenti continuano per forza d’inerzia, al punto che si sono persi di vista gli obiettivi negoziabili (l’autonomia del Donbass, il riconoscimento della Palestina) e si perseguono gli irraggiungibili (la sottomissione dell’Ucraina, la colonizzazione totale della Cisgiordania, lo sradicamento di Hamas, etc). Esclusa l’analisi oggettiva della situazione sul campo di battaglia. Nonostante la distanza culturale e ideologica e la diversa genesi storica delle ostilità, i conflitti in Ucraina e Gaza continuano paralleli secondo copione di irrealismo e insensatezza. Per il semplice motivo che nessuno ammette che nessuno può vincere.

Irrealismo e insensatezza

In Ucraina, l’esercito russo sta avanzando passo dopo passo, ma a costo di pesanti perdite. E la controffensiva di Kiev, con l’aiuto dell’Occidente, serve all’Ucraina a non perdere. Di fatto, uno stallo sul campo, mentre la Russia consolida la propria influenza nei territori conquistati. Anche l’ultima missione congiunta Usa/Gran Bretagna a Kiev non ha sciolto il dilemma sulla «linea rossa» dell’utilizzo di missili a lungo raggio contro Mosca. La campagna elettorale negli Stati Uniti, lo stallo politico in Francia e la crisi politica in Germania, con il Cancelliere Olaf Scholz che sollecita il negoziato e ammorbidisce i toni contro Mosca, escludono iniziative immediate.

Italia, freno a mano tirato

La posizione dell’Italia, con il freno a mano tirato, è nota. La sola Gran Bretagna sembra più risoluta. Nel frattempo, l’Iran ha consegnato alla Russia un numero imprecisato di missili balistici con una gittata di circa 120 chilometri. Per Zelensky, un negoziato adesso significherebbe ammettere l’irreversibile perdita dei territori occupati dai russi. Per Putin, un negoziato adesso vorrebbe dire abbandonare l’idea di un’Ucraina Stato vassallo come la Bielorussia.

Zelensky e Netanyahu per sopravvivere

A Gaza, la situazione si riproduce allo stesso modo. L’esercito d’Israele distrugge covi e infrastrutture, moltiplica le vittime civili, ma non riesce a sradicare Hamas che sembra al contrario fare più proseliti in conseguenza dei quotidiani massacri di palestinesi. I sopravvissuti devono scegliere fra il campo profughi e l’arruolamento. La via d’uscita sarebbe rafforzare l’Autorità palestinese, ma questo darebbe legittimità alla soluzione dei due Stati, mentre la politica di Netanyahu ne prevede, sia pure non esplicitamente, uno solo. Un’eventuale cessate il fuoco nella situazione attuale significherebbe la fine di Netanyahu e di Zelensky e innescherebbe la rivolta dell’opinione pubblica contro Hamas e contro il Cremlino.

Tutti comincerebbero a chiedersi perché si è combattuto e quale sarebbe il senso di concessioni ovviamente riduttive rispetto agli obiettivi. In definitiva, la vittoria militare è impossibile, ma conviene a chi mena le danze ritardare il compromesso e la resa dei conti.

Le ingloriose guerre di Vietnam, Afghanistan, Iraq

È pur vero che alcune guerre – Vietnam, Afghanistan, Iraq – si sono concluse, peraltro in modo inglorioso per chi le aveva combattute, ma in questi casi la retorica bellica e l’esaltazione di ideali (genere esportazione della democrazia e sconfitta del comunismo) si scontrarono con le formidabili opinioni pubbliche dei Paesi democratici, Usa in testa. Con la sola, e per il momento poco determinante, mobilitazione della società civile israeliana, non si vedono segnali importanti in questa direzione in Ucraina, tantomeno in Russia e Gaza.

L’inconfessabile devastante inutilità della guerra

Come ha scritto Le Point, «per un leader, portare avanti una guerra che permetta di invocare l’unione sacra, o addirittura di mettere a tacere l’opposizione, può essere preferibile all’essere chiamati a rispondere delle proprie azioni. Questo è vero per Netanyahu e per la leadership di Hamas, ma anche Zelensky e Putin si chiedono se possono eludere ancora a lungo domande e persino accuse dei loro compatrioti».

In altre parole, i conflitti andranno avanti. Non perché siano in ballo questioni strategiche, ma perché nessuno dei belligeranti è ancora pronto ad ammetterne la devastante inutilità della guerra e la conseguente sconfitta politica.

16/09/2024

da Remocontro

Massimo Nava

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